Protagoniste: Intervista all’attrice Elisabetta Mazzullo
Alla sua prima esperienza cinematografica, Elisabetta Mazzullo è approdata direttamente al Festival di Cannes nel cast di Le Otto Montagne, film tratto dal romanzo di Paolo Cognetti, diretto dai registi belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch con Luca Marinelli e Alessandro Borghi, in cui interpreta Lara, l’unica a provare ad aprirsi uno spiraglio dentro il legame tra i due amici.
Voleva diventare insegnante di filosofia ma la passione per la recitazione ha avuto il sopravvento. È una musicista e cantante navigata e tuttora è membro del BETTEDAVIS duo, un progetto musicale che porta avanti insieme al suo compagno.
Con due spettacoli teatrali in procinto di decollare e a distanza di meno di un mese dall’uscita in sala di Le Otto Montagne, Elisabetta Mazzullo si dedica a noi di Pink Society per raccontarci progetti, ricordi, speranze e punti di vista sul cinema, la recitazione, la musica e la vita.
Hai parlato di Lara, il tuo personaggio in Le Otto Montagne, come una donna con una malinconia nel cuore. A distanza di tempo dalla presentazione del film a Cannes, la descriveresti ancora così?
Io mi rendo conto che è stato questo il primo impatto che mi ha dato sia la lettura del libro di Paolo Cognetti che la sceneggiatura. Dicono che il primo imprinting sia quello più importante, la prima sensazione che provi devi scrivertela al lato del copione, così che ti rimanga lì, nel cuore. Il film dà la priorità poi naturalmente al racconto dei due protagonisti in cui c’è anche il rapporto con Lara. Quello che mi sono portata dietro, provando a giocare con questo ruolo, è una donna che ha un romanticismo e un desiderio di compiutezza, di realizzazione, attraverso gli uomini che ama. Forse non è un modello di donna che inseguo però capisco che abbia bisogno di stare vicina agli uomini che ama per conoscersi lei stessa, per darsi un ruolo e un compito. Dentro di me, guardando il film e durante la lavorazione, lo contamino un po’ ancora con questa sensazione di donna che non lavora da sola su se stessa ma che ha bisogno della relazione con l’amore per definirsi. Mi piace pensarla così. È una cifra che mi appartiene, quella della malinconia, del personaggio, non del tutto contento, sviluppato ma sempre alla ricerca, che tende alla felicità ma che non è felice.
Chi non ha visto il film, sulla carta potrebbe pensare al tuo personaggio come fortunato al trovarsi quasi contesa da un uomo interessante all’altro. Invece, il legame tra questi due uomini è un’affinità elettiva dentro la quale è quasi impossibile entrare.
Sì, è impossibile, è stata giocoforza anche la mia sensazione di attrice dentro la relazione tra due grandissimi attori, interpreti e amici come Alessandro Borghi e Luca Marinelli. È stata una magia in realtà e una fortuna anche essere in quella circostanza per me. Penso che più o meno è quello che possa aver sentito il mio personaggio, Lara, sentirsi in mezzo a due grandi innamorati, Pietro e Bruno, che si vogliono vicini. Difficile entrare nel cuore di Pietro (Luca Marinelli) che sta cercando la sua strada di uomo e di scrittore, sia dentro il cuore di Bruno (Alessandro Borghi) che sente di appartenere alla montagna. È stato interessante provare a giocare per lo spazio che era possibile, all’interno di questa storia, una situazione anche di imbarazzo, di non sentirsi accolti nel senso che non c’è spazio per un amore univoco verso una donna, visto che è già molto forte quell’amore così universale tra di loro.
Nonostante tu sia donna veneta quindi avvezza alle basse temperature, ricordo che le tue due grandi prove sul set sono state l’acqua fredda e le mucche. Confermi?
