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Protagoniste: Intervista a Eleonora Giovanardi

Protagoniste: Intervista a Eleonora Giovanardi
Eleonora Giovanardi | © photo Marcella Foccardi

Consacrata alla fama nazionale dal campione di incassi Checco Zalone e il suo Quo Vado Eleonora Giovanardi è pronta a nuove sfide, con due film per il cinema in cantiere e la prima serata di Rai1 a darle il lasciapassare per raggiungere nuovamente il grande pubblico.

Con Lea – Un Nuovo Giorno, affiancando Anna Valle e Giorgio Pasotti, Eleonora per l’occasione si cala nei panni della rivale, garantendo però al suo personaggio molte sfumature per farsi comprendere e forse anche amare. Partendo dalla nuova fiction in cui è la ginecologa Anna Galgano, in onda il martedì fino al 1° marzo, scopriamo i progetti che Eleonora ha in serbo per noi, la sua passione per le registe donne e il suo impegno con l’associazione Amleta, in difesa delle artiste.

Ci racconti chi è la tua Anna in Lea – Un Nuovo Giorno?

Anna Galgano è una ginecologa. Parliamo di una fiction che si svolge in ospedale, nel reparto pediatrico. Sono una dottoressa, sono stata grande amica della nostra protagonista Anna Valle, Lea appunto. Lei era sposata con il primario di pediatria Marco, interpretato da Giorgio Pasotti,  il loro matrimonio è andato in crisi e Marco si è avvicinato a me.  Io sono sempre stata innamorata di lui e diciamo che l’amicizia con Lea  si è ovviamente rotta e incrinata. Nello svolgersi degli eventi io cercherò di combattere per far durare questo amore con Marco.

Elenonora-Giovanardi in LEA UN NUOVO GIORNO | © Banijay Studios Italy | photo Pierfrancesco Bruni
Elenonora-Giovanardi in LEA UN NUOVO GIORNO | Banijay Studios Italy | © photo Pierfrancesco Bruni

Perché ti sei interessata a questo progetto?

Ho incontrato la regista Isabella leoni e mi piace sempre partecipare quando c’è una donna alla regia, al timone della nave, perché per me è di grande stimolo. Con lei mi sono trovata veramente molto bene e poi fare la parte dell’antagonista mi ha decisamente allettato perché per me era la sfida: una donna molto lontana da me, per vicissitudini della vita, per sentire,per agire. Dovevo capire come renderla umana e come non renderla per forza antagonista, una che si deve mettere di traverso. Ho cercato di renderla il più possibile umana, con delle motivazioni e degli obiettivi concreti e spero di aver dato l’idea di un personaggio a tutto tondo che non deve per forza essere solo la cattiva traditrice.

Quanto è difficile non giudicare i propri personaggi?

È molto difficile perché uno pensa sempre che sia difficile non giudicare personaggi che sono stati dei grandi cattivi, dittatori, assassini, per esempio.  Quello però è il male assoluto ed è un po’ distante da noi comuni mortali. Invece quando è qualcosa di molto vicino a te ma nell’intimità è distante come può essere per me Anna Galgano, è difficile perché il giudizio serpeggia e si insinua quando le cose si fanno più sottili e vicine e quotidiane. È difficile mantenere dritta la barra e non cadere nel giudizio. Il pubblico poi può e deve fare quello che vuole ma nel creare il personaggio devi assumere su di te le circostanze e desideri. senza emettere un giudizio etico morale.

Hai preso parte a Lea perché era una donna a dirigere la fiction. È un caso che i tuoi prossimi progetti cinematografici siano diretti da donne?

“Evelyne tra le nuvole” di Anna di Francisca e il film  “La California” di Cinzia Bomoll girato insieme a Lodo Guenzi.

Assolutamente (ride). Sono a fine lavorazione di due film a cui tengo, molto legati all’Emilia-Romagna Film Commission che sono Evelyne tra le nuvole di Anna di Francisca e la California di Cinzia Bomoll, quindi sì, effettivamente mi sono innamorata di queste squadre al femminile. Ora, a parte gli scherzi, non è che io faccia della discriminazione riguardo ai registi, è stato un caso ovviamente ma devo dire che era da un po’ che non mi succedeva ed è stato piacevole. Con Anna di Francisca poi abbiamo avuto un lungo carteggio perché causa covid il film ha avuto grandi ritardi e quindi abbiamo iniziato proprio a frequentarci, siamo diventate amiche in questi anni dall’inizio del progetto fino al primo ciak. Si creano quindi delle sorellanze per me importanti.

Trovi che ci sia un tocco femminile, uno sguardo diverso delle donne alla regia?

Io tendo a non dividere in generi soprattutto nell’arte. L’occhio dipende dal soggetto anche perché di questi tempi femminile e maschile sono sempre più sfumati. Il non binarismo e la fluidità grazie a Dio sono all’ordine del giorno e Sanremo anche ce l’ha dimostrato. Secondo me quindi è chiaro che c’è un punto di vista diverso ma come ci sono punti di vista diversi in base alla sensibilità del regista o della regista, indipendentemente dal genere a cui appartiene.

