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10 domande ad Antonella Bellutti, la regina italiana del ciclismo su pista

10 domande ad Antonella Bellutti, la regina italiana del ciclismo su pista
10 domande ad Antonella Bellutti, la regina italiana del ciclismo su pista | Foto: CONI

La bicicletta è l’immagine visibile del vento
(Cesare Angelini)

La candidatura alla presidenza del Coni, l’ultima tappa della sua vita intensissima e multiforme, si rivelava da subito come una delle più difficili. Riuscire a scalzare Giovanni Malagò dallo scranno dell’organismo di governo sportivo era la sfida che Antonella Bellutti, l’icona del ciclismo femminile italiano, aveva lanciato alle istituzioni. Un atto di audacia che la Bellutti ha promesso a se stessa di ripetere, tra qualche anno. Del resto la sua storia di vita è sempre stata una continua ricerca di nuove complicate sfide da affrontare, di battaglie da provare a vincere. Nata a Bolzano il 7 novembre del 1968, Antonella Bellutti ci mette qualche anno prima di dedicarsi a tempo pieno alle due ruote. Gli albori della sua carriera sportiva diventano un girovagare tra le piste di atletica e non di ciclismo. Antonella è una valente e giovane atleta dei 100 m ostacoli; in quella specialità conquista il record italiano nella categoria juniores e vince ben sette titoli giovanili italiani.

Dal 1991 sale in sella a una bici da pista per restarci fino a compiere molte imprese memorabili. Ai mondiali di Bogotà del 1995 ottenne la medaglia d’argento. Nel 1996 stabilisce il nuovo record del mondo sui 3 chilometri (3 minuti 31 secondi e 924 millesimi), ma alle Olimpiadi di Atlanta arriva la soddisfazione più grande con la medaglia d’oro nell’inseguimento. Vince anche la classifica di Coppa del Mondo generale nel 1996 e nel1997, 4 coppe di specialità nel 1995, 1996,1999 e 2000, il bronzo ai mondiali del 1996, l’oro agli europei del 1997, due “Sei Giorni” di Milano nel 1998 e nel 1999.

Ai Giochi olimpici di Sydney 2000 vince un altro oro, stavolta nella corsa a punti. Ha vinto, complessivamente, 16 titoli italiani: 7 nell’inseguimento (consecutivi, dal 1994 al 2000), 6 nei 500 metri (consecutivi, dal 1995 al 2000), 2 nella velocità (1997 e 2000) ed uno nella corsa a punti (1997). Si ritira dal ciclismo a fine 2000. Il suo spirito avventuriero la catapulta in un altro sport il bob, dove diventa frenatrice di Gerda Weißensteiner alle olimpiadi invernali del 200 di Salt Lake City, piazzandosi in settima posizione.

Ciao Antonella, grazie per aver accettato il nostro invito. Come stai trascorrendo le tue giornate dopo la pionieristica avventura da candidata alla presidenza del Coni?

Sono molto impegnata, la mia quotidianità è sempre molto intensa. Seguo diversi progetti. Non è cambiato nulla rispetto a ciò che facevo prima, è solo aumentata la quantità di cose fatte nei mesi dedicati alla candidatura. Sto vivendo questo periodo con la consapevolezza di aver accresciuto la mia rete di relazioni e di contatti umani, è stata un’esperienza che mi ha dato molti riscontri positivi. 

Cosa ti ha lasciato questa esperienza? Alla luce dei risultati delle votazioni hai mai avuto la percezione di dover scalare una montagna altissima? Questa candidatura rappresenta solo il primo tentativo oppure senti dentro di te il dovere di doverci riprovare tra qualche anno?

E’ un’avventura che mi ha lasciato moltissimo, difficile sintetizzare in poche parole. Di sicuro mi ha lasciato la soddisfazione di aver lanciato dei temi che ora riempiono le agende di tutti coloro che si occupano di sport, dal presidente del Coni al presidente di Sport e Salute, fino alla sottosegreteria allo sport, Valentina Vezzali. Il lavoro svolto in questi mesi aveva come obiettivo principale la stesura di un documento partecipato che avrebbe dovuto trattare vari temi che fossero un riferimento per la dirigenza del futuro, a prescindere dal fatto che io ne facessi parte o meno. La percezione di dover scalare una montagna altissima in realtà l’avevo prim delle stesse elezioni. La difficoltà oggettiva di dover racimolare voti non ha scalfito i miei sentimenti durante la campagna elettorale. Ho fatto una sorta di “anti” campagna elettorale cercando di mettere in luce l’arretratezza del sistema di voto che prevede l’elezione del presidente del Coni con i voti dei presidenti delle Federazioni.

