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Dalla Terra e ritorno, a caccia di tracce di vita passata e futura nello spazio

Di Canarie, addestratrici di astronauti, vulcani estinti, ed esploratrici sulla Luna (Ovvero come un’avventura su un’isola selvaggia tra giri in kayak e antichi tubi lavici, si è trasformata in un surreale viaggio nello spazio con echi dal futuro)

Credits: ESA–A.Romeo

Apparvero all’improvviso, piccole macchie verde fluo che avanzavano nel rosso e nero del deserto di roccia infinito che è quest’isola senza tempo, intrappolata tra il blu intenso dell’Atlantico e il cielo tiepido e lattiginoso di metà novembre, come un antico insetto in un’ambra del colore sbagliato. E no, non erano marziani, anche se tutto il paesaggio su cui posi lo sguardo a Lanzarote ricorda il pianeta rosso delle più recenti foto di Perseverance.

Il giorno dopo aver ridisegnato con il kayak le taglienti coste che salutano il Sahara occidentale, io e il mio compagno di viaggio decidemmo di inoltrarci nel cuore delle distese nude e surreali del geoparco, alla ricerca delle pochissime grotte visitabili dagli speleologi. Fu proprio in quella mattina assolata che “loro” attraversarono il nostro orizzonte. E sebbene non indossassero le ingombranti tute bianche immortalate nell’immaginario collettivo, riconobbi immediatamente quelle maglie verdi – a me decisamente familiari – mentre svanivano una ad una nell’imponente voragine Jameo de la Gente, una delle tante porte di accesso ai chilometrici tubi lavici del vulcano La Corona: erano astronauti e istruttori dell’Agenzia Spaziale Europea, che stavano completando il corso di addestramento PANGAEA. Gli allievi erano l’astronauta americana della NASA Kathleen Rubins, l’astronauta danese dell’ESA Andreas Mogensen e l’ingegnere dell’ESA Robin Eccleston. A svelarmelo un paio di giorni dopo quell’incontro surreale, fu la conferenza stampa alle pendici del vulcano Cuervo, accanto al suggestivo Parco Nazionale di Timanfaya. Avevo con me il mio tesserino e senza pensarci due volte mi accreditai.

PANGAEA, molto più che un corso di Geologia

Imparare i processi geologici della Terra, della Luna, di Marte e degli asteroidi, sviluppare le competenze per identificare le caratteristiche geologiche dei vari siti, eseguire un campionamento efficiente e riferire al controllo a terra in modo conciso e corretto,  e infine riconoscere e descrivere gli ambienti che potrebbero ospitare la vita extra-terrestre: sono questi i principali obiettivi del  programma di addestramento che l’ESA ha chiamato “PANGAEA” (Planetary ANalogue Geological and Astrobiogical Exercise for Astronauts), nato anche questo dalla brillante intuizione dell’italiana Loredana Bessone, Head of Analogue expedition training and Exploration testing Unit dell’ESA (un titolo complesso che in sostanza definisce il capo dell’addestramento astronauti in ambienti terrestri “analoghi” a quelli spaziali e dell’Unità che si occupa dei test per le esplorazioni).

“Pangaea completa il nostro addestramento sotterraneo CAVES, ma quello si concentra sul comportamento del team e sugli aspetti operativi di una missione spaziale,  mentre questo ha come focus lo sviluppo di competenze di geologia planetaria e astrobiologia” mi ha spiegato lei stessa sapendo che sono una speleologa e – come per tutti gli speleo italiani – il suo nome per me è sinonimo della donna che per la prima volta ha portato gli astronauti in grotta, nelle “nostre” amate  grotte, per la precisione nel 2011, quando ideò il programma CAVES (Cooperative Adventure for Valuing and Exercising human behaviour and performance Skills) e lo realizzò in Sardegna.

Fu un esperimento di successo, che negli anni ha coinvolto astronauti e tecnici delle agenzie spaziali di tutto il mondo, e che ha fatto sentire tutta la comunità speleologica indicibilmente orgogliosa, visto che sin dal suo esordio ha rappresentato il riconoscimento – su un palcoscenico mondiale – del valore scientifico e umano di questa attività quasi del tutto sconosciuta (e incomprensibile) ai più, così come sconosciuta è la ricchezza del mondo sotterraneo che si nasconde agli occhi di chi vive solo in superficie.

Prima di arrivare a Lanzarote, i discenti di PANGAEA hanno lavorato in altri ambienti analoghi sulle Dolomiti italiane e nel cratere di Ries, in Germania. “Il corso di 4 settimane fornisce le abilità per identificare e documentare campioni scientificamente rilevanti sul campo e comunicare al controllo a terra usando un linguaggio efficace e scientificamente corretto, preparando così gli astronauti ad essere non solo scienziati autonomi in situ ma anche controparti efficienti dei team di terra che li supporteranno nelle future esplorazioni spaziali” ha aggiunto Bessone.
Oltre al suo obiettivo principale di formazione, Pangaea lavora per sviluppare tecnologie di esplorazione, come l’Electronic Field Book e il Mineralogical Database, che incrementano le attività di formazione e mirano a migliorare le future missioni sulla Luna e su Marte.

Kate, La prima donna sulla Luna? “Tornare resta un grande passo per tutta l’umanità”

Ma gli occhi della stampa erano tutti puntati su “Kate” Rubins, 43 anni, biologa, quarta donna americana ad aver trascorso il tempo più lungo nello spazio, ben 300 giorni, un’ora e 31 minuti, con i suoi due voli nella Soyuz verso la Stazione Spaziale Internazionale e tre passeggiate spaziali all’attivo. L’astronauta è stata già selezionata come componente del gruppo che tornerà sulla Luna nell’ambito delle missioni Artemis, dove la ricerca sulla geologia lunare sarà cruciale, ed è la prima della NASA a iscriversi a questo programma di formazione dell’ESA.