Come guardi all’esperienza di Quo Vado a distanza di anni? quali le positività e quali le negatività, se ci sono state?

È stato abbastanza uno spartiacque per me, devo dire la verità, da vari punti di vista. Dal punto di vista professionale, ovviamente da prima che facevo teatro e non potevo neanche accedere al mondo del cinema, dopo Quo Vado improvvisamente ho potuto farlo e quindi questo chiaramente dal punto di vista del lavoro e della carriera è uno spartiacque. In più ci metto una nota emotiva perché comunque è stato un film molto lungo e molto complesso, con delle location faticosissime, ha unito molto tutto il set. Io provo un affetto profondo per Luca ( Medici) anche se non ci sentiamo tutti i giorni. Ci sono stati poi ovviamente anche degli aspetti negativi perché l’anno che ho passato dopo Quo Vado è stato un anno di pochissima lucidità, non capivo bene cosa aspettarmi, cosa non aspettarmi, cosa dovevo fare e cosa non dovevo fare. Ancora oggi mi chiedo se ho fatto abbastanza, se dovevo fare di più perché poi io sono una persona molto istintiva, timida, non sono propriamente un personaggio caciarone che si butta nelle situazioni, sono molto chiusa e mi faccio autocritica e dico forse che non ho fatto abbastanza. È  chiaro che io sono molto contenta di essere legata a quel film che ritengo molto bello al di là di tutto.

Parliamo ora del tuo impegno come attivista. Cos’è Amleta e come nasce?

È una delle gioie nate proprio dal lockdown, è un’associazione di promozione sociale che si batte per l’uguaglianza e contro la violenza di genere all’interno del mondo dello spettacolo e l’abbiamo fondata in 28 attrici distribuite su tutto il territorio nazionale.  Ci siamo viste su zoom e pian piano abbiamo iniziato a percepire che le nostre battaglie erano comuni, molte delle mie colleghe-sorelle erano già attiviste e io ho iniziato con loro. Grazie a questa associazione continuo ad imparare costantemente. Amleta porta avanti i suoi obiettivi attraverso tanti tanti lavori, il primo è stato la mappatura delle presenze femminili all’interno dei teatri italiani, negli anni 2017-2020 che ha portato a delle percentuali, come puoi immaginare,  molto basse. Alcune colleghi poi portano avanti la lotta contro la violenza attraverso una mail anonima a cui pervengono delle richieste di aiuto o di consiglio riguardo proprio a delle violenze nel mondo del lavoro. Io non faccio parte di questo gruppo ma alcune Amleta portano avanti un lavoro anche con delle avvocate che sono del collettivo Differenzadonna.org che supportano il nostro lavoro nell’aiutare le colleghe e le donne in difficoltà. Nel 2021 abbiamo ricevuto il premio Amnesty per arte e diritti umani proprio per questo lavoro sulla lotta alla violenza. È uscito da pochissimo il testo Amleta portato a termine da un altro gruppo di colleghe che cerca di analizzare o dare uno spunto di analisi di genere nella drammaturgia contemporanea. Ci sono una serie di domande che aiutano a leggere i nuovi testi della drammaturgia contemporanea attraverso degli occhiali di genere per capire se i ruoli femminili sono principali, integrati, quanti sono, se portano avanti un’azione personale oppure si appoggiano sempre ai personaggi maschili, quindi insomma è un buon strumento sia a valle ma anche a monte in realtà, per cercare di scrivere delle femminilità più complesse e più complete. Queste sono alcune delle attività che porta avanti la nostra associazione che non si ferma mai.

Eleonora Giovanardi | © photo Marcella Foccardi

Alla luce di questo lavoro, dal punto di vista dei personaggi femminili, a che punto siamo in Italia?

Credo che dipenda molto dalla piattaforma e dal target di riferimento. E credo non ci sia niente di male in tutto questo. sulle piattaforme più moderne tipo Netflix e Prime, sicuramente c’è uno spostamento, anche solo il fatto che siamo bombardati da serie in cui l’inclusività e il femminile non stereotipato sono all’ordine del giorno. Da Sex Education a Euphoria secondo me lì ci si sta muovendo molto. Ovviamente nei prodotti un po’ più classici si potrebbe sempre fare di più e parlo sia della televisione che delle serie TV. C’è sicuramente molto da lavorare dal punto di vista autoriale anche a livello teatrale però vedo che c’è un po’ uno scollamento tra la TV generalista rispetto ai social e le piattaforme ma forse è datodal fatto che c’è una differenza del mezzo e del target di riferimento.

Desideri per il futuro?

Guarda, senza retorica, vorrei innanzitutto che il mondo tornasse ad allargarsi un pochino perché non ce la faccio più. Detto ciò, mi piacerebbe ovviamente tornare a fare un film a breve. Ho in vista alcune cose ma non dico niente per scaramanzia e poi mi piacerebbe portare a termine dei progetti un po’ più personali dove io possa trovare il coraggio di costruirmi la mia voce anche magari piccola ma mia.