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Protagoniste: Maria Grazia Saccà

Maria Grazia Saccà
Maria Grazia Saccà

Dopo una lunga esperienza da produttrice cinematografica e televisiva, a metà giugno di questo 2023, Maria Grazia Saccà è stata nominata CEO di Titanus Production, la casa di produzione indipendente creata in seno della storica casa di produzione e distribuzione italiana Titanus S.p.A.
Quella Titanus di successi epocali come come Pane, Amore e Fantasia di Luigi Comencini (1953), Il Gattopardo di Luchino Visconti (1960) ed il Troppo Forte di Carlo Verdone (1985).

Sotto la guida di Saccà, la Titanus sta già avviando un percorso di ritorno all’ardore di un tempo ed all’investimento in nuove idee e nuovi autori. Mentre ci giunge notizia di tantissimi progetti in cantiere tra cui un remake di Phenomena di Dario Argento e una serie su La ciociara, raggiungiamo Maria Grazia Saccà al telefono per scoprire di più del suo percorso personale e professionale, degli obiettivi di Titanus Production ma soprattutto della sua esperienza come donna e produttrice nel mondo del lavoro e quello del cinema, tra gioie, dolori e lezioni apprese e da apprendere.

Come descriveresti Maria Grazia Saccà?

La descriverei sicuramente come una persona che ama il cinema da sempre, sin da quando era ragazzina. Ci ho sempre girato intorno, un po’ come tutti noi amanti della sceneggiatura, della critica ma soprattutto della dimensione del sogno. Sono un’introversa e quindi il cinema e il racconto sono sempre stati delle isole felici, delle zone di comfort dove potevo e posso ancora oggi rifugiarmi, prendere fiato.

Un’eredità storica, quella di Titanus che ha fatto la storia del cinema italiano prendendosi oneri e onori, rischiando anche molto. Su cosa punta la Titanus Production di Maria Grazia?

Alla continuità con ciò che Titanus è ed è stata. Guido Lombardo, presidente della S.p.A. l’ha ristrutturata, potenziata ed ha deciso di puntare su un nuovo management e di nuovo sulla produzione. Dico sempre che nessuno può eguagliare la storia di questa casa cinematografica che è stata grande e lo è anche nelle decisioni più recenti. In termini di contenuto e di rischio imprenditoriale, loro sono stati proprio capitani di ventura però, il mio compito è quello di andare in continuità con il piacere del rischio. Titanus è una casa cinematografica che ha sempre rischiato, vogliamo continuare a prenderci dei rischi, il che significa fare storie difformi dalla norma, non seguire sempre gli stessi filoni, le stesse mode ed i cliché del momento. I rischi imprenditoriali che questa casa di produzione si è assunta in passato forse non ha eguali nella storia del cinema italiano, pensiamo solo alle vicende relative a Il gattopardo o a Sodoma e Gomorra. Nel sistema cinema odierno questo tipo di rischio imprenditoriale non esiste più ma i rischi creativi siamo disposti ad assumerceli. Lo dobbiamo al nome. Prendere il più possibile strade sconosciute ancora non battute, fidarsi di chi ancora non ha un nome, una reputazione, di chi ha ancora tutto da dimostrare. Nel nostro mestiere non c’è fiducia nell’interlocutore ma io spero sempre di avere il coraggio di prendermi il rischio di avere fiducia nei miei interlocutori, in chi mi porta delle storie, ha un’idea, una visione.

In cosa l’approccio americano ai progetti, di cui hai fatto esperienza in passato, può esservi utile? Cosa hai imparato?

La cosa che mi ha formato di più di quella esperienza americana è stato senza dubbio la capacità di adattarsi alle necessità dell’artista, di quelli che loro chiamano i talent e che spesso quasi sempre sono gli sceneggiatori. Per loro il talento principale attorno a cui ruota tutto è lo sceneggiatore e nel rispetto delle sue necessità artistiche, il produttore deve avere la capacità di adattarsi e di aiutarlo a potenziare al massimo la sua creatività. Questa è una cosa che ho imparato perché in realtà non è tipicamente italiana, qui tra il regista e lo sceneggiatore, la parte del leone la fa il regista e la situazione è molto diversa. In Italia non c’è questa propensione a considerare le necessità dello sceneggiatore come una necessità del progetto invece questa è una cosa centrale per loro e ritengo che sostenere l’identità e la creatività dello scrittore sia un modo di sostenere l’identità creativa di un prodotto. C’è un’altra cosa che ho imparato, molto importante: rispondi sempre a tutte le e-mail. Rispondi a tutti, sempre, non sai mai da dove ti può arrivare l’opportunità, non sai mai come ti arriverà l’occasione dietro l’angolo. Negli USA c’è un’idea di totale parità tra i lavoratori del cinema, ci sono certo i più blasonati ma non per questo non hanno rispetto per chi è appena arrivato, tutti trovano mezz’ora di tempo per tutti.

