La fiaba di Patrizia Panico: “Le mie origini mi hanno fortificato”
“È fantastico ripercorrere il passato quando vieni da molto in basso e sai che tutto quel che sei stato, che sei e che sarai, non è altro che lotta.”
(Diego Armando Maradona)
Patrizia Panico è sicuramente uno dei simboli di tutto il calcio italiano, non solo femminile. Classe 1975 e romana di nascita, cresciuta in uno dei quartieri più popolari della città come Tor Bella Monaca, è stata in grado nel corso degli anni di superare pregiudizi e ostacoli, fino a diventare vice selezionatrice della Nazionale Under 21 maschile. La sua storia inizia da molto lontano, nel lembo estremo della periferia sud-est della capitale, tra palazzoni e cemento. A 13 anni compie i primi veri passi da calciatrice nelle formazioni giovanili del Borussia, club romano di terza serie, prima di approdare al Valmontone e poi alla Lazio per il salto in Serie A.
Da quel momento per Patrizia la storia diventa una fiaba, un cammino gratificante e inarrestabile che culminerà con una presenza stabile nel gotha del calcio femminile. Dopo 3 anni con i colori biancocelesti si trasferisce a Modena dove corona il sogno di affiancare in attacco un’altra icona del calcio femminile come Carolina Morace. Con il club emiliano al primo anno vince subito uno scudetto e una Supercoppa Italiana prima di ritornare alla Lazio dove conquista un altro titolo tricolore, due coppe Italia e quattro primati consecutivi nella classifica marcatori.
Gli scudetti arrivano a grappoli anche con le maglie di Torino e Verona (altri otto che in tutto fanno dieci in carriera), ma il suo curriculum è ricco anche di record come le presenze in Nazionale (204) che la pongono al primo posto nella classifica di tutti i tempi e come le reti segnate in azzurro (110), un altro primato difficilmente eguagliabile. Con l’Italia ha vinto l’argento al campionato europeo di Norvegia e Svezia del 1997 e ha preso parte alla fase finale del campionato mondiale degli Stati Uniti del 1999. Nel 2015 Patrizia Panico è stata inserita nella Hall of Fame del calcio italiano, dopo il ritiro assume prima il ruolo di assistente tecnico e poi di ct della nazionale italiana Under-15 maschile, diventando la prima donna in assoluto ad allenare una rappresentativa maschile italiana.
- Ciao Patrizia, mi ha colpito una tua foto di bambina con il pallone Super Santos in mano. Il tuo primordiale amore per il calcio è stato accompagnato da altre passioni?
Da piccola, come tutti i bambini, cominciavo ad appassionarmi a molte cose tra cui anche ad altri sport, oltre al calcio. Ma nessuna di queste ha avuto la prevalenza sul calcio, avevo già le idee chiare!
- Perché da bambina eri soprannominata “Bruscolo”?
Il soprannome nasce quando cominciai a giocare in una squadra di calcio femminile dove erano tutte più grandi me, all’epoca non esistevano squadre femminili giovanili e quindi soprannominarono “bruscolino”. Poi, crescendo, si è modificato con “Bruscolo” ma è un soprannome che ormai resto circoscritto a quando giocavo in serie C e serie B.
- In “Volevo essere Maradona” Valeria Ancione racconta la tua storia con la leggerezza di una fiaba, hai mai percepito di essere dentro una favola anche nel tuo percorso di vita ?
Ogni vita vale la pena di essere vissuta e secondo me, ogni vita è una fiaba.
- Sei cresciuta a Tor Bella Monaca, cosa ricordi della tua infanzia in quel quartiere?
Ricordo tante cose dell’infanzia, alcune belle e altre meno. In periferia respiri un’aria di solidarietà e di indifferenza allo stesso tempo, lì la vita ti mette di fronte storie ed esperienze che ti fanno crescere in fretta e al tempo stesso ti fanno sviluppare una corazza forte e resistente.
- Ci ritorni ogni tanto nei tuoi luoghi di infanzia?
Certo, torno spesso a Tor bella anche solo di passaggio, sono molto legata al mio quartiere anche se non abito più lì.
- Quando hai messo piede per la prima volta in uno stadio di calcio?
Avevo forse 8 anni e non è stata una tribuna qualsiasi o uno stadio qualsiasi, ma l’Olimpico di Roma e ovviamente in curva Nord.
- C’è stato un momento della tua carriera in cui hai pensato di mollare tutto?
Molte volte mi è balenata in testa l’idea di smettere con il calcio, ho passato alcuni momenti di difficoltà in cui mi trovavo di fronte ai dubbi e alla complessità del dover affrontare tantissimi sacrifici o rinunce, il tutto unito all’andare avanti o meno con il calcio.
- Cosa ti ha insegnato la vita fino a questo momento?
La vita mi insegna ogni giorno qualcosa, è riduttivo descrivere un solo insegnamento… forse potrei sintetizzare sostenendo che la vita insegna sempre qualcosa a chi vuole imparare sempre qualcosa in più.
- Cosa diresti ad una ragazza che si sta avvicinando al mondo dello sport e del calcio in particolare, cosa consiglieresti a una adolescente che desidera iniziare seriamente un percorso sportivo?
Direi semplicemente di non smettere di inseguire con tutte le proprie forze quel grande sogno.
- Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande le cui risposte saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Qual è il libro che stai leggendo? Quale canzone ti sta accompagnando in questo ultimo periodo? Qual è la tua ricetta (o il tuo piatto) preferita?
Sto leggendo “Le canaglie” di Angelo Carotenuto, un libro sulla Lazio del ’74 e sugli anni ’70 in Italia, mentre per quanto riguarda l’ultima canzone sto ascoltando spesso “16 marzo” di Achille Lauro. Non sono una grande amante dei primi e dei secondi piatti, non ho una ricetta particolare… preferisco di gran lunga gli antipasti!
Giornalista pubblicista, vive a Roma, ma di radici e origini ponzesi. Fotografo a tempo perso, appassionato di letteratura, heavy metal e new wave da sempre. Per Bertoni Editore ha pubblicato “Siamo Uomini o Calciatori”.