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Pink Society

lo sguardo rosa sulla società

Racconti Pink – ZITELLA (Paola)

Racconti Pink - ZITELLA (Paola)

“Zitella, a me?” pensò. Ma come si permette questa qua!

“Scherzavo, è una battuta!”

“Ma quando mai: dal cuore alla bocca, hai detto quello che pensavi” non disse Paola.

Come poteva quell’orrido epiteto essere associato alla sua splendida persona? Una volta, anni fa, si era sposata! Pensava di essersi tolta il pensiero e che, in questo modo, passava di categoria. Non dico di essere in serie “A”, quelle sono le ben maritate con prole, manco di serie “B” (mal maritate con prole), segue la C.1 malmaritate senza prole, C.2 separate con prole, ma almeno C.3, cioè le separate/divorziate senza prole, quello, pensava di meritarselo.

E invece no: una NC, non classificata o meglio classificata dalla stragrande maggioranza della gente, quella maggioranza silenziosa tanto gentile davanti, ma che ti parla dietro con falsa pietà mista a disprezzo, come di una ZITELLA.

Una che li mette tutti in fuga. Rigida come un palo (portamento, pensava Paola). No, lesbica non credo, non vedi come li guarda gli uomini?

Paola decise di prendersi una rivincita e accettò, dopo mesi di no, l’invito a una delle tristissime cene di single, che una sua amica organizzava ogni settimana, facendoci su la cresta.

Tirata a lucido, si ritrovò in una lunga tavolata, con a destra un impiegato delle poste, a cui fece credere di essere una commessa, e a sinistra uno che se la tirava da intellettuale: a lui disse che era impiegata, quasi funzionaria.

Faceva la splendida, sorridente, spiritosa, su di giri, insomma in una parola, figa, figa per una notte.

Ad un tratto davanti a lei notò due occhi scuri, stranamente intelligenti. Una bella criniera grigia (l’età allora c’è, se po’ ffa’…), ma le sembrava irrimediabilmente bruttarello e a lei era rimasta addosso quella scoria di gioventù, che le piacevano quelli belli.

“Però, mica posso andare avanti così…” ammise tra sé e sé.

Le sembrava anche bassino, ma quello non le dispiaceva, così non sfigurava lei.

Doveva accertarsene e, con furbizia da manuale, si recò al bagno, fece il giro largo dandogli un’occhiata da seduto e, quando tornò indietro, si avvicinò per presentarsi, simpatica come non mai, costringendolo ad alzarsi in piedi.

Proprio brutto. E basso, e pure un po’ grasso.

Però simpatico. Spiritoso, iniziò una serie di battute a raffica, facendola divertire tantissimo.

Intelligente, acuto e poi… “È un artista importante… mi ha notata! Con tutte queste donne al tavolo, ha preferito me. Ma certo, con la sua sensibilità da musicista ha sentito vibrare qualcosa, ha sentito energia positiva, ha riconosciuto la qualità”.

Nei giorni successivi attese la telefonata che lui le aveva promesso e che non tardò.

Gentile, irreprensibile.

“Posso passare a prenderti sul lavoro?” chiese “poi mi accompagni fino al teatro”.

E così iniziarono a vedersi. Rimaneva il fatto che fisicamente le faceva un po’ senso e le dava fastidio farsi vedere in giro con uno vestito così male.

“Ma certo, lui se ne frega perché è un artista, sono io che sono una snob borghese attaccata alle apparenze” si disse per convincersi di sbagliare.

L’artista non ci provava, si limitava alla passeggiata ufficio/teatro.

Dopo lo spettacolo, la chiamava per un saluto. Andarono avanti così per due, tre mesi.

“Che uomo ottocentesco, che rispetto ha per me! Di questi tempi!” si cullava Elisabetta, che si trovava a pensare a lui suo malgrado, cadendo nella trappola abilmente predisposta dal preveggente artista.

Dopo qualche settimana, caddero sul discorso “di noi due”, lui le disse che non aveva fretta, che le cose vanno assaporate lentamente e che bisogna seguire il ritmo musicale, l’armonia.

Un pomeriggio lei uscì dallo studio prima del solito e si diresse verso la metropolitana. Quel giorno non si sarebbero visti, lui aveva non si sa quale impegno, lei non aveva chiesto, lui non aveva detto.

Meglio così, stasera devo uscire, faccio in tempo ad andare dal parrucchiere vicino a casa.

Arrivata alla fermata della metropolitana, andò all’edicola per comperare il biglietto, quando vide una signora sui quaranta, alta, mora e un po’ formosa che andava nella sua stessa direzione.

Dietro c’era lui, scodinzolante. Ah.

Frazione di secondo: riconoscimento, faccia di bronzo, presentazioni.

“Ti presento la mia amica cantante, Roxana”

“Piacere”.

“Piacere”, veramente il dispiacere è tutto mio, anzi di ambedue, l’altra fece una smorfia infastidita e si allontanò per timbrare il biglietto e scendere verso la fermata.

Purtroppo, Paola doveva andare nella sua stessa direzione e, invece di inventarsi una scusa qualunque, si incamminò dietro a lui, che si manteneva a una distanza equidistante tra le due donne.

“È solo un’amica, sai…”

“Non mi devi spiegazioni…”

“Ma io te le voglio dare… è una cantante lirica… rumena”

“Ah…e lo spartito che hai in mano?”

“Quello… sto provando lo spettacolo…”

“Ah.”

“Ogni tanto la accompagno, anche lei fa le prove…”

“Capisco.”

Nel frattempo, erano arrivati alla banchina della metropolitana, il treno in arrivo.

Lui, vedendo Roxana in lontananza che, con tutta evidenza, lo stava aspettando scocciata, trotterellò dietro alla formosa straniera, tirando Paola per un braccio.

“Vieni, fate conoscenza…”

“Ma manco per le palle…” pensò, ma non disse.

Quando salirono tutti e tre e si attaccarono allo stesso apposito sostegno per non cadere, come da indicazioni della voce anonima dell’ATM. Silenzio e imbarazzo.

Roxana più incazzata, a dire il vero, tanto che guardandolo bene in faccia con l’aria di chi lo conosce molto, ma molto bene, disse “Ma chi è questa qua?”

La sciagurata non scese alla fermata successiva, non le diede il pugno in faccia che avrebbe voluto mollarle all’istante, ma guardò lui, interrogativa.

“È una mia cara amica, fa l’avvocato”.

“Ah.”

“Sai se hai bisogno, per il permesso di soggiorno ah ah!”

Che simpatico.

Scese.

******

“Sto disgraziato, chissà quante ne aveva…” disse Annalisa quasi a volerla consolare.

“Perché sei tu la protagonista, vero?” aggiunse, sadica.

“Beh sì, è logico…” rispose Paola abbassando gli occhi, per poi rialzarli prontamente “perché nei vostri racconti non siete voi le protagoniste!?”

“No, no, nel mio no… si svolge a Reggio Calabria, non posso essere io ih ih!”

“Come se bastasse cambiare ambientazione…” pensò Annalisa.

“Ok ragazze, è l’ultima storia… ringraziamo tutte Claudia per lo sforzo interpretativo…”

Applausi, risate, bacini lanciati.

“Sentiamo la storia di Alexia e poi tutte a casa!”