10 domande a Elisa Rigaudo, la regina italiana della marcia
“Un atleta in corsa è una scultura in movimento.”
(Edwin Moses)
Nata a Cuneo il 17 giugno del 1980, Elisa Rigaudo ha tenuto alta la bandiera italiana dell’atletica in moltissime competizioni. Nell’agosto del 2008 la sua medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino fu l’unica a essere conquistata dall’atletica italiana femminile in quella edizione dei giochi olimpici. La marcia è una delle poche specialità dell’atletica in cui l’Italia da anni eccelle e la fulgida carriera di Elisa Rigaudo certifica il livello altissimo della scuola italiana. Oltre al bronzo di Pechino nella 20 km, Elisa ha vinto l’oro su strada agli Europei under 23 di Amsterdam 2001, nella classifica a squadre della Coppa Europa di marcia a Čeboksary 2003 e su strada ai Giochi del Mediterraneo di Almeria 2005.
Per 3 volte ha ottenuto la medaglia d’argento nella classifica a squadre di Coppe internazionali di marcia, prima nella Coppa del mondo a Torino 2002, poi nella Coppa Europa a Miskolc 2005 e infine a Murcia nel 2015. Nella marcia 20 km ha conquistato più volte il bronzo in altri appuntamenti internazionali: nella Coppa Europa a Miskolc 2005, agli Europei di Göteborg 2006, nella Coppa Europa di marcia di Olhão 2011 e ai Mondiali di Taegu, dopo la squalifica di un’atleta russa. Ha vinto 14 titoli italiani assoluti e detiene 5 record nazionali promesse. È la seconda marciatrice italiana più titolata di sempre nei campionati italiani assoluti, dopo Ileana Salvador.
- Ciao Elisa, innanzitutto come stai? Come è cambiata la tua vita in questi primi anni da ex atleta dopo il ritiro dall’attività agonistica?
Ciao, sto abbastanza bene, grazie.
La mia vita è sicuramente cambiata parecchio. Al momento del ritiro, a dir la verità, è stato abbastanza facile dire basta perché le mie energie si erano esaurite e allo stesso tempo ero soddisfatta dei risultati raggiunti durante tutta la mia carriera. Ho detto addio sorridendo alla vita.
- Da ex marciatore che ottenne buoni risultati nelle categorie giovanili (e solo in quelle perché mi ritirai a 16 anni) conosco abbastanza bene la fatica, i sacrifici e le rinunce a cui devono andare incontro gli atleti di questa specialità. Come e quando è nata questa tua passione per l’atletica, in particolare per la marcia? Hai mai vissuto un periodo difficile in cui sei stata sul punto di mollare?
La mia passione è nata per caso ai giochi della Gioventù. C’era da coprire il buco nella specialità della marcia e io mi sono proposta, in realtà arrivavo dalla corsa. Le sfide difficili già da piccola mi piacevano molto… Momenti complicati ci sono stati quando ho dovuto cambiare allenatore (Sandro Damilano, ndr) e non per mia volontà. È stato duro, ma nulla viene per nuocere. Ho avuto la possibilità di rimettermi in gioco con un nuovo allenatore e di vivere a Ostia allenandomi con un gruppo diverso come il “ParceTeam”.
- Sei stata una delle marciatrici italiane più forti della storia e all’Olimpiade di Pechino hai conquistato la medaglia più importante della tua carriera. Qual è il ricordo più nitido che hai di quella gara caratterizzata da una pioggia battente?
Quel 23 agosto del 2008 l’avevo tanto sognato e vissuto nella mia mente pensando che potesse essere il giorno perfetto. Così è stato già dalla mattina quando, appena alzata e aprendo le finestre ho visto che pioveva. Non c’era il caldo che non ho mai gradito.
La preparazione era stata perfetta, le sensazioni erano buone anche nei giorni d’ambientamento in Cina e avevo dentro un grande desiderio. Dopo lo sparo in pista ho preso la testa della gara decisa a condurre io il ritmo che era sostenuto. Avevo una gran lucidità mentale. Quando all’ingresso nello stadio ho sentito il boato delle 60.000 persone ho trovato le ultime energie per non farmi superare dalla cinese in rimonta.
- La marcia è una specialità costantemente soggetta al giudizio e alla supervisione dei giudici che osservano la correttezza dell’andatura. Ti è mai capitato di sentirti vittima di una ingiustizia?
Nel Mondiale del 2015 sono stata squalificata e nell’immediato ho trovato la squalifica ingiusta, ma a mente fredda ho capito che quel giorno non marciavo come il mio solito. Col senno di poi, è stato giusto interrompere la mia gara. Ho sempre avuto rispetto dei giudici e ho accettato il loro giudizio. Queste sono le regole e ogni sport ha delle regole.
- Tra tutte le specialità dell’atletica la marcia è una di quelle che ha regalato più soddisfazioni all’Italia, ma negli ultimi anni nel paese si respira finalmente un’aria di rinascita in tutto il movimento. Alcuni nomi come quelli di Tortu, Tamberi, Iapichino e le immancabili presenze nella marcia come Antonella Palmisano ed Eleonora Giorgi, fanno ben sperare per le Olimpiadi di Tokyo. Come vedi il futuro dell’atletica italiana?
