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Regine e streghe, tre donne del mito greco in scena con “Sortilegi d’amore”

Medea (Sara Laura Raimondi), Pasifae (Arianna Ninchi) e Circe (Greta Fazzari) in una scena di Sortilegi d’amore. Foto: Emanuele Spagnolo

Sarà stato un caso – e il nostro status di donne e uomini del XXI secolo ci impone di ritenerlo – ma che il debutto sulle scene di ‘Sortilegi d’amore’ sia avvenuto proprio il primo Ottobre (mese delle streghe) e proprio durante una notte di plenilunio, sembra essere più che altro frutto di una macchinazione soprannaturale.

Aumenta poi il sospetto nel vedere materializzarsi di fronte al pubblico tre grandi maghe, Medea, Circe e Pasifae, regine dell’antica Grecia legate tra loro dal sangue, oltre che dalle arti magiche. Tremate, tremate le streghe son tornate e vogliono finalmente darci la propria versione dei fatti!

Attraverso la coltissima scrittura di Alessandro Fani e la regia sapiente di Renato Arcuri, incastonate splendidamente nella cornice offerta dal terrazzo della casa del Cavalieri di Rodi, tre protagoniste di alcuni degli episodi più scabrosi della mitologia greca (che non è certo celebre per il suo candore) raccontano il proprio punto di vista sugli eventi che le hanno portate a diventare “streghe” nell’immaginario collettivo. Ma la colpa non è dell’indole malvagia, bensì dell’incantesimo più potente di tutti: l’amore. “Il tema portante dello spettacolo è la magia, che per gli antichi era un dono meraviglioso, seppur terribilmente ingombrante com’è testimoniato dalle tragedie attiche. Nel corso del Medioevo si è gradualmente trasformata in una prerogativa diabolica, e un po’ questa visione ci influenza ancora oggi – spiega Alessandro Fani, autore del testo – Queste tre donne hanno in comune proprio la magia, che per loro è sì una dote innata, ma anche un oggetto di studio su cui hanno lavorato per tutta la propria vita. Medea, Circe e Pasifae usano quest’arma da loro stesse forgiata per difendersi da uomini che le usano, le ingannano e ledono la loro dignità. Possiamo veramente dar loro torto?”.

L’incontro tra l’amore e la magia potrebbe sembrare un tema da commedia romantica, ma dà in questo caso luogo a violenti conflitti emozionali, resi tangibili con grande attenzione al portato della tradizione teatrale da cui i personaggi provengono. Una messa in scena studiata valorizzando ogni componente a disposizione: “Ho voluto dare molta rilevanza al luogo della rappresentazione, anche perché da lungo tempo io mi occupo di comunicazione museale e so bene quanto il luogo eserciti una profonda influenza su quello che accade – afferma il regista, Renato Arcuri – sullo scenario offerto dalla Terrazza abbiamo creato la nostra atmosfera grazie alle suggestioni offerte dal trucco, dai bellissimi costumi di Momonì e, in grandissima parte, dalla musica per arpa e voce composta da Chiara Marchetti e da lei eseguita in scena. Un tappeto sonoro soave che va a contrapporsi in modo distonico ma molto interessante alla recitazione intensa e a tratti violenta delle tre bravissime protagoniste”. Le musiche dello spettacolo, tutte originali, giocano infatti un ruolo fondamentale all’interno della performance: “come lo sono gli abiti di scena, ho voluto che le musiche fossero ‘cucite’ sui personaggi – commenta Chiara Marchetti, performer e compositrice – per sottolineare in ciascuno di essi, con un vocalizzo o un basso ostinato, un tratto distintivo. Ho cercato di evocare musiche antiche, di cui rimangono poche testimonianze, ma che possiamo immaginare grazie alle tracce che ci sono rimaste, specie in certa musica popolare e orientale”.

Lo spettacolo, i cui proventi andranno in beneficenza, è stato realizzato da Ombelico Mask Ensemble Italia in collaborazione con la West Chester University (PA) e prodotto da Manuela Pincitore e Costantino Margiotta (Flim Flam). Uno spettacolo dai toni evocativi e mitici che può  fregiarsi del patrocinio dell’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di Malta. Ma chi sono queste tre regine che danzando sotto la luna piena ci hanno dato modo di guardare il mito attraverso i loro occhi?

Medea è la principessa della Colchide, fugge dalla sua terra perché innamorata di Giasone. Tutti conosciamo il tragico epilogo della sua storia, ma è meno noto l’episodio narrato nello spettacolo: Medea accompagna Giasone a Iolco dove il re Pélia, usurpatore del trono, congiura contro di loro per ucciderli. La Maga allora compie uno dei suoi atroci prodigi e persuade le sciocche figlie del re a fare a pezzi il padre, liberando così l’amato Giasone e se stessa dall’avversario omicida che li ostacola al trono. Un terribile gesto che, seppur mosso da amore, metterà in moto una serie di eventi catastrofici. “Per me è molto bello rapportarmi a un personaggio di teatro classico – spiega l’attrice Sara Laura Raimondi – spesso noi donne nere veniamo relegate ad altri tipi di ruolo invece in questo caso ho avuto la libertà esporare il mio personaggio al pari delle altre, ricostruendone l’identita “indigena”. Questo è stato molto divertente, anche perché il team è molto affiatato e questo ci ha consentito una bella performance, senza troppi artifici”.

Circe, la maga, seduce i viaggiatori che si avventurano sulla sua isola e li trasforma in animali inconsapevoli della morte, abitatori di un presente privo di scosse e di eventi. L’incontro con Ulisse la costringerà a condividere con l’eroe il tempo che scorre inesorabile, secondo l’umano vivere, dall’infatuazione della passione all’abbandono dell’amante. ”L’aspetto più significativo del mio personaggio, ma poi di tutte e tre le streghe che sono andate in scena, è che nulla hanno potuto le loro arti magiche contro l’amore – racconta l’attrice Greta Fazzari – Malgrado la loro sapienza Circe, Pasifae e Medea non sono riuscite a trattenere o a cambiare gli uomini oggetto del proprio desiderio e questa è una magia che va oltre alla magia. Sono sortilegi d’amore!”.

Infine Pasifae, la madre del Minotauro, il mostro antropofago che vive confinato nel labirinto di Cnosso nell’isola di Creta. Strega potente, moglie di Minosse figlio di Zeus, si dice che fosse innamorata di un toro bianco. Ma nel museo archeologico Guarnacci a Volterra la pittura tramandata su un vaso attico la mostra modesta, intenta a vezzeggiare un cucciolo di Minotauro paffuto che lei culla sulle ginocchia come un figlio amato e diverso. “Sto amando molto il ruolo di Pasifae, che mi consente per altro di essere la mamma di me stessa visto il mio nome – scherza l’attrice Arianna Ninchi – ma al di là degli scherzi, questo è un testo che ci propone tre miti in una chiave estremamente affascinante e moderna. Appena ho letto il testo ho apprezzato tantissimo il progetto e ho deciso di aderire. Speriamo che ci sia presto occasione di riproporlo!”. E lo speriamo davvero. Dopo un 2020 davvero catastrofico per tutte le arti performative, questo spettacolo (uno dei pochi a essere prodotti e realizzati) è stato una boccata di aria fresca e dopo mesi così asfittici desideriamo davvero di poter presto tornare al più presto ad ammirarlo sul palcoscenico.