Una cornice in cui diventa molto difficile approfondire i gravi problemi e le criticità dello sport italiano (di cui la stessa dirigenza è complice o ne è la causa) pensando di raccogliere dei consensi. Ho fatto una campagna di rottura e di denuncia che voleva, allo stesso tempo, essere propositiva e far recepire i temi che ci stavano a cuore. Ci sono riuscita. Questa candidatura ha voluto tracciare una via, non è importante se ci sarò o meno alle prossime elezioni. Il comitato e il gruppo di lavoro continueranno a lavorare e porteranno alle candidature nei Consigli, negli organi elettivi delle Federazioni e del Coni. molte donne e molti uomini che vogliono un cambiamento, una rigenerazione di questo modello di gestione dello sport italiano.

Nella lettera di ringraziamento finale pubblicata sul tuo sito e dopo le elezioni del Coni accenni a ”gravi e profonde criticità dello sport italiano”. A cosa ti riferisci, in particolare?

Mi riferisco a tutti i punti centrali della mia campagna elettorale, che ho toccato nei dieci minuti di relazione pre voto e che sono stati pubblicati sia sui miei profili social che sulle pagine del comitato. Te ne elenco alcun, il primo consiste nel mettere al centro del sistema sportivo italiano la scuola e l’associazionismo affinché lo sport diventi diritto di cittadinanza e crei una società sana e attiva. L’agonismo, una parentesi che si apre e si chiude all’interno di un percorso in cui i cittadini hanno la possibilità di praticare sport fin dall’infanzia, deve essere la base per avere una nazionale olimpica competitiva. Poi c”è il grande tema del lavoro nello sport, uno dei pochissimi campi in cui il costo del lavoro prevale sulla tutela dei diritti dei lavoratori, è una cosa che considero una vergogna perché ad esempio lo sport iper specializzante è incompatibile con qualsiasi altro impegno, una situazione inevitabile che condiziona la formazione e l’attività finisce in un’età in cui si è ancora molto giovani e ci si deve riciclare con un’altra vita, un’altra identità, un’altra professione.

Non si ha la possibilità di formarsi mentre si pratica l’attività e non si hanno neanche le tutele destinate ai lavoratori. Ciò vuol dire fare dell’agonismo una bolla di disadattamento. E’ grave anche che si punti ai gruppi sportivi militari come soluzione a questo problema perché in realtà non è una soluzione, casomai un’alternativa. Ma è un’alternativa che costa circa 34 milioni di soldi pubblici all’anno per non risolvere completamente il problema, anzi spesso gli atleti a fine carriera nei gruppi sportivi militari vengono invitati ad andarsene, inoltre i gruppi militari tolgono i talenti alle società sportive che li crescono. Infine, il gruppo sportivo militare spesso non rappresenta un modello di doppia carriera come potrebbero essere i vecchi centri universitari sportivi.

Torniamo alle tue origini di atleta. Hai cominciato con l’atletica leggera, nei 100 m ostacoli, ottenendo anche in quel campo e in ambito giovanile degli ottimi risultati, poi sei passata al ciclismo dove hai lasciato un segno indelebile. Da dove proveniva tutta quella forza e la determinazione che ti hanno portato a primeggiare in due sport così diversi?

Quando parlo di questo argomento ci tengo sempre a precisare che sono una ciclista per caso, tutto ciò dovrebbe far riflettere e ridiscutere il modello sportivo italiano e la Federazione ciclistica visto che sono l’unica donna italiana ad aver vinto nel ciclismo su pista le Olimpiadi… Nell’atletica avevo un grande talento, poi un infortunio mi ha bloccata e per questioni di rieducazione fisica ho cominciato ad andare in bicicletta. Il destino ha voluto che io superassi sulle due ruote, durante un allenamento, due responsabili dell’attività su pista della mia regione. Mi hanno subito riconosciuta come “la ragazza dell’atletica”, mi hanno cercata e mi hanno proposto di provare a praticare seriamente ciclismo su pista. Da quel momento è iniziata questa seconda carriera. Il “riciclo del talento” è un concetto della metodologia dell’allenamento piuttosto radicato. Forza e determinazione uniti al talento sono i tre ingredienti per raggiungere i grandi risultati. La possibilità di riscattarmi con due vittorie olimpiche e dopo l’infortunio che mi ha tolto il sogno dell’atletica, è stata percepita come un grande regalo che la vita mi ha voluto fare.

Una bambina vorrebbe iniziare a praticare ciclismo, ma i genitori si oppongono per qualche astruso motivo. Cosa gli diresti per fargli cambiare idea?

