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lo sguardo rosa sulla società

Karin Proia “lo sguardo rosa sul cinema”

Karin Proia

Forse pochi sanno che Karin Proia è un’abile pianista diplomata al Conservatorio oltre che attrice, sceneggiatrice e regista. Non è un caso infatti che per il primo film dietro la macchina da presa, Una gita a Roma, abbia voluto un maestro come Nicola Piovani alla colonna sonora.

Instancabile artista, grazie alla partecipazione alla serie di culto Boris, ha addirittura illustri ed iconici meme a lei dedicati sui social network. Al lavoro di attrice di teatro, TV e cinema ha aggiunto da poco anche quello di regista e in questi ultimi mesi quello di attivista, visto che è promotrice di un’iniziativa a favore della costruzione di un registro professionale degli attori. In procinto di iniziare le riprese del suo prossimo film, Karin Proia ci accompagna all’interno della sua vita di questi ultimi mesi e dice la sua su parità, rappresentazione femminile nel mondo dello spettacolo e non solo e per dirla alla Pink Society, “lo sguardo rosa” sul cinema.

Sei tornata sul set? A cosa stai lavorando in questo momento?

Sto lavorando a Umami – Il quinto sapore di Angelo Frezza. Abbiamo iniziato la preparazione e le prove costumi e il primo giorno di riprese dovrebbe essere il 6 novembre. Facciamo una settimana ad Ascoli Piceno e poi Malta. Speriamo che, in questo periodo di chiusure, si riescano a portare a termine le riprese. Sono in un bel cast, con Angelo Orlando, Antonella Ponziani, Enrico Oetiker e Dafne Scoccia, attrice intensa, molto brava e con un bellissimo ruolo. È una commedia romantica con dei risvolti commoventi, che tocca temi importanti. Non mi posso sbilanciare ulteriormente però, perché ancora non so cosa si può rivelare.

Non ti sei fermata durante l’emergenza, anzi, hai partecipato a Il Cinema non si ferma di Marco Serafini, autogirato da casa. Come hai vissuto i mesi di lockdown?

In realtà mi sono chiusa in casa ancora prima che ufficializzassero il lockdown. Appena hanno chiuso le scuole ho deciso di mettermi in casa, anche perché il Covid era ancora del tutto sconosciuto, adesso un po’ meno, e non sapevamo ancora come avrebbe attaccato l’uomo. In più a me il lavoro è saltato subito, perché sarei dovuta partire per Milano proprio a marzo per riprendere la tournée di Call Center 3.0 e purtroppo proprio lì hanno chiuso i teatri perché è diventata la prima zona rossa. Chiusa in casa, inizialmente me la sono presa a relax e mi sono ridipinta le pareti, ho fatto le cose che uno non ha mai tempo di fare, mi sono messa a sfornare torte, mi sono costruita una compostiera con legno riciclato da mettere in giardino. Dopodiché mi hanno chiamata per il Cinema non si ferma, che nasce per raccogliere fondi per la Protezione Civile. Mi sembrava il giusto modo di aiutare senza rischiare di essere contagiati o veicolare il contagio e ci siamo messi a disposizione, mio marito Raffaele Buranelli ed io, insieme ad un ottimo cast, tra cui Maria Grazia Cucinotta, Nicolas Vaporidis, Jane Alexander e molti altri, tutti con i nostri poveri mezzi, cellulari e pc. Ci siamo dovuti sintonizzare con la regia di Serafini che ci guidava da remoto e impostava le inquadrature. Nel frattempo, visto che intanto i sussidi Covid non arrivavano e che soprattutto a moltissimi attori non sarebbero mai arrivati, abbiamo messo a fuoco che in Italia manca un riconoscimento giuridico della professione dell’attore e abbiamo deciso, insieme a molti colleghi di redigere un documento e definire i parametri che definiscano un attore professionista dal punto di vista formativo-contributivo. Ne è seguita una raccolta firme per chiedere alla politica di istituire un registro professionale degli attori. Tra l’altro l’Europa ce lo chiede dal 2007. Ci siamo mossi e abbiamo anche ottenuto una proposta di legge, che ora è alla Settima Commissione, Cultura, del Senato e a piccoli passi speriamo che venga approvata. La definizione “lavoratore dello spettacolo” è troppo generica per gli attori, perché spesso un attore ha una situazione contributiva molto diversa rispetto a chi lavora dietro la macchina da presa. Per non parlare delle differenze tra cinema e teatro.