Sono le due cose di cui io ho più paura. Mi piace nuotare ma non mi piace l’acqua fredda, mi blocco, non mi diverto. La mia prima scena è stata il tuffo al lago a 2300 mt. Ho avuto bisogno di una preparazione: tutte le mattine, su consiglio di Felix, mi facevo la doccia fredda partendo dai piedi e le caviglie, per abituarmi alla temperatura. Quella scena lì l’abbiamo girata un sacco di volte e quindi di bagni al lago ne ho fatti 400.000. In più, anche la prima scena che io ho girato a Torino, prevedeva una secchiata di acqua fredda quindi le mie prime pose nel film sono state battezzate dall’acqua. È stato un po’ anche il battesimo al cinema perché per me è la prima esperienza su un set cinematografico.
Le mucche invece mi hanno sempre fatto paura perché non capisci cosa fanno, cosa vogliono. Mi fanno terrore, infatti per la scena del pascolo, hanno tenuto la parte buona. Una bella sfida però, ti da un po’ la misura di tutto. C’è una natura intorno a te che si fa un po’ beffe delle tue paranoie. Puoi anche essere l’attrice più brava del mondo ma è stata una bella scuola anche quella di ridimensionamento di aspettative. La natura comanda lei.
Il ricordo più bello di Cannes ed anche quello relativo all’uscita del film in Italia?
Il ricordo più bello anche perché era tanto tempo che non entravo in una sala gremita di persone, per evidenti questioni covid, è stato l’ingresso dentro questa sala enorme al Palais du cinema. Sono entrati Felix, Charlotte, e a seguire tutti noi e la gente si è tutta alzata in piedi ad applaudire. Io mi commuovo ancora a pensarci e ho sentito un senso di gratitudine così grande verso i registi, Paolo Cognetti che ha scritto e inventato tutto questo ma anche verso quelle persone che stavano lì e non avevano ancora visto il film ma applaudivano sulla fiducia, festeggiavano il fatto che noi fossimo lì e che avessimo girato quel film. L’ho trovato un gesto così umano, così bello come un “ facciamo festa perché è stato un periodo brutto”. Un altro momento di grande emozione è stato quando il film è stato proiettato a Rovigo che è la mia città natale, il 26 dicembre. Un cinema aperto da poco in centro a Rovigo quindi una cosa molto bella e tante persone che non andavano più al cinema sono tornate anche per la proiezione di questo film in una sala da 395 posti, piena e c’erano tantissimi amici miei, i miei prof del liceo, le mie compagne di banco, il mio insegnante di teatro, colui che mi ha fatto venire voglia di fare questo mestiere. Ho capito che i sogni si possono realizzare.
Visto che hai nominato il teatro, ricordo che volevi fare l’insegnante di filosofia e il teatro è arrivato relativamente tardi. Non il primo amore dunque ma in realtà l’incontro con la vera te?
Che bello, sì, infatti, è amore ma è anche un rapporto conflittuale positivo e costruttivo però, non è solo innamoramento. È anche uno specchio il teatro per me perché mi mostra tutte le mie inadeguatezze e tutte le mie paure, le zone di me che non ho voglia di mostrare. La musica mi è venuta sempre più facile, non so perché . Con una bella canzone, tu puoi avere anche molte difficoltà tecniche però la musica in qualche modo ti salva e ti può salvare. Mentre nel teatro il veicolo sei tu, sei strumento e strumentista, non basta un bel testo perché tu funzioni. Devi esserci totalmente. Il teatro mi ha catapultato dentro una zona anche oscura di me che aveva a che vedere con il corpo, le mie lotte per accettarmi, per piacermi, per piacere ad altri perché sul palco devi essere agganciata a te, anche al tuo fastidio verso di te. Tutto questo per me è una scuola.
Ben due spettacoli in teatro, uno che stai facendo adesso, Lezioni di fisica e poi il Riccardo III che arriva a marzo?
