Protagoniste: intervista a Arianne Phillips, costumista candidata 3 volte al Premio Oscar e vincitrice del Premio Campari Passion for Film
Candidata 3 volte al Premio Oscar, la costumista Arianne Phillips, colei che nel suo sodalizio lavorativo con Madonna, ha creato gli iconici costumi, per nominarne solo alcuni di Frozen, Music e Sorry, è stata celebrata alla Mostra del Cinema di Venezia. La biennale insieme a Campari l’ha insignita infatti del Premio Campari Passion for Film.
L’artista è l’artefice dell’impeccabile atmosfera nostalgica, algida e misteriosa che si respira attraverso le sue creazioni in Don’t Worry Darling, opera seconda di Olivia Wilde, con Florence Pugh ed Harry Styles, presentato fuori concorso alla rassegna e in uscita nelle sale il 22 settembre. In una tavola rotonda di, forse per caso, sole giornaliste donne, Arianne Phillips si è raccontata sul passato, i progetti futuri, Madonna e l’eleganza.
Come approcci i film? Pensi all’arco narrativo del personaggio quando ci lavori?
Il costumista essenzialmente crea dei personaggi ed è parte del processo di narrazione. Dico sempre che il costumista è come un detective di persone. Il nostro lavoro è aiutare a dare al pubblico degli indizi visivi sul personaggio, sulla sua identità ed anche degli indizi sulla storia per creare dei toni sottesi al film. Per quel che mi riguarda, quando scelgo un film su cui lavorare, parto sempre dall’arco narrativo del personaggio, cerco nel film il punto in cui c’è una trasformazione, una crescita, un viaggio per il personaggio perché come costumista questo mi dà l’opportunità di aiutare il regista e il film a raccontare la storia. Se il suono all’improvviso andasse via al cinema, cosa vedresti? come capiresti chi è il tuo personaggio? Da quel che indossa, dai suoi capelli, dal trucco. Potrei andare avanti per ore.
Hai lavorato e lavori nella moda, nella musica ed a Hollywood. Da dove prendi la maggior parte della tua ispirazione?
Beh, ad essere onesti, è una bella domanda. Specialmente adesso che sono qui in Italia. Perché quello che mi ha sempre ispirato da quando ero bambina è stato il modo in cui sono stata cresciuta. Faccio parte di una famiglia di artisti dallo spirito bohemienne e sono sempre stata esposta alla letteratura, alla poesia, all’arte e alla musica. E ho sempre saputo di voler avere una carriera nelle arti. I miei genitori hanno cresciuto me e mia sorella portandoci a vedere un sacco di film stranieri. E devo dire che il cinema italiano degli anni ‘60 e ‘70 è stato di grande influenza per me, da Fellini a Visconti, a Pasolini, Antonioni. Questi incredibili registi e i temi da loro trattati, erano forse un po’ troppo per una bambina ma i miei genitori ci hanno fatto vedere tutto. Parlando di cinema italiano, ovviamente la più grande ispirazione per me, che mi ha fatto interessare al mondo dei costumi, è stato il lavoro del maestro Piero Tosi, il più grande costumista che sia mai esistito. Credo dunque che l’ispirazione sia iniziata da bambina, dall’esposizione a così tante bellissime forme d’arte e al cinema italiano. La cosa più bella di lavorare ai film è che è sempre una caccia al tesoro. Per ogni film puoi fare ricerche, sviluppare e scoprire un mondo. Questa è stata una delle cose più belle di Don Worry Darling: scoprire questi personaggi e la loro storia incredibile.
Che tesoro hai scoperto in questo film?
Ne ho scoperti tanti, devo dire. Prima di tutto lavorare con una donna regista è veramente, veramente speciale. È qualcosa che ho avuto il piacere di sperimentare lavorando con altre registe in passato e con Madonna. L’ultima volta che sono stata a Venezia stavamo celebrando W.E. – Edward e Wallis che lei ha diretto e a cui ho lavorato. Agli inizi della mia carriera ho lavorato con una regista, Rachel Talalay, per un piccolo film indipendente dal titolo Tank girl. C’è voluto un po’ e quando Olivia è venuta da me con questo film ero così eccitata non solo all’idea di lavorare con lei come donna regista ma anche dalla storia del film e dalla sua narrativa, raccontata dal punto di vista di una donna. È la storia di una donna ed è una cosa speciale farne parte.