Qual è la tua opinione su questa chiusura di teatri e cinema?

Considerando che i casi di oggi sono i contagi mediamente di 14 giorni fa, è inevitabile che saliranno. In tutto questo la posizione del Governo non è facile, perché deve far capire alla gente che ad un certo punto la situazione diventerà ingestibile e quindi si deve agire prima che lo diventi. A me dispiace che abbiano chiuso teatri e cinema perché statisticamente abbiamo visto che sono i luoghi più sicuri. Lo hanno fatto “per limitare la mobilità”, come ci hanno detto. Avrebbero senz’altro potuto fare di meglio, ma non voglio entrare nel merito perché temo che tra poco chiuderanno molto altro. L’unica cosa che abbiamo già visto con i primi aiuti è che i soldi arrivano solo ad alcuni teatri, ma non arrivano “al palcoscenico”, cioè ai lavoratori, artisti e tecnici. Bisogna fare in modo che questi aiuti di cui parla il ministro Franceschini, quindi, arrivino anche ai lavoratori. In tantissimi non hanno ricevuto nulla, per questo urge un registro dei professionisti che vivono di questo mestiere e non hanno nessun altro reddito a sostegno e che da marzo non hanno avuto nulla.

Una gita a Roma è stata la tua opera prima da regista. Visto il riscontro positivo, stai già lavorando a qualcosa di nuovo da dirigere?

A me la regia sta proprio nel cuore, è qualcosa che ho sempre voluto fare fin da piccola ed è ovvio quindi che sto lavorando ad un altro film. Anzi, sai cosa mi divertirebbe tantissimo fare? Una serie TV, un po’ pazza, e l’ho anche scritta, è una prima stesura, c’è ancora da lavorarci però ho già tutto chiaro in testa. Insomma, spero presto di ritornare alla regia. Di Una gita a Roma invece ho scritto anche un libro, un romanzo per ragazzi; è stato facile perché ancora prima di scrivere la sceneggiatura c’era già il racconto.

Hai fatto parte di una serie epocale come Boris che ha festeggiato da poco i 10 anni dalla sua ultima stagione. Tra i tre geni ideatori della serie: Mattia Torre. Da regista e sceneggiatrice, qual è la tua visione sul lavoro di questo autore da poco scomparso?

Mattia Torre è un genio e parlo al presente volutamente, come si fa con tutti i grandi, perché ci ha lasciato dei testi meravigliosi e che rimarranno. La cosa che mi dispiace di più è che purtroppo non ce ne potrà lasciare altri. Eravamo amici da tantissimi anni, Mattia aveva in casa una foto in bianco e nero di me e mio marito il giorno del matrimonio in cui il velo da sposa era finito in faccia al mio sposo con un colpo di vento. Quando l’ha vista si era divertito così tanto che se l’era portata via. Tanti del cast di Boris, in realtà, sono amici storici dei tre autori e quindi siamo sempre stati un gruppo affiatato, ci si vedeva alle feste, ci si vedeva tutti a casa dell’uno o dell’altro, spesso anche di Mattia, ci si sedeva tutti intorno a una stanza a giocare al gioco del vocabolario o a parlare delle cose più assurde o più attuali, era veramente molto stimolante. Tra gli amici storici tanti sono nel cast di Boris: Carlo de Ruggieri, Massimo De Lorenzo, Valerio Aprea, Pietro Sermonti, Andrea Sartoretti, mio marito Raffaele Buranelli, Luca Amorosino, gli altri due autori Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo e sicuramente mi sfuggono molti altri. Loro hanno cominciato a scrivere per il teatro dei bellissimi testi e gli attori più o meno erano sempre gli stessi che gli gravitavano intorno. Mattia ci ha lasciato troppo presto, avrebbe lasciato senza dubbio altre perle meravigliose.

