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Pink Society

lo sguardo rosa sulla società

Protagoniste: Stella Egitto

Stella Egitto
Maglia monospalla: Ele Collection | Fotografa: Maddalena Petrosino
Styling: EPsuite19 | Make up: Raffaele Schioppo – Simone Belli Agency
Hair: Francesco Borghese | Hair designer Jerry D’Avino
Ufficio Stampa: Lorella Di Carlo

Se In guerra per amore di Pif o Malarazza di Giovanni Virgilio, non fossero stati abbastanza esaustivi per portare all’attenzione del pubblico italiano Stella Egitto, le nuove opere in cui la vedremo, la consacreranno definitivamente.

Siciliana, ha avuto sempre le idee chiare sul cammino da intraprendere e sul suo desiderio di diventare attrice. A 18 anni lascia la sua terra e la sua città, Messina, per l’Accademia con la A maiuscola, la Silvio D’Amico. Su MioCinema in questi giorni la si può vedere recitare accanto a Luca Vecchi e Dafne Scoccia nell’opera prima di Marco Castaldi, Nel Bagno delle donne ma prossimamente Stella reciterà, facendo un rapido conto dei progetti annunciati, in 3 film, 1 serie e 1 spettacolo teatrale. Su Pink, l’attrice ci racconta il suo primo amore, il teatro, i registi che l’hanno scritturata e cambiata, le sue attrici del cuore e il suo momento di grazia. Stella Egitto si abbandona infine ad una riflessione sul valore delle radici e l’appartenenza al territorio.

In ‘Nel bagno delle donne’ interpreti la moglie del protagonista, Luca Vecchi, una donna a cui quest’uomo ha mentito sul lavoro che non ha più. Situazione che porterà ad un punto di svolta nella loro relazione. Che film è stato e come descriveresti Anna, il tuo personaggio?

L’esperienza è stata surreale perché dall’inizio sapevamo di metterci al servizio di un’operazione molto particolare. Siamo partiti entusiasti per un film politicamente scorretto che ti permette delle libertà che non sempre ci si può prendere, questo mi ha divertito. Anna è stato un ruolo che mi è piaciuto tantissimo, noi la inquadriamo, li inquadriamo con suo marito Giacomo, subito, nella prima scena del film, in bagno mentre c’è lui e inquadriamo un loro rapporto, il loro equilibrio dove lei cerca senz’altro di mantenere un controllo in una maniera abbastanza maniacale. Questo ha connotato, colorato e sfaccettato il loro rapporto e ho trovato divertente interpretare Anna perché le stesse motivazioni che portano lui a non essere all’altezza e a non assumersi le responsabilità sono le stesse secondo me che portano Anna ad avere la tendenza a controllare tutto in quella maniera vagamente maniaca, speculare a quella di Giacomo, un modo differente di reagire alle pressioni che tutti noi viviamo, specialmente i trentenni di oggi.

Quella del film mi è sembrata anche un’impostazione vagamente teatrale. Tu che sei “donna di teatro”, che ne pensi?

Hai ragione ed è una cosa su cui, credimi, sto riflettendo da quando ho rivisto il film in una proiezione privata con l’Istituto luce.  Mi rendo conto anch’io che il linguaggio teatrale è fortissimo e che verrebbe una pièce teatrale fighissima, dal contemporaneo intelligente.

Per te si avvicina un momento pieno di progetti a partire da Codice Karim di cui sei protagonista femminile.

È un progetto che ho nel cuore che non vedo l’ora di vedere come si articolerà ma purtroppo non posso dire nulla. È un film di genere, io interpreto un personaggio diversissimo da quelli interpretati fino ad ora ed anche quella è una grande scommessa

Nel tuo futuro vedo anche il film Netflix Mio fratello, Mia sorella di Roberto Cappucci dove reciti accanto ad Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi.

Questo è un film che abbiamo finito di girare un mese fa e siamo nel vivo della post produzione.

Come ti sei vissuta il set in questo momento?