Ma quando le è stato chiesto se sarà lei la prima donna a rimettere piede sulla Luna e ad aggiornare la storica frase di Armstrong, l’astronauta ha puntualizzato: “è un onore per me essere stata selezionata nel team, ma gli equipaggi che voleranno sulla Luna con la navicella Orion non sono ancora stati scelti, però sì, hanno deciso che ci saranno donne e persone di colore”. E questa maggiore inclusività non è solo nei piani della NASA ma una decisione internazionale, “ci sono diverse nazioni che stanno attivamente contribuendo al programma e l’Agenzia Spaziale Europea è un partner importantissimo di questa missione.” E in effetti già il nome, Artemis, è una dichiarazione di intenti, poiché allude ad Artemide, dea greca della caccia, sorella gemella di Apollo. “Ma non credo sia così importante che sia un uomo o una donna – ha aggiunto – ciò che è veramente importante è che sarà nuovamente un grande passo per tutta l’umanità e lo testimonia questo grande sforzo congiunto, che sono sicura crescerà ancora, e riusciremo a coinvolgere sempre più Paesi intorno a questo obiettivo.”

Lanzarote, paesaggi marziani e lunari, scrigni di vita e resilienza

Il vulcanismo non è un’esclusiva della Terra, la nostra Luna ha avuto una vasta attività vulcanica fino a meno di due miliardi di anni fa, e Marte non è sempre stato il deserto freddo e secco che si mostra oggi, ma in passato era modellato dall’acqua e dai vulcani in modo molto simile al nostro pianeta. I paesaggi di Lanzarote sono eccezionalmente ben conservati e la lunga attività vulcanica ne fa un museo geologico a cielo aperto. Le colate basaltiche, i tunnel di lava
e i coni vulcanici del Parco Nazionale di Timanfaya e dintorni, rendono quest’isola il posto più simile alle vaste pianure lunari e ai vulcani di alcune regioni di Marte che gli astronauti un giorno andranno ad esplorare. Ma c’è di più, “a Lanzarote ci sono diversi esempi, passati e recenti, di come interagiscono vulcani, acqua e vita. E attualmente stiamo cercando di capire se c’era vita su Marte, un pianeta che potrebbe aver avuto condizioni molto simili a quelle di quest’isola, per esempio in luoghi con sorgenti calde o anomalie termiche”, ha spiegato il geologo Francesco Sauro, speleologo, esploratore e direttore tecnico di PANGAEA, nonché autore del bellissimo libro “Il continente buio. Caverne, grotte e misteri sotterranei. Alla scoperta del mondo sotto i nostri piedi” (ve lo consiglio!).

E nonostante il terreno sia apparentemente sterile, sorprendentemente i microrganismi possono ancora prosperare all’interno di rocce e lapilli, basti pensare alle tecniche secolari utilizzate dagli agricoltori di Lanzarote che ricoprono i campi di scorie vulcaniche, come ha fatto notare ancora Loredana Bessone, “quasi ogni pietra è un ambiente di vita. Ci sono pietre che hanno porosità e offrono protezione alla vita. Tutto ciò che viene usato a Lanzarote per nutrire le piante, come i lapilli, è un ambiente dove la vita potrebbe fiorire”. E in effetti quest’isola selvaggia e nuda delle Canarie è “la testimonianze più alta ed evidente della resilienza della natura e dell’uomo”, come orgogliosamente mi fece notare una sera Elena Mateo, coordinatrice del Geoparco di Lanzarote, che mi raccontò come l’eruzione del vulcano di Timanfaya iniziata nel 1730 e durata senza interruzioni per ben 6 anni, le conferì l’aspetto che ha ancora oggi, mentre la lava cancellava apparentemente tutto, inclusa la speranza.

Eppure gli abitanti non si diedero per vinti, e proprio grazia all’aiuto che la natura offriva, iniziarono la coltivazione delle papas rugadas, le caratteristiche “Patas Bonitas” dell’isola, ma soprattutto la piantumazione delle eroiche viti incastonate a perdita d’occhio nelle pendici color carbone dei vulcani, che ora regalano vini pregiati dal sapore inconfondibile, oltre ad atmosfere decisamente suggestive. Non per nulla Lanzarote è stata dichiarata Riserva della Biosfera UNESCO, la seconda delle Canarie, ma con una caratteristica che la rende unica al mondo: per la prima volta un intero territorio, inclusi i suoi centri abitati, ha ricevuto tale protezione, a testimonianza della simbiosi tra uomo e natura che qui trova il suo perfetto compimento.

“La Rofera, chiamata anche dai turisti La Città Stratificata”
CREDITS: Valeria Carbone Basile

Lanzarote è però una sopravvissuta che bisbiglia echi non solo di passato,“un’isola arida come Lanzarote ci sta insegnando quanto la più piccola quantità d’acqua possa essere cruciale per la vita, ora siamo in grado di ascoltare e comprendere meglio il battito geologico del pianeta – ha raccontato l’astronauta Andreas Mogensen – Alcune rocce sono come libri aperti che raccontano la storia del nostro sistema solare, e le condizioni estreme degli altri pianeti possono aiutarci a prevedere cosa potrebbe accadere alla Terra in futuro”.