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Protagoniste: Alice Urciuolo, sceneggiatrice di Per Lanciarsi dalle stelle, da ieri su Netflix

Protagoniste: Alice Urciuolo, sceneggiatrice di Per Lanciarsi dalle stelle, su Netflix dal 5 ottobre

È la penna dietro ritratti adolescenziali nella serialità che hanno già lasciato il segno, come Skam Italia e Prisma. Alice Urciuolo, classe 1994 è un po’ la Phoebe Waller-Bridge italiana e con Per Lanciarsi dalle Stelle, su Netflix dal 5 ottobre, si avventura oltre l’adolescenza, a raccontare una sua coetanea, Sole ( Federica Torchetti), la cui vita è in stand by a causa di un disturbo d’ansia generalizzato.

Urciuolo adatta il romanzo omonimo di Chiara Parenti e assieme al regista Andrea Jublin, abbatte la quarta parete, il muro immaginario tra protagonista e spettatore e permette un dialogo tra chi guarda e Sole, una finestra sul suo privato, tra paure, timori, speranze. Incontrata pochi giorni prima dell’arrivo del film in piattaforma, Alice Urciuolo a Pink ha raccontato Sole, la forza della fragilità e la volontà di abbattere gli stigma del disagio mentale.

Per Lanciarsi dalle stelle | photo courtesy of Netflix

Attraverso Sole nel film, affrontiamo una certezza: da vicino nessuno è normale. Come avete rappresentato questo?

Beh, Sole crede che tutti gli altri stiano bene e come dice all’inizio del film: “è come se tutti i conoscano un segreto che io non conosco”. Per lei, gli altri riescono a vivere, riescono a fare delle cose che per lei sono molto difficili e lei invece guarda la vita come una spettatrice,sta sempre ai margini. Noi lo scopriamo insieme a Sole che anche gli altri hanno delle paure, delle fragilità e che la vita può essere molto complicata per chiunque. È vero che Sole deve imparare a vivere con un disturbo d’ansia generalizzato però è anche vero che sicuramente l’ansia è qualcosa che abbiamo sperimentato tutti, anche se a un livello diverso e in realtà questa cosa non è detto per niente che la renda più inadatta a vivere la sua vita, anzi. Quello che Sole scopre infatti è proprio il fatto che può imparare a conviverci e può anche imparare a convivere serenamente con la possibilità di commettere degli errori che è qualcosa che poi commettono tutti nel film. Tutti si ritrovano davanti a delle scelte, dei bivi e soprattutto tutti quanti poi nel corso della storia, rivelano quali sono le proprie paure e sicuramente in questo Sole riesce a sentirsi meno strana, meno diversa rispetto agli altri.

Questo è un film sull’oggi ma soprattutto l’ansia, in tutte le sue forme, è un disturbo molto comune. che lavoro avete fatto?

Si, è molto diffuso. Tant’è che quando abbiamo iniziato a lavorare su questo film, prima di fare ricerca, mi è bastato pensare a persone che conoscevo,miei coetanei. Non ho mai sofferto di ansia ai livelli di Sole ma conosco persone che ne hanno sofferto molto. È una cosa molto comune, viviamo in un mondo dove la salute mentale è spesso compromessa e viviamo a discapito di questa salute mentale. Non si è mai parlato così tanto di burn out ad esempio e di una serie di altre cose e quindi in realtà proprio perché è qualcosa che può riguardarci tutti, parte del percorso di Sole è anche capire che questa cosa sta accadendo a lei ma le altre persone attorno a lei non sono prive di paure e difficoltà , anzi. Il fatto di uscire fuori da se stessa, parlarne, rende molto meno grande il mostro che lei sente dentro di sé. Abbiamo fatto molta ricerca per parlare di questo disturbo d’ansia generalizzata, con uno psicologo e una psichiatra.

Per certi versi, il fatto che lei sia consapevole della sua fragilità, la rende più forte.

Sì, c’è infatti un momento del film che si vede anche nel trailer dove Miriam ( Celeste Savino) le dice: “ Tu sei la più coraggiosa di tutte”. Questa cosa la intendiamo davvero. Sole è un personaggio che non è raccontato come una vittima, semmai è vittima delle sue stesse paure e riesce nel corso del film a liberarsene, ed è davvero effettivamente nel film quella più coraggiosa di tutti in tanti momenti perchè è quella che in questa storia riesce a mettersi di fronte alle sue paure più profonde.

Dalle vostre ricerche, come vedi il quadro dei giovani d’oggi affetti da tanti disturbi come questa? Siamo peggiorati?