Mi sono sentita molto fortunata perché, mentre giravo il film, in contemporanea ho girato una serie per Mediaset. Mi sono trovata su due set in post quarantena e una situazione del genere non capita neanche in tempi di pace quindi nella sfortuna dell’aver perso lavori, soprattutto teatrali per la pandemia, paradossalmente ho trovato questi progetti su cui sto lavorando ora. La prima quarantena me la sono vissuta molto concentrata, non ho sofferto particolarmente, sto soffrendo più in questa fase ibrida. Il primo lockdown era totale e in un certo qual modo ti sentivi in una solidarietà strana con tutti. Io mi sono trovata sballottata perché ero in teatro in Calabria con uno spettacolo con Lorenzo Richelmy, eravamo nel pieno della costruzione creativa dello spettacolo, ero ritornata un po’ al mio pane quotidiano, il mio primo amore, il teatro. Appena sono tornata a Roma per la chiusura, ho capito che la situazione era folle e mi sono concentrata e sono riuscita ad ottimizzare tutto questo tempo. Subito dopo sono entrati due progetti quindi sono grata. 

Al cinema ti vedremo anche come protagonista di I racconti della Domenica di Giovanni Virgilio, con cui avevi lavorato già a Malarazza. Sei ormai la sua musa. Che rapporto avete?

Giovanni è diventato un grande amico ed è stato un incontro speciale per me perché è stato quello che mi ha affidato una responsabilità assoluta, la protagonista, insieme a Paolo Briguglia, in Malarazza. Ho sentito addosso una responsabilità totale nell’interpretare poi una mamma, in un ruolo ancora maggiore di quello che avevo con Pif in In guerra per amore. È stato un set talmente speciale, piccolo, che ci ha regalato tantissime soddisfazioni, anche quando lo abbiamo accompagnato in giro per i cinema.  Sento di alcuni colleghi ogni tanto che non hanno voglia di fare promozione, io invece adoro accompagnare i film in giro, tantissimo, trovo sia parte del film anche il presentarlo, accompagnare i progetti, condividerli e spenderci due parole dietro. Il film deve arrivare alla gente.

I racconti della Domenicaè un progetto molto ambizioso, più di Malarazza ma Giovanni è così. È un film che attraversa quarant’anni di storia  ed è difficile da catalogare.

La consacrazione con il grande pubblico è arrivata grazie a In Guerra per Amore di Pif. Che esperienza è stata?

Fare parte di un progetto così atteso è stata un’esperienza stupenda, visto che Pif aveva già vinto il David di Donatello con La mafia uccide solo d’estate, un altro pezzo di cinema legato alla mia terra che mi auguro resti indimenticabile ed eterno. Lui l’avevo incontrato già ai tempi del primo film e avevo avuto dei feedback molto positivi anche se poi aveva scelto Cristiana Capotondi. Mi ricordo ancora il primo provino così come ricordo quello di In guerra per amore: mi si fermò la macchina, io ero mezza vestita d’epoca perché mi ero fatta preparare e ci tenevo tantissimo. Alla fine è andata bene ed è stato un lavoro bellissimo, un film molto strutturato diretto da un autore perché Pif, prima di essere attore e regista, è un autore completamente irriverente, fuori dal coro, una persona a cui sono legatissima perché abbiamo un rapporto di amicizia stupendo e ci sentiamo regolarmente confrontandoci sulle cose che succedono.  È stato il mio primo ruolo di mamma al cinema e anche quello ha avuto significato perché mi sono concentrata sulla responsabilità di quel ruolo. Poi ho conosciuto Erice, sopra Trapani, questo paese che ha una scenografia naturale che non conoscevo, mi sono resa conto che tanti luoghi della Sicilia li sto conoscendo ora con il lavoro. È stato un po’ un sogno quello ed il film ha significato tanto per me.

C’è qualcosa che ti hanno detto sul film che ti ha particolarmente colpito e segnato?