Cosa si prova dunque ad essere qui a Venezia e ricevere questo premio?
È incredibile. Prima di tutto amo l’Italia e non venivo qui da alcuni anni a causa del covid. Quindi sono felice di essere tornata e vedere tutti quanti così belli, in salute. Questo film festival è così eccitante. Alcuni tra i film a cui ho lavorato, hanno partecipato a questo festival lungo gli anni ed è sempre stato la manifestazione più glamour e dall’atmosfera più bella. Quindi è veramente bello essere qui. In più essere onorata dal premio Campari è stata una sorpresa per me e sapete, c’è una ragione per cui ho scelto un lavoro dietro la macchina da presa, ed è per supportare gli altri .
Quindi credo sia un incredibile onore specialmente come costumista non solo per me ma per i miei colleghi costumisti, perché vincere questo premio significa vincerlo per una comunità e aiutare a far riconoscere il lavoro di un costumista ed il valore che porta ad un film. Apprezzo molto che Campari abbia sottolineato questo e abbia premiato il lavoro ai costumi come una parte importante del processo di realizzazione di un film. Mi sento fortunata ad essere la persona che aiuta questo premio a venire fuori e credo che molti costumisti lo celebreranno.
Hai lavorato con Madonna molte volte. Qual è il vostro processo creativo?
Madonna ed io abbiamo collaborato insieme per oltre vent’anni. Siamo ancora in contatto e lei è un’artista eclettica che è curiosa e affamata nel voler provare sempre nuove cose. Ho imparato molto dal solo guardarla. Il suo lavoro è incredibile così come la sua etica del lavoro e il suo desiderio di imparare e sperimentare nuove cose. Spero che parte di questo suo atteggiamento mi si sia, come dire, attaccato addosso, nel corso degli anni. Quando penso al lavoro che abbiamo fatto insieme, mi sento molto orgogliosa perché è stato sempre un processo molto organico. Lei è un’artista motivata sempre dalla narrazione in tutte le sue forme, dalla musica al cinema, alla danza È un’artista incredibile, un’icona del nostro tempo.
In più, si aspetta dalle persone con cui lavora sempre nuove idee da mettere sul tavolo per creare un dialogo e mi sento molto grata per il lavoro che abbiamo fatto insieme.
Lavorerai al prossimo film di Madonna?
Diciamo che dipende dalle tempistiche.
Tornando allo stile del film: si può percepire l’eleganza, quella degli anni ‘50 e ‘60 che forse oggi abbiamo perso?
La cosa unica di questo film è che mostra un mondo perfetto, una società perfetta, e quello che i personaggi indossano, il loro make-up, i loro capelli, devono mostrare l’artificio, la forma che sta nascondendo la verità profonda ed emozionale del film e della storia. Credo che quello fosse il tempo in cui c’era una certa idea di come le donne dovevano essere e cosa ci si aspettava da loro, sempre molto chic, bellissime, sexy, vestite in una determinata maniera. Con Olivia Wilde quindi ci siamo divertite a giocare con questi archetipi perché il progetto Victory nel film e la realtà da esso creata, è vista da una prospettiva maschile su come dovrebbe essere la donna ideale. Se ci pensate, qui è una donna regista che racconta, c’è una voce femminile che racconta attraverso la lente dello sguardo maschile. Ho trovato tutto questo molto interessante e complicato e questa è stata la sfida. Quegli anni sono anche nostalgici in termini di moda e di silhouettes e su questa scia ho disegnato i costumi per il film anche con uno sguardo contemporaneo e la consapevolezza del disegno più ampio e grande del film e della storia.
Credi che questo sia un film femminista?
Prima di tutto questo film parla del patriarcato nella misura in cui analizza il controllo che gli uomini hanno cercato di esercitare sulle donne, sulla loro idea di come le donne dovrebbero essere. Abbiamo fatto questo film due anni fa e in due anni i diritti sulla salute delle donne in America sono stati completamente stravolti e quindi eccoci qua oggi. L’aborto è ora legale in America quando per tutta la mia vita ho sempre dato per scontato la sua legalità. Tutto questo è piuttosto scioccante e in questo si può dire che l’arte imita la vita e la vita imita l’arte. Penso dunque a questo film come un avvertimento. Per esempio ancora oggi sappiamo che esiste il traffico sessuale, esistono donne costrette a prostituirsi in tutto il mondo ed è qualcosa che noi pensavamo fosse sorpassato. E credo che queste siano tutte cose molto importanti, rilevanti e che vengono discusse e si riflettono nel film.
