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10 domande a Tania Di Mario, il mito della pallanuoto femminile italiana

Tania Di Mario | Foto: Ekipe Orizzonte
Tania Di Mario | Foto: Ekipe Orizzonte

La  pallanuoto è affascinante, dura, leale, sommersa
(Paolo De Crescenzo, pallanuotista e allenatore di pallanuoto deceduto il 2 giugno 2017)

Esistono immagini, espressioni e volti che la nostra mente automaticamente associa a un settore, a un campo specifico della società e anche a uno sport. Il volto sbarazzino di Tania Di Mario che si trasforma in un’esultanza liberatoria dopo la vittoria nell’estenuante finale olimpica di Atene nel 2004, rappresenta una delle istantanee memorabili della pallanuoto italiana. Nata a Roma il 4 maggio del 1979, Tania Di Mario è uno dei simboli tricolori dello sport più duro della piscina. La sua è stata una carriera costellata di successi, costruiti negli anni, conquistati principalmente nel Setterosa e con la calottina dell’Orizzonte Catania. Con il club etneo ha vinto tredici scudetti, una Coppa Italia e in campo internazionale ha conquistato sette Coppe dei Campioni e una Supercoppa europea.

Il contributo di Tania è stato determinante in Nazionale nell’indimenticabile vittoria olimpica del 2004, al culmine di una competizione trionfale per il Setterosa nella quale la Di Mario ha vinto anche la classifica cannonieri ed è stata nominata migliore giocatrice del torneo. Alle Olimpiadi di Rio del 2016, l’ultima della sua vita, ha salutato  la nazionale con una medaglia d’argento. Ha vinto tre volte i campionati europei (a Prato nel1999, a Lubiana nel 2003 e ad Eindhoven nel 2013) e due medaglie d’argento, a Budapest nel 2001 ed a Belgrado nel 2006.

Ha partecipato a cinque edizioni dei campionati mondiali vincendo l’oro a Fukuoka nel 2001 e l’argento a Barcellona nel 2003, mentre a Montréal nel 2005 ha vinto la classifica cannonieri. Con il Setterosa ha ottenuto anche il bronzo alla World league di Long Beach nel 2004, dove vinse ancora una volta la classifica di miglior marcatrice, e l’argento nell’edizione di Cosenza nel 2006. Bronzo anche in Coppa del Mondo a Winnipeg nel 1999 e medaglia d’argento a Tianjinn, nel 2006, condita dal riconoscimento di MVP del torneo. Attualmente è presidente dell’Orizzonte Catania, club che si sta giocando l’ennesima finale scudetto dalla sua storia. 

Tania Di Mario, Setterosa | Foto: Coni

Ciao Tania, grazie per aver accettato il nostro invito. Avete pareggiato, adesso siete sull’1-1 (l’intervista è stata realizzata quando le due squadre erano in parità nella finale scudetto, ndr) in una serie molto equilibrata: come stai vivendo da presidente la finale scudetto che l’Orizzonte Catania, la tua squadra, sta disputando contro Padova?

Male… si può rispondere solo così?! (ride, ndr) No, a parte gli scherzi, da presidente a volte ho una sensazione di impotenza, di non poter fare nulla per aiutare le ragazze durante partite fondamentali come quelle decisive. Non è la prima finale che vivo da presidente, ma per me è sempre stato così. La mia esperienza è più grande da giocatrice che da dirigente, quindi significa che devo ancora abituarmi del tutto a questa dimensione. E’ certamente bello vederle giocare da fuori e notare come Martina Miceli le abbia preparate al meglio, mentre da parte mia faccio sempre il possibile per fare in modo che tutto funzioni al meglio. Il mio coinvolgimento, però, resta ancora piuttosto “fisico”, ogni volta che le vedo giocare mi immagino sempre in acqua insieme a loro e quindi non posso fare a meno di soffrire.

L’ultimo titolo italiano è stato vinto proprio dal tuo club, ma è del 2019 perché nel 2020 il campionato non è stato portato a termine. Quanto e come ha pesato sugli atleti e sul movimento della pallanuoto la cancellazione della scorsa stagione a causa della pandemia?

Ha pesato molto, è un grosso buco che ha influito sullo sport in generale, non solo sulla pallanuoto. Alle ragazze dico sempre di stimarle perché al posto loro non so come avrei reagito con i continui lockdown e gli stop ad allenamenti e partite. Sono state brave, è stato molto complicato perché è stata una sitauzione che ha lasciato qualche strascico. L’altro aspetto negativo riguarda il piano economico, per noi è stato un problema riuscire a trovare degli sponsor che a causa della pandemia non potevano più garantire le stesse cifre. Non abbiamo avuto neanche grandi aiuti economici dallo Stato.

Il Setterosa, che solo cinque anni fa conquistò la medaglia d’argento, non si è qualificato alle Olimpiadi di Tokyo. Un evento molto raro nella sua storia, sicuramente una delusione enorme per molte ragazze: in questi mesi hai avuto modo di parlare della questione con qualche atleta della Nazionale, di rincuorarne qualcuna o di dispensare dei consigli per il futuro?

Io e Martina (Miceli, l’allenatrice del Catania, ndr) siamo le uniche che abbiamo già vissuto questa delusione, era il 2000 quando non ci qualificammo per le Olimpiadi e noi due eravamo in acqua. Sì, ne abbiamo parlato, noi abbiamo ben sei ragazze della Nazionale. Abbiamo detto loro che la delusione non si cancella, si tratta di una ferita che non dimenticheranno mai. Col tempo non passerà il brutto ricordo, ma si abitueranno a conviverci. Quando ho visto nei loro occhi la tristezza la mia mente è tornata a quel giorno di 21 anni fa in cui provai la stessa sensazione. E’ un evento che ti rende più forte come tutte le sconfitte della vita. Non andare alle Olimpiadi è un trauma sportivo molto significativo, ma dopo averlo subito pensi che in futuro non potranno mai esserci sconfitte peggiori. Questi sono i due lati positivi.