Le opinioni di chi aveva realmente vissuto quell’esperienza e si è riconosciuto, mi hanno colpito.  Io mi sono preparata a quel ruolo anche confrontandomi con mia nonna che ha vissuto il periodo della guerra e lei mi raccontava che si andavano a riparare dentro le gallerie dei treni. Nonna scriveva un diario che io ho ripreso in mano per prepararmi al ruolo e le prime cose che ho girato, sono state proprio le corse ai rifugi durante i bombardamenti e mi è preso un colpo perché ecco, corrispondevano con i racconti di mia nonna, ritrovati in quel diario. La cosa bella di quel film è anche che a Erice abbiamo lavorato con delle comparse che non avevano mai avuto il cinema. Immaginate un paese dove l’età media è 75/80 anni che si ritrova completamente sconvolta da un film di quella portata. C’era gente che aveva veramente vissuto quel periodo e il poter chiacchierare con quelle persone è stato di una forza incredibile. Poi una cosa che invece mi colpì nella fase promozionale è stato che i giornalisti non mi riconoscevano. Loro si aspettavano che arrivasse ‘Teresa’ e non mi riconoscevano. Una giornalista a Palermo mi disse: “volevamo aspettare Stella Egitto” ed io ero la guardai e dissi: “ buongiorno, sono io”.Lei mi rispose: “Madonna, ma sei una bambina,non ti riconosco”. Questa è una cosa che succedeva spesso e così ho capito che quel ruolo aveva superato magari anche la barriera anagrafica e ho compreso il potere di una storia. Mi vedi tutta vestita bene, pronta per la promozione di un film e ti fa strano immaginare che sono la stessa che nel film interpreta la madre di un bimbo di 10 anni.

Sei spesso diretta da registi siciliani come Giovanni Virgilio e Pif. Quanto è importante l’appartenenza al territorio per te?

Tantissimo, è una ricchezza. Io me ne sono andata presto, mi sono accorta di non aver mai avuto tanto un grandissimo legame con la mia città d’origine (Messina) quanto alla mia terra. Me ne sono andata molto presto, avevo appena fatto diciott’anni e ritornarci con il lavoro è stato molto bello. E mi riempie di gioia pensare che a un regista che scrive una storia ambientata in Sicilia, gli possa venire in mente io, perché questa cosa la vivo con un senso di responsabilità stupenda proprio perché adesso ho il giusto distacco da quella terra che mi porta ad amarla totalmente e veramente, anche nelle sue contraddizioni. A diciott’anni sapevo che volevo fare questo mestiere e che non sarei rimasta a vivere lì ma allontanandomi ho perdonato più cose di quelle che avrei perdonato vivendo in Sicilia. Io vivo ormai a Roma da tanti anni e anche qui sarei pronta a rivivere lo stesso effetto, magari prendendomi dalla città una boccata d’aria di distanza per ritornare ad amarla al 100%.

Come hai detto, il teatro per te è molto importante. Quanto ti manca in questo momento e che conclusioni hai tratto in quest’ultimo periodo?

Mi manca tantissimo il teatro, è quello che mi ricorda ogni volta perché ho deciso di fare l’attrice. Il teatro è il mio primo amore e sarà per sempre il mio primo amore e non ci sarà mai niente che arriverò ad amare tanto. Purtroppo viviamo un momento teatrale molto complesso che non è solo legato alla pandemia ma che va avanti da prima di tutto questo. Quando sono arrivata a Roma c’era una scena teatrale incantevole tra il teatro Valle a cui mi ero abbonata, Emma Dante. Era un momento molto florido poi piano piano ho visto andare a sbrodolarsi stagioni che si confondevano, non c’erano linee di continuità nelle direzioni artistiche e nei cartelloni. C’è tanto teatro brutto, morto in giro, c’è una tradizione che per vivere oggi ha necessità di essere reinterpretata con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione. Io sono una che si è formata con gli insegnanti della tradizione però c’è la necessità di trovare un punto d’incontro per rendere queste cose apprese fruibili invece vige molto la regola degli scambi tra i teatri stabili e questi “nomoni” che non si riescono a mettere da parte e non hanno la generosità di fare un passo indietro, cosa che è bella vedere invece negli attori grandi, quelli che spesso definiamo maestri. Io ho scelto di non farlo questo tipo di teatro e forse questa è l’unica cosa che mi sento di dire con un po’ più di presunzione. Non ho avuto tante esperienze negative in teatro però ho cercato sempre di difendermi ed ho avuto la fortuna, quando non arrivava la chiamata giusta a teatro, di fare anche altre cose nel frattempo, piccoli ruoli TV, progetti cinematografici. Mi ritengo fortunata in questo ed è di fatto un amore per me il teatro. A febbraio, come ti dicevo, stavo lavorando a Follia diretto da Max Mazzotta che mi ha voluto come protagonista per interpretare Giulietta e Lady Macbeth insieme, in questo spettacolo che è una fusione tra due testi di Shakespeare. È un ambiente poi così creativo, Max si è formato con Strehler ma è un attore che fa cinema, lo vedremo in Freaks out di Gabriele Marinetti, lui è un pazzo creativo ed io oggi ho capito un po’ di più che tipo di attrice sono e che tipo di attrice non voglio essere.

