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Mazzocchio mon amour

Si indossava nelle corti rinascimentali, il Mazzocchio. Era un tipico copricapo fiorentino maschile molto diffuso a Firenze intorno al secondo e terzo quarto del XV secolo.

Non fu solamente uno dei tanti oggetti curiosi della moda antica immortalati nei dipinti realizzati dai grandi maestri del Rinascimento. Fu semmai indizio inoppugnabile della straordinaria bravura di pochi maestri rinascimentali a dipingere secondo le regole auree della prospettiva moderna e della geometria. Stiamo parlando di artisti del calibro di Pietro della Francesca e Paolo Uccello.

Il perché non è complicato da capire: il mazzocchio è un anello poligonale formato da una serie di prismi a sezione esagonale o ottagonale, uniti in modo da formare sempre angoli ottusi. È una delle figure geometriche più complicate da eseguire in una rappresentazione grafica tridimensionale.

Saperlo rappresentare alla perfezione (era roba da matematici doc) significava dichiarare l’eccellenza nell’impostazione prospettica di un dipinto e la genialità del suo maestro; inserire il mazzocchio in un dipinto significava dichiarare, proprio come lo farebbe un marchio di qualità, il valore innovativo dell’opera.

Se non ci credete, beh, provate a sfogliare il trattato di prospettiva scritto da Piero della Francesca: fu lui a scrivere dettagliate istruzioni necessarie a disegnare il mazzocchio. Fu proprio Paolo Uccello a realizzare raffinati disegni e immortalarne alcuni come splendidi copricapo dei cavalieri delle sue celebri Battaglie. Appartiene sempre a lui uno dei più riusciti esempi di mazzocchio, rappresentato indosso a un uomo seduto nella drammatica scena del Diluvio Universale, oggi conservata nel Museo di Santa Maria Novella.

Non è un caso, quindi, che questo oggetto alla moda, dalla forma unica e complicata, abbia ispirato la fantasia non solo di matematici e pittori, ma anche di maestri intarsiatori: i motivi a scacchiera (o tori) che seguono elegantemente la forma del mazzocchio li troviamo raffigurati nelle tarsie del celebre studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino, e per esempio nei raffinati pannelli lignei intarsiati nella Sacrestia della chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, che ci lasciano letteralmente di stucco.