Tra i progetti a cui sappiamo che state lavorando, la nostra attenzione va su Phenomena e La ciociara. Un remake, una serie, un film? Cosa ci puoi anticipare?

Per Phenomena stiamo sviluppando contemporaneamente sia un film che una serie. Il film lo stiamo facendo con un produttore americano Brian O’Shea della società The Exchange e sarà in lingua inglese quindi prevalentemente americano come marchio mentre la serie sarà italiana, sto ancora proprio in questi giorni negoziando con gli scrittori. Abbiamo visto insieme il film di Dario Argento nella saletta cinema qui di Titanus e siamo rimasti sorpresi da come nonostante certe cose siano datate, ad esempio gli effetti speciali, la cifra è ancora incredibilmente contemporanea. Dentro quel film ci sono almeno 2/3 elementi narrativi che sono propri di serie uscite questo inverno. Pensiamo a Mercoledì: la ragazzina che va in un collegio e scopre di avere dei poteri e poi un giallo e degli omicidi a scuola. E poi, una cosa che mi ha colpito moltissimo in maniera stilistica è questa dimensione metafisica del film che lo rende incredibilmente eterno. Quindi ci siamo immersi di nuovo nella grandezza del nostro cinema con la sorpresa di pensare a quanto, tanti anni dopo, dei film possono ancora essere attuali. L’idea è quella di mantenere lo spirito del film, questa forza innovativa e moderna di cui siamo orgogliosi. Siamo orgogliosi sì, di essere gli eredi di questo grande cinema e in continuità con questo vogliamo fare ancora oggi delle cose che siano significative, entusiasmanti ed emozionanti per il pubblico. Questa la nostra missione. Per quanto riguarda La Ciociara, guardo le cose del passato con più rispetto di un tempo e con più considerazione. Mi sono riletta il romanzo di Moravia che quando ero ragazza non mi era piaciuto e anche lì l’ho trovato attuale. Sarà che siamo in guerra in Europa e tutto suona più attuale ma la storia di questa mamma e figlia sembra di vederla oggi unita a queste immagini di cui siamo tempestati nella cronaca. Ho trovato questa totale assenza di retorica e un personaggio femminile così moderno per i suoi tempi, una donna bellissima, stupenda ma completamente asessuata, che non ha nessuna dimensione sessuale, è così moderna. Stiamo pensando di estendere la narrazione al prima e al dopo.

Un gruppo di registe internazionali che ho intervistato tempo fa ha raccontato di essere stata spesso percepita come debole sul set perché non riproduceva dei modelli maschili di approccio alla regia. Succede anche in produzione? Ci sono ancora dei modelli di cui dobbiamo liberarci?

Questa cosa che ti hanno detto, non posso che condividerla e farla mia. È la verità, non tanto come CEO perché nella tua struttura, con le tue persone e la squadra che ti sei scelta, spesso comunque sei in un ambiente dove puoi essere te stesso, non hai bisogno di assumere linguaggi che non ti sono propri per farti rispettare. Ma sul set, le mie prime esperienze di produttrice sono state durissime. Mi è stato detto: “Tu sorridi troppo” . E il mio sorriso è stato scambiato per debolezza, per arrendevolezza, mi ha mostrato come una persona che può essere manipolata. È stata una delle cose che mi hanno colpito e ferito di più perché io ho sempre pensato che avere un atteggiamento accogliente fosse una cosa gradevole. Che fosse invece usato contro di me, come una critica, un elemento di debolezza, mi ha molto colpito e influenzato. Ed io devo riconoscere che ho dovuto assumere (lo raccontavo a una produttrice americana che invece nel suo ambiente a questa cultura della gentilezza è abituata) degli atteggiamenti molto più duri, inflessibili, a volte anche irascibili che non mi sono propri e che non mi appartengono ma altrimenti non mi avrebbero riconosciuto autorevolezza. Poi il set è un luogo estremamente maschile nonostante ci siano tantissime donne.

