Maciste, Garibaldi e D’Annunzio: la loro storia è un monumento che si trova a Genova, sullo scoglio dei Mille
Sembra figlio del vento, il monumento ai Mille di Genova. È forza pura che non teme nulla: né il tempo, né il vento né i marosi che picchiano su quello stesso scoglio da cui partì la spedizione di Garibaldi. Fu inaugurato il 5 maggio di un lontano 1915, alla presenza di Gabriele D’Annunzio.
La storia che vorrei raccontarvi, però, non è né quella dell’eroico Garibaldi e dei suoi Mille, né quella dello scultore che la realizzò.
Vi parlerò di Maciste. Non del mito, ma di quello del Kolossal “Cabiria”, che fu la prima pellicola ad essere proiettata alla Casa Bianca nel 1914 e sottotitolato da D’Annunzio stesso. Perché? Perché il Garibaldi forte e gigantesco realizzato dello scultore Eugenio Baroni, è proprio lui, il Maciste forzuto dei film in bianco e nero.
Non tutti sanno che per raccontare la storia dello schiavo numida Maciste, il regista cinematografico Giovanni Pastrone scelse un umile scaricatore del porto di Genova, un “camallo” della Compagnia dei Caravana, dotato di una eccezionale prestanza fisica, che si chiamava Bartolomeo Pagano.
Fu tale il suo successo nell’interpretare i ruoli eroici da “gigante buono”, da essere identificato persino come l’interprete ideale per il monumento bronzeo che i Genovesi avrebbero dedicato ai Mille.
Si. Maciste fu una star: dopo il primo Kolossal, dove gli fu affidato un ruolo da attore non protagonista, diventò il principale interprete di una numerosa serie fortunata di film sullo schiavo numida; se ne contano circa una ventina, furono girati tutti tra il 1915 e il 1926.
Grazie a Maciste, Pagano, fu uno degli attori cinematografici italiani più pagati degli anni venti, riuscendo a percepire fino a 600.000 lire l’anno. Una vera fortuna.
Lasciò una profonda impronta nella storia del cinema muto, fu apprezzatissimo anche all’estero per i suoi ruoli di eroe, di forzuto coraggioso e di gigante buono. La sua ultima apparizione cinematografica fu Giuditta e Oloferne del 1929. Si ritirò dalle scene poco dopo, proprio in quegli anni, immobilizzato dall’artrite reumatoide e costretto a vivere gli ultimi suoi anni di vita sulla sedia a rotelle. Morì a Sant’Ilario nel 1946, ma il suo ricordo no. Maciste è un mito che non morirà mai. Come quello di Giuseppe Garibaldi.
Vive e lavora a Genova, insieme ai suoi libri, dove svolge la propria attività di giornalista professionista e studiosa di storia della critica d’arte e Futurismo. Convive con la SM da 18 anni. Ama la scrittura e le parole, il figlio, la vita, la sua famiglia.
Al suo attivo molte pubblicazioni e monografie di storia dell’arte. Svolge la professione giornalistica con passione da oltre trent’anni, si muove tra la carta stampata, i nuovi media, la TV. Ama parlare delle persone, con la gente e sempre a vantaggio della cultura sociale che fa crescere e aprire occhi e cuore. “Le persone sono sempre scopo primo e ultimo della mia scelta professionale, come servizio agli altri. Senza riserve”.