Libri: Riccardino di Andrea Camilleri
Pare brutto ma la prima domanda che uno si fa quando apre Riccardino è: in che modo il Maestro chiuderà la vita letteraria del suo Commissario?
Lo farà morire da eroe, magari salvando un bambino? O lo farà congedare, schifato da un mondo sempre più lontano dalla sua etica e dai suoi ideali? Poi, pagina dopo pagina, scopri che rispondere a quella domanda è sì importante, perché lo sai che quello è l’ultimo Montalbano, ma la storia e la costruzione della trama ti toglie dal tuo pensare.
È un po’ come Cronaca di una morte annunciata. Il protagonista muore nelle prime pagine, non è che te lo immagini, te lo dice Marquez, eppure la capacità dei grandi è riuscire a farti sperare fino all’ultimo che quello che è accaduto non sia accaduto realmente. Il Commissario di Vigata qui prende le sue vere sembianze e anche un po’ le distanze dal suo doppio televisivo. E dialoga con Camilleri, l’Autore, che lo chiama da Roma a proporgli diversi scenari nella conduzione e nella risoluzione dell’indagine che sta seguendo: l’omicidio di un giovane direttore di banca. Un delitto dietro il quale non c’è solo una storia di corna come si vuol far credere: c’è mafia, droga, potere costituito, addirittura un vescovo. Camilleri ci prova a dare una via d’uscita di comodo a Montalbano, la passerella onorevole prima della pensione, ma quello è testardo, non accetta compromessi, va avanti per la sua strada. E l’Autore lo lascia fare. Fino a un certo punto però, perché la penna è la sua. Quindi, dissolvenza.
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Gino Tomasini, bresciano, Giornalista Professionista
Studi di filosofia, Master in “Relazioni Pubbliche d’impresa” all’Università IULM di Milano. Dal 1990 vivo di parole, prima in radio, poi in alcuni quotidiani locali, tv e agenzie di pubbliche relazioni. Dal 2006 communications manager in una multinazionale farmaceutica.
Appassionato di libri.