Considera che le mie prime esperienze sul set sono state molti anni fa quindi oggi le cose sono molto migliorate. Anche 10 anni fa però, quando ho esordito come produttrice è stato identico, finché non ho assunto degli atteggiamenti non femminili non sono stata rispettata.

Maria Grazia Saccà

C’è dunque un cambiamento vero in atto verso la parità?

Un po’ è sicuramente cambiato nel senso che se non altro c’è più accortezza, c’è più attenzione a come ti esprimi, a come ci si comporta in contesti in cui ci sono anche donne. Sono molto contenta per le donne giovani sinceramente, che non debbano considerare normali delle cose che invece a suo tempo erano considerate tali. Penso a battute, allusioni e cose di questo tipo. Sicuramente c’è stato un miglioramento rispetto alla mia esperienza personale. Penso che in termini di forma ci sia stato un cambiamento. Se ci sia anche nella sostanza nel senso di venir considerate un interlocutore paritario? La mia esperienza mi dice di no, ancora no, glielo devi sempre ricordare.

Leggevo una tua intervista dove raccontavi che il tuo team è quasi tutto al femminile tranne per qualche quota blu. Le quote rosa hanno ancora senso e utilità? Molti, spesso uomini, dicono sia una forzatura.

Credono che non serva perché non sono mai stati discriminati. È chiaro che la loro esperienza è diversa, certo che servono. Io capisco anche la polemica contro le quote rosa e non sono una fanatica femminista. Capisco che l’idea astratta di dover promuovere qualcuno in un consiglio di amministrazione, ad un congresso etc solo perché ha un determinato genere invece che per le sue capacità, possa suonare sbagliato. Ma vale anche il contrario: forse non ti accorgeresti di quanto sono brave, di quali capacità hanno se non fossi costretto? Io appartengo ad una generazione che pensava che il grosso lo avessero fatto le nostre mamme. Mia mamma aveva fatto il vero femminismo, mi portava in piazza negli anni ‘70 come baluardo e quindi mi sono affacciata al mondo del lavoro convinta che la maggior parte della strada fosse stata già fatta e che il famoso soffitto di cristallo non esistesse. Non è vero niente, sai qual è la verità? Vogliono che tu faccia le cose ma non te le vogliono riconoscere. Va bene finché le fai ma quando ti devono riconoscere un ruolo e un titolo coerente con quello che fai, non lo fanno. Pensano che sei dedita perché appartieni ad un genere che lo è da sempre, non pensano di doverti riconoscere uno stipendio e un ruolo adeguato. Le quote servono a portare questo perché se non sono costretti, non lo fanno, questa è la verità. Succede anche alle persone insospettabili, è un fatto culturale. La storia ci insegna che la mentalità dei popoli è quella che cambia più lentamente, ha tempo di evoluzione lentissima, c’è un processo in atto che deve trovare un equilibrio rispettoso delle libertà di tutti. La mia generazione che pensava di essere liberata invece è complice su tantissime cose.

Per me questa è stata una scoperta, ho letto un libro che ne parlava ed è stato uno choc che mi ha fatto guardare la realtà. Ho capito che era vero e per questo ora dico che spero che mia figlia mi insegni a liberarmi di cose di cui io sono prigioniera senza saperlo.

Una domanda di rito per sceneggiatrici, produttrici, registe e attrici: esiste veramente uno sguardo femminile sul cinema?

Per la mia esperienza esiste ma vorrei circostanziare la mia risposta. Non voglio dire che i maschi non possano raccontare grandi storie di donne perché sarebbe un’idiozia colossale, lo dimostrano grandi romanzi come Anna Karenina. I temi esistenziali sono temi umani e non sono temi di genere. Però devo anche dire poi che per esperienza personale mi è capitato più volte che quando abbiamo raccontato storie di donne, io abbia avuto bisogno della sensibilità femminile, specialmente quando si trattava di raccontare vicende quotidiane o della vita sociale. Ho lavorato alla serie Volevo fare la rockstar per la quale, accanto a sceneggiatori bravissimi, ho voluto sempre mettere anche delle voci femminili perché la protagonista era una donna e certe sfumature, certe difficoltà dell’essere madre lavoratrice oggi sono difficili in realtà da raccontare nella maniera in cui la vorremmo raccontare noi donne e la serie nascevano da un blog scritto da una ragazza quindi aveva una matrice femminile molto autentica che andava rispettata. Esiste quindi uno sguardo femminile sulla donna di oggi che è solo una cosa in più, non è meglio e non è sostitutivo.