Il tumore del seno non si ferma, riprendiamo a fare prevenzione in completa sicurezza
Durante i mesi del lockdown abbiamo assistito a una surreale paralisi del nostro vivere quotidiano: gran parte delle attività lavorative è stata bloccata dal fermo operativo disposto per arginare la diffusione della pandemia. In questa immobilità spiccava con ancor più nettezza l’incessante sforzo compiuto dai tanti operatori sanitari che ci hanno consentito di uscire dalla fase più acuta dell’emergenza. Non bisogna tuttavia dimenticare che il fermo operativo ha riguardato anche tante, tantissime attività del settore salute, prime fra tutte quelle relative alla prevenzione. In occasione dell’avvio dell’iniziativa ‘Sorrisi in rosa’ e del mese della prevenzione senologica durante il quale le cliniche Humanitas daranno l’opportunità di effettuare screening gratuiti nei centri aderenti, abbiamo parlato con il dottor Lucio Buffoni, Responsabile dell’Oncologia dell’Humanitas Gradenigo, delle misure che sono state messe in campo per garantire che i controlli avvengano in totale sicurezza e dell’importanza di riprendere a pieno ritmo tutte le attività che riguardano la prevenzione del carcinoma della mammella.
Dottor Buffoni, si tratta di un tipo di tumore ancora molto diffuso?
Purtroppo sì. Stando ai dati di AIOM, solo nel 2019 sono state stimate 53mila nuove diagnosi di carcinoma della mammella. Ma non si tratta solo di un tumore diffuso, è anche un tumore complesso, e queste caratteristiche hanno stimolato la nascita delle Breast Unit, centri multidisciplinari di senologia. Attualmente infatti, a fronte di un’alta incidenza, le prospettive di cura sono ottime e le possibilità terapeutiche molteplici. Per sfruttare al meglio queste possibilità rese oggi disponibili dalla ricerca serve una sorta di “regia”, che viene garantita dalle Breast Unit: non si tratta necessariamente di luoghi fisici, sono percorsi dove, in modo organico e coordinato, vengono messe in campo diverse competenze nella gestione della paziente.
Che impatto ha avuto la pandemia su questo settore dell’oncologia?
Stando a un report dell’Osservatorio Nazionale Screening che ha raccolto i dati tramite questionari spediti a tutte le Regioni, nei primi cinque mesi del 2020 sono state fatte circa 472mila mammografie in meno su tutto il territorio, che vuol dire sostanzialmente il 54% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Questi numeri che conseguenze hanno a livello pratico?
La principale è il ritardo nella diagnosi: è stato stimato un ritardo medio di 2,7 mesi a livello nazionale. La prevenzione ha come obiettivo quello di individuare il tumore il prima possibile perché Il fattore tempo è decisivo, specie se si tratta di tumori maligni. Questi mesi di ritardo potrebbero fare la differenza per quel che riguarda lo stadio della malattia e le strategie terapeutiche: è più facile a mettere in campo delle terapie che abbiano minori impatti sul fisico della paziente e che siano, se chirurgiche, il più conservative “possibile”. Attualmente non è detto che la prognosi cambi con un ritardo diagnostico di 3 mesi circa, ma questo periodo di tempo può determinare la necessità di intervenire chirurgicamente con una mastectomia (asportando cioè la mammella) là dove una diagnosi precoce avrebbe consentito una quadrantectomia, operazione meno invasiva che permetti di conservare appunto la maggior parte del tessuto mammario. Nell’ipotesi peggiore la diagnosi viene fatta in un momento ancor più avanzato o che addirittura non venga effettuata. In questi casi, purtroppo, cambia la prognosi.
Cosa bisogna fare per ovviare a questa situazione?
Tutto si recupera, ma dobbiamo immediatamente riattivare il sistema e trasmettere fiducia alla popolazione. Gli screening si rivolgono a persone in salute, che in un periodo storico così particolare hanno molta diffidenza delle strutture ospedaliere. È nostro compito far capire loro che i pochi mesi di ritardo accumulati sin ora non possono aumentare ulteriormente. Le persone in età da screening possono adesso aderire in totale sicurezza alle campagne di prevenzione in corso nel mese di Ottobre. Solo in questo modo, l’immane sforzo che tutti gli operatori sanitari stanno compiendo in questo momento non andrà perduto.
Quali sono le misure messe in campo per consentire lo svolgimento degli screening?
In primo luogo, abbiamo garantito la disponibilità di tutti i dispositivi di protezione personale che servono a garantire la sicurezza dei pazienti, quali guanti, mascherine e soluzioni disinfettanti, nonché la capillarità e l’accuratezza dei controlli della temperatura. Abbiamo poi dilatato i tempi: se prima in un giorno si potevano fare fino a 20 mammografie adesso si può arrivare massimo a 10. Questo è dovuto alle accurate sanificazioni che vengono effettuate tra una paziente e l’altra e alla necessità di evitare affollamenti nelle sale d’attesa. Ciò implica che gli orari di lavoro si allunghino e che ci si ritrovi a lavorare anche nel week end, con un impatto non indifferente per il sistema sanitario in termini di risorse umane e di risorse tout court. Ma tali costi verrebbero ampiamente ripagati dalla consapevolezza che, anche in una situazione così straordinaria, si è fatto qualcosa per continuare a diffondere la cultura della prevenzione.
Giornalista, bibliomaniaca, donna dalla parte delle donne