Protagoniste: intervista ad Angela Prudenzi, tra le fondatrici del Women in Cinema Award – WiCA
Torna, durante la Festa del Cinema di Roma, in particolare oggi 19 ottobre al Museo MAXXI di Roma, Women in Cinema Award da un’idea di Angela Prudenzi, Claudia Conte e Cristina Scognamillo, un riconoscimento nato con l’obiettivo di valorizzare e rendere omaggio al talento delle donne, prevalentemente all’interno dell’industria cinematografica e del mondo delle arti italiane e internazionali, con grande attenzione al sociale.
Lo avevamo raccontato già in occasione della scorsa Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, ai primi di settembre, quando Pink Society si è unito alla causa e all’idea di questo premio, promuovendolo da media partner. Giunto alla sua ottava edizione, dedicata alle donne dell’Africa, WiCA vedrà premiate delle donne straordinarie: Lina Sastri, Daria D’Antonio, Nina Zilli, Vivia Ferragamo, Doriana Leondeff, Francesca Mannocchi e Joy Ezekiel.
Per andare a fondo nelle fondamenta del Women in Cinema Award, abbiamo voluto approfondire la conoscenza di una vera protagonista, tra le sue fondatrici: Angela Prudenzi.
Membro del comitato di selezione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e fondatrice, insieme ad Alfredo Fiorillo della casa di produzione L’Age d’or, è la persona perfetta con cui analizzare il cammino intrapreso dalle donne nel cinema e nelle arti, per scoprire i risultati raggiunti e quelli su cui bisogna ancora combattere.
Quarto anno e ottava edizione, come nasce WiCA – Women in Cinema Award e perché nasce?
Perché incontrandoci dapprima con Claudia e Cristina e poi anche con le colleghe dell’Academy, abbiamo riflettuto sul ruolo della donna nel cinema e soprattutto su quello delle professioniste che lavorano all’interno del cinema, e capito che è vero, ce ne sono sempre di più, ma mai abbastanza e che un premio potesse servire, anche solo per un giorno, ad illuminare il talento delle donne.
Tutte le donne premiate sono rappresentanti di un mondo, quello della cultura in termini generali e del cinema principalmente, che hanno dimostrato di valere e di portare avanti un percorso di successo.
È importante ribadirlo perché si pensa sempre che non ci sia bisogno, che sia scontato, che tanto adesso le donne vanno avanti e occupano tutti i posti possibili. Non è vero, le donne sono sempre di più ma resta difficile trovarle in ruoli che contano. Quindi, almeno quando ci riescono, ricordiamo a tutti chi sono.
Women in Cinema, donne nel cinema. Come sei diventata tu una donna nel cinema e cosa fai in questo campo?
Lo sono diventata per una passione che credo di aver assorbito da mia madre. Lei mi ha sempre raccontato che anche quando era incinta, da grande appassionata , non aveva certo smesso di andare al cinema e io con lei. La magia del cinema mi deve essere arrivata già allora, nella pancia della mamma.
La sua educazione è proseguita negli anni, l’ho sempre seguita e accompagnata pur se, lo confesso, forse a volte mi ha fatto vedere film non adatti alla mia età ma seguendomi in maniera intelligente e fortemente educativa. Poi, quella che pensavo fosse solo una passione piano piano è diventato un lavoro, ho studiato cinema all’università, ho collaborato con delle riviste, insomma la normale gavetta. Per molti anni ho lavorato alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro che è stata una scuola fondamentale per me, per aprire lo sguardo e capire che non c’erano solo il cinema italiano, francese e americano ma che c’era il mondo intero che si raccontava attraverso le immagini. Mi sono mossa principalmente nell’ambito dei festival di cinema ma facendo anche molto altro, occupandomi anche di piccole produzioni, di distribuzione e ho anche insegnato all’università per un periodo. Il cinema è sempre stato presente nella mia vita.
Hai indossato tanti cappelli, adesso indossi principalmente quello di selezionatrice della Mostra di Venezia. Abbiamo detto che il WiCA nato nel 2020 giunge all’ottava edizione perché si tiene su due Festival, Venezia e Festa di Roma e proprio all’ultima edizione della Mostra il premio è andato alla Premio Oscar Jane Campion e poi ad altre donne straordinarie.
Venezia dà la possibilità di avvicinare molte registe e registi importanti che sono attenti alle figure femminili. Non c’è dubbio che Jane Campion per tutte le donne che amano il cinema, che sognano di scrivere, recensire film o di intervistare i talent, è colei che ci ha aperto gli occhi già con i suoi primi film, per non parlare di Lezioni di piano, e ci ha fatto capire che l’universo femminile poteva essere raccontato in maniera estremamente profonda e illuminando anche le zone oscure del nostro animo. Per questo le siamo tutte molto grate. Jane Campion è stato un sogno che si è avverato ma tutte le premiate e i premiati sono importanti. Ricordo che abbiamo anche premiato dei registi che hanno dedicato alle donne i loro film più significativi come Christian Petzold e l’anno passato, premiato qui a Roma, Giuseppe Piccioni, un regista che fa spesso dell’universo femminile il centro del suo cinema. Non siamo discriminatrici, vogliamo ricordare che anche lo sguardo maschile può essere illuminante.