Lezioni di fisica è uno spettacolo che stiamo costruendo con il teatro Due di Parma con parte del collettivo, un gruppo di attori che lavora regolarmente con il teatro. La regia è di un veterano del collettivo, Roberto Abbati. Il testo è un mix tra Carlo Rovelli che è un fisico e Fernando Pessoa. Si parla di tempo in termini scientifici e in termini poetici e le due cose vengono intrecciate continuamente in un dialogo quindi tra il testo scientifico divulgativo e il testo invece teatrale, poetico. In scena il 10 gennaio e rimane fino al 22 ma non girerà. Il Riccardo III prevede la regia di Krista Székely con un cast tutto italiano, Riccardo III sarà Paolo Pierobon, io sono la regina Elisabetta. Credo che ci sia un’intuizione di lavorare sul testo in termini trasformativi. Lei è una regista molto sensibile alle tematiche politiche e a come e dove si possa sviluppare il potere della donna. Trovo che sia molto interessante soprattutto in un testo come questo dove sembra vincere il potere maschile. Cominciano le prove a fine gennaio e si debutta a marzo al teatro Carignano di Torino e si gira in tutta Italia, arriverà anche a Roma a fine maggio dal 16 al 21 al Quirino.
Oltre a questi due spettacoli, so che hai anche due tuoi progetti insieme al tuo compagno, Davide Lorino. Dove vi vedremo?
Sono due lavori autoprodotti a cui tengo molto. Noi siamo un duo e a fine gennaio porteremo il primo che si chiama Banana Split al Teatro Busnelli di Dueville a Vicenza, il 28 gennaio, e un altro, il 29 gennaio all’Accademia Filarmonica di Verona che si chiama Mille Metri di vuoto. È un reading dedicato a una poetessa milanese, Antonia Pozzi, morta suicida, ma non è quello su cui ci concentriamo. In entrambi c’è molta musica composta da noi per l’occasione e mi permetto di dire che c’è molto amore.
Tornando sul potere delle donne, com’è stato il tuo percorso lavorativo e artistico in termini di parità di genere e, senti che c’è un cambiamento vero in atto?
Nell’ambito degli studi, partiti al Teatro Stabile di Genova, non ho sentito differenze di trattamento. Sono stata formata da persone molto intelligenti e donne e uomini di teatro che ci hanno preparati ad essere figure malleabili capaci di interpretare uomini o donne nel loro percorso.
Altra cosa è invece il mondo del lavoro in cui secondo me c’è ancora un pregiudizio rispetto a quella che deve essere la figura della donna anche all’interno di un testo teatrale, per cui, molti registi uomini attribuiscono alla donna ancora un ruolo di sottomissione. Mi permetto di di pensare però che c’è del margine di trasformazione su questo. Lo vedo per esempio con il Teatro Due di Parma che ha aperto la stagione con una rassegna teatrale curata da sole donne,il che non è stata una scelta fatta a monte ma semplicemente si sono guardati attorno e hanno pensato di affidare quei testi in mano a quelle persone, che il caso vuole fossero donne. Questo è un segnale interessante di rivalorizzazione. Non ho abbastanza elementi nella mia esperienza per giudicare se ho avuto lo spazio necessario in quanto donna ma posso dire che ho avuto uno spazio. Alcune volte mi domando se fossi un uomo, se sarebbe più facile andare da un direttore di teatro e chiedere di produrmi ma non voglio cadere in questo tranello. Penso che ci sia lo spazio per imparare nuovamente a considerare le donne come esseri umani e artiste che hanno la possibilità di esprimersi, forse non sono interessata a fossilizzarmi su pensieri negativi, sul “se fossi uomo”, voglio pensare che se volessi, potrei prendermelo questo spazio, sono speranzosa che possano cambiare le nostre categorie di pensiero rispetto alla divisione uomo-donna.
Io sono laureata sul pensiero di una donna, Hannah Arendt e ricordo che un giornalista le chiese: “lei vuole penetrare il mondo con il suo pensiero?” Lei rispose: “questa la trovo una domanda molto maschile, a me interessa comprendere il mondo in un abbraccio, metterlo dentro a tanti pensieri”. Ora non so se questo sia un pensiero femminile o maschile ma trovo che abbia un bellissimo respiro che vorrei fare mio.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.