Foto: Federnuoto
Foto: Federnuoto

Parliamo di te e dell’inizio della tua storia d’amore con la pallanuoto. Come è nata questa passione? Quando hai iniziato a praticare questo sport nella tua città, a Roma?

In realtà è una passione nata proprio per caso perché tutte le mie compagne del nuoto a un certo punto andarono a giocare a pallanuoto alla Vis Nova, a San Giovanni. Rimasi da sola così loro mi chiesero “Cosa aspetti ad aggregarti a noi?”. Fui fortunata perché non pensavo neanche lontanamente di diventare una giocatrice di pallanuoto.

Cosa diresti a un ipotetico genitore che, per diffidenza o per sue convinzioni personali, vorrebbe convincere la sua bambina a non avvicinarsi al mondo della pallanuoto?

Gli racconterei la mia esperienza personale. La pallanuoto mi ha regalato un’altra famiglia che è quella delle mie compagne di squadra del passato e del mio attuale club, io le chiamo “le mie sorelle”. Probabilmente non sarei diventata la persona che sono adesso se non avessi giocato a pallanuoto. Mi ha dato la voglia di non arrendermi mai anche nella vita e, a tal proposito, mi permetto di dire che in questo periodo vedo i giovani troppo arrendevoli su quel piano. A un genitore direi queste cose, è uno sport che ti migliora sia fisicamente che mentalmente.

Nell’Olimpiade del 2004 hai vinto con la Nazionale Italiana la medaglia d’oro insieme alle tue compagne e sei stata nominata miglior giocatrice del torneo. Proviamo a ritornare indietro con la macchina del tempo e a ricordare il giorno della finale contro la Grecia, Nazionale che tra l’altro poteva contare anche del tifo a favore del paese ospitante. Qual è il frammento di ricordo che ti viene in mente di quella giornata, il flashback che ti è rimasto particolarmente impresso e che ti torna costantemente nella mente?

Prima della partita Pierluigi Formiconi, il nostro allenatore, non ci ha detto quasi nulla, solo una frase: “Ora posso aprire la gabbia, uscite”. Era una frase per caricarci, un invito alla battaglia.

Foto: Coni
Tania Di Mario e Aleksandra Cotti – Rio 2016 Olympic Games, Rio de Janeiro | Foto Coni/ANSA/ETTORE FERRARI

Hai mai vissuto un momento della tua carriera in cui eri sul punto di mollare, di non riuscire più a sostenere i sacrifici e le rinunce che questo sport richiede per sperare di arrivare al livello altissimo dove tu sei arrivata?

Fino a quando non ho smesso veramente non ho mai pensato di smettere.Ho lasciato la Nazionale per altri motivi, ma il pensiero di mollare del tutto la pallanuoto non mi è mai passato per la testa, neanche quando ho attraversato i periodi più brutti. E’ sempre stata una componente importante che ha reso felice la mia vita. Poi ho smesso, esagerando perché ho detto addio abbastanza tardi (ride, ndr), ma alla fine sono stata fortunata perché mi sentivo ancora in forma fino all’età in cui ho detto basta.

Ti sei trasferita da giocatrice a Catania molto presto, nel 1997. Oltre ai numerosissimi successi con il club catanese, hai trovato anche il tempo e il modo di laurearti in Economia e Commercio nella città etnea e hai avuto un figlio. A quanto pare Catania ti ha dato molto; avresti immaginato una vita così intensa quando hai dovuto lasciare Roma?

No, anzi speravo che fosse solo una parentesi temporanea contavo di tornare a Roma dopo qualche anno. Mi viene il magone quando vedo la mia famiglia a Roma, ma Catania è diventata la mia casa e vorrei che fossero tutti qui con me.

Come è cambiato il movimento della pallanuoto italiana in questi anni? Quali sono gli aspetti più migliorabili e quale strada bisognerebbe tentare di percorrere per rendere questo sport più popolare e praticato?

Abbiamo commesso degli errori nel recente passato quando non siamo riusciti a sfruttare i momenti buoni del movimento, le vittorie delle Nazionali e dei club. Adesso stiamo attraversando un periodo non troppo positivo, la mancata qualificazione alle Olimpiadi purtroppo influirà negativamente nell’immediato futuro. Mi auguro di vedere altri successi importanti e spero che vengano utilizzati meglio per promuovere questo sport. Il coinvolgimento delle giovani ragazze che vogliono giocare a pallanuoto è fondamentale e in questo campo noi italiani non siamo mai stati molto bravi. Abbiamo attraversato un gap generazionale non indifferente. Con un piccolo incentivo della Federazione riusciremmo a raggiungere risultati migliori, a volte ho l’impressione che sia mancato l’interesse ai piani alti. Da parte nostra abbiamo lottato per ripristinare, ad esempio, i play off. E’ una formula che avvicina di più il pubblico, è più avvincente.

Foto: Coni
Foto: Coni

Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande più “leggere” le cui risposte alle nostre interviste saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Ci può dire il titolo del libro che stai leggendo, la canzone che ti accompagna in questo mese e il tuo piatto preferito?

Il libro che sto leggendo si chiama “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci, è lì sul comodino e prima o poi lo finirò. La canzone che sto ascoltando più spesso negli ultimi tempi è “Rewind” di Vasco Rossi, mentre il mio piatto preferito è la pizza. Qui a Catania la fanno più alta, alla napoletana, ma ho trovato una pizzeria che si avvicina ai miei standard romani… la preferisco “scrocchiarella”, almeno su quel lato sono rimasta romana!