Un omaggio a Paolo Rossi: Mondiali 1982 di Francesco De Core
Per quelli della mia generazione il Mundial del cuore è quello dell’82 in Spagna. Leggere questo libro è stato quindi una carezza su uno dei ricordi più belli e sui miei 18 anni. Un omaggio a Paolo Rossi.
Istantanee di un mundial. I tre gol di Rossi al Brasile. Quello annullato ingiustamente ad Antognoni, e sarebbe stato il 4-2. Zoff che all’ultimo secondo della partita contro la Selecao, campione del mondo in pectore – i brasiliani lo sono sempre – blocca sulla linea l’ultima palla e forse per la prima volta in vita sua grida con tutto il fiato che ha in gola: no, non è entrata. Il rigore sbagliato da Cabrini. Il gol del 2 a 0 di Tardelli, anzi l’urlo di Tardelli, una delle immagini più belle della storia del calcio. Il presidente Pertini che al 3-0 di Altobelli si alza e dice in mondovisione: adesso non ci prendono più.
Quelli della mia generazione, che è la stessa di Francesco De Core, caporedattore del Corriere dello Sport -Stadio e autore di “Mondiali 1982 – La rivincita”, si ricordano tutto o quasi di quel mese irripetibile, in cui l’attenzione dei malati di calcio guardava alla Spagna, prima con apprensione poi via via con incredulità e speranza. Francesco De Core ce lo fa rivivere quel mese con il giusto pathos, quasi un racconto per immagini, con le parole che prendono vita attraverso i volti dei giocatori, i baffi dello zio Bergomi, quelli di Gentile, il volto scavato di Paolo Rossi, la voce di Nando Martellini. La pipa del Vecio.
Perché quello dell’82 è stato soprattutto il Mondiale di Enzo Bearzot, di un uomo colto che conosceva il calcio come pochi, capace di inseguire un sogno e di costruire un miracolo con la sola forza delle sue idee. Ma la vittoria in Spagna non è un caso. È figlia del campionato giocato in Argentina 4 anni prima, quello che forse l’Italia avrebbe meritato di più. E De Core parte proprio da lì. Da una squadra che gioca un calcio brillante, grazie anche agli inserimenti all’ultimo di due ragazzini, Antonio Cabrini e Paolo Rossi: una squadra che stupisce e fa innamorare ma che purtroppo si ferma in semifinale, contro l’Olanda, e perde poi anche la finalina per il terzo posto contro il Brasile. Sul banco degli imputati finì Dino Zoff, per colpa di due tiri da 40 metri. E il Vecio già allora fece da scudo, difese il suo numero 1 contro tutto e contro tutti e gli riconsegnò le chiavi della porta.
Un Mundial che parte con cattivi presagi, quello in terra iberica. De Core ricorda lo scialbo 0 a 0 contro la Jugoslavia 15 giorni prima dell’esordio. Le polemiche per le scelte del Vecio, che decide di lasciare a casa Roberto Pruzzo, il capocannoniere dell’ultimo campionato ed Evaristo Beccalossi, idolo dei tifosi dell’Inter, inimicandosi così parte della tifoserie e dalla stampa romana e milanese. Le tre partite del girone contro Polonia, Perù e Camerun sono un supplizio. Rossi, appena tornato dalla brutta storia del calcio scommesse, non è più il Pablito argentino: pare un giocatore da dopolavoro, eppure Bearzot continua a difenderlo e a metterlo in campo. Il resto della squadra, a parte Bruno Conti, gioca in modo quasi imbarazzante.
Il commissario tecnico è deriso, offeso, umiliato, racconta De Core: a parte qualche giornalista e lo scrittore Giovanni Arpino, amico di vecchia data – allora scrittori ed intellettuali scrivevano di calcio – ha tutta l’Italia contro: vuole la sua testa, subito. Più di uno, e non solo tra gli scriba, spera nel ritorno ignominioso della squadra azzurra al termine del girone a 4 ed ha pronta la gogna, per l’allenatore e per il suo centravanti fantasma. C’è grande tensione nel ritiro, scrive l’autore, che nella narrazione segue passo passo le giornate della nazionale. E la squadra decide così di isolarsi, di fare quadrato intorno al suo condottiero. È la svolta. Nessuno dei giocatori parla più con i giornalisti. I rapporti con i nemici della stampa li tengono lui, il Vecio, e il capitano Dino Zoff. Delegati a parlare. E il verbo parlare abbinato in particolare a Dino Zoff suona quasi un ossimoro. E forse è proprio quello l’obiettivo. Il resto è una cavalcata epica che Francesco De Core ripercorre con l’emozione del tifoso di allora e con la maestria del giornalista che ha ricostruito storie e aneddoti di quell’estate magica dell’82. Nel libro c’è poi spazio per il ritorno in Italia, le celebrazioni, gli osanna e le scuse tardive al Vecio. De Core chiude con un capitolo sul suo personale mondiale: i ricordi, le tensioni davanti alla tv, fino alla gioia indescrivibile di quando l’arbitro Coelho alza l’ultimo pallone, davanti a lui Cabrini si inginocchia e Nando Martellini può liberare il suo triplice campioni del mondo.
Confesso di essermi lasciato un po’ andare, ma “Mondiali 1982 – La rivincita” è un libro molto bello che consiglio sia a chi quel Mundial l’ha vissuto, perché ci ritroverà il sapore dolce di un mese scolpito per sempre nella memoria, sia a chi ne ha solo sentito parlare, perché è un’opera documentata, completa ed emozionante.
Gino Tomasini, bresciano, Giornalista Professionista
Studi di filosofia, Master in “Relazioni Pubbliche d’impresa” all’Università IULM di Milano. Dal 1990 vivo di parole, prima in radio, poi in alcuni quotidiani locali, tv e agenzie di pubbliche relazioni. Dal 2006 communications manager in una multinazionale farmaceutica.
Appassionato di libri.