Sinceramente non gli farei cambiare idea perché il ciclismo è uno sport che in Italia non si può praticare come si deve, primo perché c’è un morto ogni 34 ore sulle strade, poi perché se vuoi fare pista non ci sono piste. Gli consiglierei qualche altro sport e di andare in bici solo per puro divertimento o al limite di usarla come mezzo di trasporto.

Alle Olimpiadi di Atlanta e a quelle di Sidney hai vinto due memorabili medaglie d’oro in due specialità diverse, l’inseguimento e la corsa a punti. Quali sono le due istantanee nella tua mente, i due frammenti di ricordi più nitidi che hai di quelle due Olimpiadi?

Di Atlanta ricordo l’ultimo giro dell’inseguimento in cui avevo accumulato un vantaggio enorme sulla francese Cilgnet, ormai sapevo che la medaglia d’oro sarebbe stata mia e in quel giro di pista di 250 metri era come se il tempo si fosse dilatato, in ogni metro mi assaliva la paura che succedesse qualcosa, una foratura, che arrivasse un fulmine a incendiarmi la bicicletta… è stato un giro di pista interminabile, la tensione e la paura si sono trasformate in gioia e bellezza quando ho tagliato il traguardo. Della corsa a punti di Sidney ricordo il momento in cui ho vinto la penultima volata mettendo una certa distanza tra me e le altre, da quel momento ho capito che avevo molte chance di vittoria, è come se fosse scattata dentro di me una forza interiore, è un qualcosa che tutti dovrebbero provare nella vita per capire quanto spesso sia solo la nostra mente a porci dei limiti. 

Poco tempo dopo questi due trionfi hai ricevuto il Collare d’Oro al Merito Sportivo e sei stata nominata dal Presidente della Repubblica Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Hai dato tanto allo sport italiano, ma dopo essere uscita dal mondo dell’attività agonistica hai dichiarato di aver sofferto il trauma e l’improvviso distacco dalla vita di atleta. Hai mai pensato in quei momenti di essere stata un po’ dimenticata dalle istituzioni sportive?

No, non ho mai pensato di essere stata dimenticata ma di essere stata strumentalizzata in più modi, dal Coni e dalla Federazione. Mi ha fatto molto male perché un atleta non può pensare di doversi difendere dalle istituzioni che lo rappresentano. E’ un tema che mi fa soffrire perché vorrei smuovere la sensibilità degli atleti perché se non sono loro a rivendicare certi diritti non lo saranno mai né i dirigenti e né qualcun altro in loro vece.

Nel tuo libro “La vita è come andare in bicicletta” tratti il tema dell’alimentazione e di come molte regole in questo campo diventino un dogma per tutti gli sportivi professionisti a caccia di continui miglioramenti delle performance. Parli del corpo degli atleti come di uno strumento di lavoro da mantenere nella massima efficienza e racconti di essere diventata vegana: lo hai fatto per liberarti principalmente delle costrizioni del passato oppure è emerso anche un fattore etico nella tua scelta?

Parlo della scelta vegana perché è stato un modo di raccontare la mia vita di atleta attraverso l’alimentazione, inoltre ho cercato di dare un messaggio di divulgazione scientifica in riferimento alle evidenze che collegano positivamente l’alimentazione vegetale alla performance sportiva di cui tanti atleti importanti ora sono testimoni. Ho voluto anche toccare il tema dei disturbi alimentari in campo sportivo, un problema sommerso e di cui se ne parla troppo poco. Infine mi fa sempre piacere promuovere  l’alimentazione vegan come stile di vita e come scelta positiva per un modello vita sostenibile verso cui tutti dovremmo muoverci per provare a cambiare le nostre abitudini, a maggior ragione dopo la pandemia. Tutto ciò che mettiamo nel carrello quando facciamo la spesa può influenzare l’ambiente in cui viviamo. Noi non siamo sulla faccia della Terra, ma siamo la faccia della Terra.

Qual è la cosa più bella che ti è capitata da quando hai lasciato l’attività agonistica?

La cosa più bella che mi è capitata è stata capire quanto la vita sia bella anche senza gare. Comprendere come la vita agonistica abbia molti punti di contatto e di sovrapposizione con la vita da non atleta, per essere vissuta nel migliore dei modi.

Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande più “leggere” le cui risposte alle nostre interviste saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Ci può dire il titolo del libro che stai leggendo, la canzone che ti accompagna in questo mese e il tuo piatto preferito?

Il libro che sto leggendo è “L’elogio della mitezza” di Norberto Bobbio, il mio piatto preferito estivo è la panzanella mentre la canzone che sto ascoltando in questo periodo è “Never Enough” di Loren Allred.