No, il quadro non è peggiorato, questi disagi esistevano anche prima. Non è che prima non si soffrisse d’ansia, anzi, era un mondo molto meno consapevole, adesso anche per via del benessere in cui viviamo, che a volte è anche concausa dell’aumento di molti problemi, ora semplicemente abbiamo dei nomi per queste patologie. Non c’è uno stigma su molte cose che prima erano chiamate in modi molto vaghi tipo esaurimento nervoso, isteria. Le donne poi erano spesso rinchiuse nei manicomi per cose del genere e anche peggio e semplicemente adesso se ne parla. Noi volevamo parlare di ansia in questo modo, non stigmatizzandola, non rendendola qualcosa di cui vergognarci ma normalizzandola.

In questo senso, mi ritengo fortunata come giovane donna di vivere nel 2022 nonostante tutte le incredibili difficoltà che ci sono, non mi sento di dire che era meglio nascere nel 1922.

Con Skam Italia e Prisma hai raccontato e approfondito l’adolescenza . Come è stato invece questa volta affrontare e raccontare il mondo dei tuoi coetanei?

Su questo film abbiamo iniziato a lavorarci due anni fa, adesso ho 28 anni, avevo 26 ed ero coetanea di Sole quando mi ci sono messa e questo mi ha permesso di approfondire un segmento di vita appunto molto più vicino alla mia esperienza. Con Sole ci sono tante cose del suo personaggio simili ai miei coetanei e tante cose di me. Nell’ansia di una giovane donna di 25 anni di non essere mai all’altezza di ciò che la circonda ci possiamo rivedere tutte e non solo le persone che hanno 25 anni.

È anche una questione femminile lo sappiamo. Più degli uomini spesso non ci sentiamo mai all’altezza di tante cose, è una cosa culturale e in Sole tanti problemi coesistono. Qui in più anche gli uomini sono fragili.

Come avete lavorato all’adattamento del romanzo e cosa avete modificato?

La cosa principale che è stata aggiunta è stata proprio il tema dell’ansia. Nel romanzo si parla di generica paura del mondo e ci sembrava che parlare di ansia fosse attuale e che rendesse il problema di Sole più specifico e qualcosa in cui le persone potessero immedesimarsi.


Per Lanciarsi dalle stelle | photo courtesy of Netflix

Come Fleabag o un esempio Netflix, Persuasione, avete deciso di abbattere la quarta parete. Come mai?

Il fatto che Sole ci parli, per tanti motivi, era qualcosa che sentivamo fondamentale in un film del genere, nel senso che c’è sempre un costante divario tra quello che Sole fa, quello che fa vedere agli altri e quello che invece lei pensa e per rendere questa cosa usiamo diversi espedienti. C’è anche la voglia di far vedere quello che Sole immagina e il fatto che lei parli a noi in maniera sincera ci fa vedere quanta differenza c’è tra quello che lei fa e quello che prova. È quello che provano e sperimentano spesso tante persone che si ritrovano a convivere con un disturbo d’ansia, si sentono sommerse dalle aspettative e spesso agire secondo queste aspettative ci costa tantissimo in termini di salute mentale.

E gli adulti?

Sono personaggi fallibili con dei difetti come anche i più giovani, ma sicuramente la mamma di Sole, anche lei soffre d’ansia. Spesso d’altronde queste cose, lo sappiamo, si respirano in famiglia e spesso si assorbono senza bisogno che qualcuno ti dica “Devi avere paura del mondo”. Per Sole c’è anche una questione familiare in questo. Direi che però ci sono più di un adulto positivo, il papà di Sole per esempio anche se è sullo sfondo e lo psicologo che è una persona positiva.

Quanto era importante, soprattutto per questa generazione, sottolineare nel film l’importanza anche della funzione di cura, lo psicologo in questo caso?

A me sembra che i ragazzi della mia generazione siano più informati e consapevoli su questi temi e per fortuna direi, perchè nel mondo di tante cose si parla di più ed era importante che ci fosse lo psicologo nel film e che tante cose che riguardano la salute mentale non fossero uno stigma. Con questo volevamo anche aiutare a non stigmatizzare il lavoro di tanti professionisti che in tante parti d’Italia è ancora considerato qualcosa di cui vergognarsi, a cui si rivolgono solo coloro che venivano chiamati matti. Già il fatto che al giorno d’oggi non si nasconde di andarci, mi sembra un passo avanti. Ci sono tante persone che conosco, che sempre di più dicono “oggi devo andare dallo psicologo” come fosse una normale visita.