Quindi sì, credo sia un film femminista. In più abbiamo una protagonista femminile che è molto forte e le scene di sesso nel film le vediamo da un punto di vista femminile. Nonostante ciò, il film viene raccontato da un punto di vista maschile perché quello è un mondo di uomini, dominato dagli uomini. Spero sia il tipo di film che porta uomini e donne a sedersi a un tavolo e a conversare sui ruoli di genere, sulle aspettative e sull’autonomia.
A proposito delle donne nel film, si può dire che vivano in una sorta di prigione. Hai cercato di rendere anche i vestiti scomodi in tal senso?
Se comparati ai vestiti che indossiamo oggi, quei vestiti degli anni ‘50 e ‘60 sono tutti un po’ scomodi. Detto questo, per quanto riguarda i costumi di Florence Pugh, in effetti li ho realizzati per essere indossati molto stretti e molto aderenti, un po’ costretti. La sensazione doveva essere sempre quella di costrizione come nella scena, che vedete anche nel trailer, di quando lei si avvolge la faccia con la carta trasparente per gli alimenti.
Si è parlato di eleganza, che significato dai a questa parola oggi e come è cambiato questo concetto negli anni?
L’eleganza per me è un certo tipo di grazia, è un senso di autenticità. Penso che la cosa bella del tempo in cui viviamo, nonostante tutte queste sfide, è che le persone sono incoraggiate e celebrate per chi sono e mano mano stiamo portando coloro che un tempo venivano marginalizzate a mostrare chi sono. Anche se, come nel mio paese, abbiamo ancora problemi con i diritti transgender, LGBTQ+, quelli delle donne o della comunità afroamericana, credo che l’eleganza sia qualcosa di innato nella possibilità, e lo vedo con i giovani specialmente con i miei nipoti, di non dare spazio alle etichette ma potersi mostrare come si è, poter scegliere il proprio pronome e poter attraversare un viaggio alla scoperta di se stessi. Per esempio adoro i red carpet dove vedo un mix di generi, uomini che indossano vestiti, trucco, credo che l’aver fiducia in se stessi sia l’ultima forma di eleganza. Viviamo in un tempo dove c’è abbondante scelta in quanto a espressione di se stessi. Tendiamo a romanticizzare gli anni ‘50 e ‘60 ma le Persone venivano poste ai margini e venivano pressate se non si conformavano ad un certo modo di essere, di vestirsi. Pensate per esempio al film di Tom Ford, A single man, a cui ho lavorato. Il set era bellissimo e gli uomini erano tutti vestiti con lo stile degli anni ‘60 perfettamente, ma, quella era una storia di un uomo che non poteva esprimere il suo amore apertamente per un altro uomo. Certo il film era molto elegante ma l’eleganza in questo caso non era sinonimo di grazia. Come dicevo all’inizio l’eleganza ha a che fare con la grazia e la grazia è come ci muoviamo attraverso il mondo.
Come ti prepari a lavorare a un film, hai una routine?
Ho appena iniziato la preparazione di Joker 2, quindi sono molto contenta ed eccitata, per me è un riunirmi con Joaquin Phoenix con cui ho lavorato per Walk the Line. Forse torneremo a Venezia fra due anni, non il prossimo anno ma l’anno dopo, abbiamo appena iniziato la produzione.
Abbiamo parlato del passato, del presente, cosa desideri per il futuro e per la tua carriera?
Credo di star vivendo il mio sogno in questo momento. Sono molto entusiasta per il nuovo film come vi ho detto, ho molte speranze e spero anche dal punto di vista umano che riusciremo a ribaltare la sentenza sull’illegalità dell’aborto e che ci prenderemo cura del clima. Vogliamo tutti che Venezia non sprofondi nell’acqua e che ci continui ad essere, no? Tutte le speranze che ho qui nel futuro vanno dirette alla comunità globale ed anche alle donne. Ho lavorato e sto lavorando con registe donne e ne abbiamo bisogno sempre di più, ancora non sono abbastanza. Quindi spero che Olivia possa essere d’ispirazione per molte altre giovani donne a diventare registe, a raccontare le loro storie, a fare i film. Penso sia importante raccontare le storie difficili, queste sono le mie speranze.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.