Questa operazione teatrale, Follia di Max Mazzotta, la riprenderemo appena riaprono i teatri.

Ti eri prefissata degli obiettivi all’inizio della carriera su che tipo di attrice volessi diventare? Hai un modello di attrice di riferimento?

È una cosa che mi sono domandata in tutti e tre gli anni di formazione all’Accademia Silvio D’Amico. Avevo dei compagni di classe molto più grandi di me visto che ho fatto il triennio in un momento in cui non c’era il limite di età e sono entrata a diciott’anni. Non avevo idea di cosa significasse parlare di diaframma o avere una padronanza del corpo quindi ero veramente bombardata di informazioni. Che tipo di attrice volessi diventare è stato un po’ il mio cruccio per tre anni fino a quando insieme a questo cruccio che non è mai del tutto passato, sono partita a riflettere prima sul tipo di attrice che “non” volevo essere. Andavo a teatro e vedevo delle robe che non mi piacevano allora ho iniziato a capire che avrei voluto evitare di replicare quelle cose che non mi piacevano. Ho cominciato ad andare per esclusione, vedevo cose e capivo quanto poco mi assomigliassero. Io sono una anche che subisce molto l’energia attorno a me e i caratteri e quindi quando trovo un potenziale umano che non mi piace, fatico molto e puoi immaginare quante volte succede. La generosità non è scontata in questo mestiere ed è una cosa che mi riprometto sempre io voglio essere un’attrice generosa, con quelle che avranno trent’anni meno di me, voglio essere un’attrice che farà anche un passo indietro sperando di poter continuare a cavalcare una carriera che mi somiglia. A tal proposito mi viene in mente un’attrice con cui ho lavorato in uno spettacolo, Ida Carrara. Aveva ottant’anni in quel periodo e la vedevo lavorare con una generosità che era totalmente insolita, in contrasto poi con tantissimi altri colleghi con cui mi sono trovata a lavorare poi che invece erano poco generosi. Ecco, mi sono detta, lei era il mio modello di attrice.

A proposito di attrice, ce n’è una contemporanea che ammiri?

Natalie Portman  è il mio riferimento di attrice internazionale, io l’amo follemente. Spesso vado al cinema per vedere esattamente come lei se la riesce a cavare nei ruoli che affronta, è quello un motore per me: capire come se la cava in un ruolo, come lo costruisce. Lei è sempre così convincente tutte le volte che la vedo, mi piacerebbe superare le difficoltà di un ruolo esattamente come le supera lei perché poi i ruoli sono personaggi da costruire ma anche grandi difficoltà da superare. Se penso a lei in Il cigno nero e lei in Jackie, che sono due opposti completamente, penso che sia un’attrice micidiale

Che futuro vedi per i ruoli femminili al cinema?

Sono ottimista e voglio essere ottimista. C’è un’evoluzione a 360°e non solo all’interno del cinema italiano che secondo me ha molti problemi però credo che si stia leggermente capendo che c’è stata un’egemonia del maschile, anche per quello che riguarda la drammaturgia teatrale. Per carità, abbiamo Elettra, Viola, Shakespeare è stato uno che ci ha regalato tantissimi ruoli femminili però l’egemonia maschile è stata fortissima invece oggi sto notando che anche da parte di uomini che scrivono e che dirigeranno, una sensibilità nuova in questo, danno più spazio di prima. Io ho fiducia, abbiamo delle attrici strepitose, alla fantasia nessuno comanda perché le storie scaturiscono da urgenze e dipende poi da che cosa ti va di raccontare.  C’è la possibilità di scrivere sulle donne, la strada è lunga ma siamo nel percorso.