L’atletica italiana deve creare delle basi partendo dalle scuole per provare a “reclutare” futuri atleti, inoltre bisogna investire sul settore tecnico per formare un alto livello di allenatori. Spero tanto che questi atleti di punta della atletica italiana possano raccogliere alle prossime Olimpiadi i successi che meritano, ma non dobbiamo sperare solo in una medaglia che salvi la spedizione italiana. Bisogna ottenere più piazzamenti di rilievo e puntare a migliorarsi anche in futuro, anche dopo una manifestazione così importante.
- Durante la tua carriera sei diventata mamma, hai avuto due gravidanze che hanno comportato l’interruzione degli allenamenti e la rinuncia ad alcune competizioni importanti. A giudicare dai risultati sei sempre ripartita con determinazione a abnegazione. Come sei riuscita a far coesistere i due ruoli, quello di madre e di atleta professionista?
Desideravo avere figli ma non ero disposta a farlo alla fine della carriera, per me sarebbe stato troppo tardi per diventare mamma. Con mio marito Daniele abbiamo deciso che l’anno meno importante, quello dell’Europeo, poteva essere il momento giusto. È arrivata Elena nel 2010 e qualche mese dopo ho ripreso a marciare, non ho mai smesso di pensare che un giorno sarei ritornata al mio sport. I dubbi più grandi riguardavano i risultati che avrei ottenuto dopo la lunga pausa, non sapevo se sarei riuscita a tornare al mio livello. Alla fine il ritorno all’attività mi ha dato una carica incredibile e a distanza di 10 mesi dal parto sono giunta addirittura terza al Mondiale.
Nel 2014 è arrivato Simone. Rientrare è stato più facile, forte della mia esperienza con la prima gravidanza. È invece diventato più complicato gestire due figli, ma grazie al super papà e all’aiuto dei nonni siamo riusciti a conciliare il tutto.
- Cosa stai trasmettendo e cosa vorresti trasmettere ai tuoi figli? Quale sport stanno praticando?
Ai miei figli e ai bambini che incontro nelle scuole trasmetto la passione e l’impegno che bisogna metterci in qualsiasi cosa nella vita e inoltre dico loro di sognare e puntare in alto, perché gli obbiettivi ti portano lontano.
Loro stanno praticando da diversi anni, in inverno, lo sci di fondo e in estate un progetto multidisciplinare a cui io stessa partecipo dando il mio contributo.
- Qualche giorno fa è ricorso l’anniversario della morte di Annarita Sidoti, marciatrice italiana campionessa mondiale ed europea. C’è un ricordo che ti lega a lei?
Ho avuto il piacere di vivere bellissimi momenti insieme quando io, più piccola rispetto alle “big”, andavo in ritiro con la nazionale. Siamo state in camera insieme al ritiro di Sestriere e in quella occasione lei ci aveva deliziati con la cucina siciliana. In Annarita ho sempre ammirato la sua tenacia e la sua voglia di arrivare in alto.
- Nelle ultime settimane la marcia italiana è stata al centro delle cronache quotidiane per via dell’intricata storia giudiziaria di Alex Schwazer, a cui hanno negato la partecipazione alle Olimpiadi nonostante la sentenza di un Tribunale italiano che lo scagionava dalle accuse di doping. Il suo allenatore, Sandro Donati, ha detto che “il potere della giustizia sportiva è incontrollato e incontrollabile. È autorefenziale, i loro procedimenti si risolvono in delle ore o in pochi giorni. E questa non è giustizia”. Tu che idea ti sei fatta sulla vicenda?
Mi dispiace che la cronaca italiana dia così tanta visibilità e notorietà a un ex atleta che ha barato, che ha fatto uso di doping e che ha voluto strumentalizzare la sua vicenda. Sono dell’idea che più se ne parla e più lui ci guadagna da questa vicenda, peraltro molto triste. Lo sport è tutt’altra cosa, è fatto innanzitutto da passione. Bisogna liberarsi dall’ossessione della vittoria a tutti i costi e con ogni mezzo.
- Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande più “leggere” le cui risposte alle nostre interviste saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Ci può dire il titolo del libro che stai leggendo, la canzone che ti accompagna in questo mese e il tuo piatto preferito?
Il libro che stò leggendo è “Forza velocità resistenza flessibilità” un libro per l’Università di Scienze Motorie a cui sono iscritta da quest’anno. La canzone che mi accompagna, avendo una figlia con età da teenager, è “Malibu” di Sangiovanni e il mio piatto preferito sono le lasagne al pesto… che bontà!!!
Giornalista pubblicista, vive a Roma, ma di radici e origini ponzesi. Fotografo a tempo perso, appassionato di letteratura, heavy metal e new wave da sempre. Per Bertoni Editore ha pubblicato “Siamo Uomini o Calciatori”.