Si parla di una possibile nuova stagione di Boris, ti piacerebbe?

Che dire, speriamo che si faccia! Ancora non si è capito, a volte sembra di sì, a volte no, gli autori senza Mattia dicono che sarebbe un’altra cosa. Vedremo, capiremo tra un po’ che cosa hanno deciso.

Da regista e attrice, a che punto siamo secondo te in termini di parità, sia dal punto di vista della rappresentazione della donna al cinema, Tv e teatro e sia dal punto di vista dell’industria dello spettacolo?

Siamo ancora lontani dalla parità, non solo nello spettacolo, ma nel mondo in genere. Siamo lontani anche in termini di quote rosa. Io ci tengo moltissimo, in tutte le cose che faccio spingo per la quota rosa e dovremmo farlo presente tutti quando abbiamo voce in capitolo.Mi sono trovata spesso in delle giurie dove ero l’unica donna e l’ho sempre fatto presente. Quando ho potuto, ho chiesto di avere altre donne in giuria. Non si può generalizzare, ma mediamente si tendono a fare scelte diverse tra uomo e donna e quindi è giusto che in una giuria equilibrata ci siano sia uomini che donne. Siamo un Paese all’avanguardia rispetto ad altri, eppure c’è ancora tanto da fare soprattutto dal punto di vista culturale; lo si vede dai commenti che in molti ancora fanno, spesso capita che i concetti più maschilisti siano espressi proprio da altre donne. Di recente ho letto un articolo che titolava: “Il premio Nobel vinto da due donne”. Ma dai! Dopo un paio di giorni mi sono vendicata in un post: “Il Nobel vinto da due uomini”, un po’ per far capire quanto può suonar strano.

Credi esista uno sguardo al femminile nel cinema?

Assolutamente sì. E spesso, quando vedo un film che mi appassiona particolarmente, scopro poi che c’è una donna dietro. La prima volta che ho pianto al cinema per esempio è stato per Lezioni di piano di Jane Campion. A parte la meraviglia della colonna sonora, della fotografia e la bravura degli interpreti, la storia l’ho vissuta in modo così intenso che mi si è stretto un nodo alla gola ed ho cominciato a piangere. Normalmente riesco a riconoscerlo facilmente lo sguardo femminile al cinema. Purtroppo la presenza delle donne dietro la macchina da presa è decisamente troppo poca rispetto a quella degli uomini e lo stesso vale anche per gli autori. Spesso quando i personaggi femminili sono scritti da uomini si ha a che fare con delle donne troppo rigide, a volte troppo semplici. L’esempio di Bergman, che riusciva a scrivere personaggi femminili con tante di quelle sfumature da sembrare scritti da mano femminile, è stato avvicinato da pochi. Trovo che nella sceneggiatura l’apporto di più punti di vista è quasi sempre fondamentale per questo nel mio film ho chiesto aiuto ad un uomo. Anche i grandi film del passato erano sempre scritti a più mani e soprattutto, tra i migliori, c’era sempre la firma di una donna: Suso Cecchi D’Amico.

Ottobre è stato il mese della prevenzione per le donne. Quanto pensi sia importante?

La prevenzione è importantissima e a questo proposito faccio un appello a tutti gli scienziati del mondo di impegnarsi per trovare un’alternativa alla mammografia, che è una sorta di tortura medievale. Vi prego, trovate un modo meno cruento per fare prevenzione del tumore al seno, visto che va fatta e dobbiamo farla.