Come non ricordare infatti che è esistito, ad esempio, un grandissimo regista come Cukor, faccio il primo nome che mi viene in mente, un altro cantore delle donne. Ma tutti i registi della commedia degli anni d’oro americani mettevano al centro le donne e le raccontavano con una spigliatezza e una spregiudicatezza che oggi è difficile da trovare. Infatti, quando abbiamo visto Povere Creature di Yorgos Lanthimos a Venezia, siamo saltati sulla sedia perché un personaggio femminile così libero non si vedeva da anni, invece se guardiamo al cinema del passato ci rendiamo conto che c’era maggiore libertà. Abbiamo perso quella libertà e ci siamo autocensurati, adesso dobbiamo riscoprire quella capacità e devo dire che le autrici sono significativamente più libere di quanto non siano gli uomini, forse perché anche quando si approcciano a temi delicati come quello della sessualità per dire, il loro sguardo, essendo femminile, non risulta mai invasivo.
Alle donne registe dobbiamo molto e non solo a loro. Pensiamo al lavoro delle direttrici della fotografia, noi ne premiamo una, Daria D’Antonio, perché anche attraverso le luci usate si dichiara qualcosa di importante.
C’è chi dice che il cambiamento nei confronti di noi donne soprattutto nel cinema e nelle arti non sia vero ma più una “moda” . Qual è la tua visione su questo?
Credo che le cose stiano ancora cambiando. Dire che sono cambiate mi sembra un’affermazione ancora rischiosa da fare. Penso che basti guardarsi intorno e vedere il rapporto uomini-donne nei concorsi dei grandi festival per capire che il problema sta ancora in cima alla piramide. Chi gestisce i finanziamenti, non si fida a dare in mano a delle donne budget alti, che poi sono quelli che fanno fare ai film il passo avanti per poter essere selezionati a Festival come Venezia, Cannes o Berlino. È ancora faticoso per una regista accedere ai budget utili per fare film di questo tipo, mentre se si guarda ai cortometraggi c’è una sostanziale parità e questo vorrà pur dire qualcosa. C’è tanta strada da fare per quel che riguarda tutte le altre professioni che non sono quelle di regista, sceneggiatrice o produttrice che sono le più visibili. Il problema è che ci sono ancora delle professioni come quella del direttore della fotografia, che vengono pensate in veste spesso solo maschile. Oggi va un po’ meglio ma fino a poco tempo fa era impensabile che una donna arrivasse a dirigere tutta la squadra tecnica della fotografia perché le maestranze venivano e vengono ancora considerate particolarmente vivaci e veraci, quindi il dubbio è: come si rapporta una donna se un tecnico o un macchinista sparano qualche parolaccia di troppo? Forse abbiamo le spalle abbastanza grandi per sopportarlo o per dire “guarda che sul mio set questo non sta bene”. Si è sempre pensato ad una debolezza delle donne da questo punto di vista, ma abbiamo le spalle larghe. E soprattutto le hanno le professioniste che dirigono a meraviglia i reparti sui set, sapendo come ottenere ciò che vogliono anche da squadre a prevalenza maschile.
Alla Festa di Roma quest’anno tra le premiate anche Nina Zilli, una protagonista musicale.
Intanto Zilli è un’artista eccezionale, piace a tutti perché ha una personalità talmente prorompente, così diversa da tutte, che è difficile non amarla. Se la senti cantare, capisci subito che è lei e questo è importante. È una donna che ha cercato di esprimersi anche in altri ambiti, in un film come attrice, ha scritto un libro e poi ha una forte coscienza femminista. Sa cosa significa essere donne e dover combattere per cancellare le discriminazioni, e lei stessa qualche giorno fa ha raccontato in un’intervista che le è stato cancellato un impegno da parte di una azienda dopo aver saputo che era incinta. Questa è una vera discriminazione, peraltro perpetrata in quel momento molto bello ma anche critico per una donna che è la gravidanza. Queste cose non dovrebbero proprio accadere.
A proposito di musica, con il WiCA viene premiata a Roma un’altra combattente e grande artista: Lina Sastri
Straordinaria attrice. Chi l’ha vista in teatro cantare e recitare, credo non se la possa più dimenticare. Ma lei che ha avuto una carriera da interprete così intensa ed eclettica, un’attrice in grado di fare tutto, ruoli drammatici, tragici, comici, ed è in in posizione in cui, non deve dimostrare più niente a nessuno, soffre di quello che soffrono molte donne che, arrivate alla maturità, sono considerate buone solo per fare le zie. Questa è da sempre una delle regole orribili dell’industria cinematografica e invece dovremmo capire che la bravura non ha età e che se un’attrice è brava lo resta per tutta la vita. Poi ci meravigliamo quando in quei casi sporadici in cui Catherine Deneuve o Meryl Streep realizzano cose straordinarie, si grida al miracolo. Non è un miracolo, è che scrivono dei ruoli per attrici della loro età. Cosa che dovrebbe essere la normalità: sceneggiatrici, sceneggiatori e autori in generale, scrivete ruoli anche per donne non più giovani.
È arrivato il momento in cui chiedo anche a te se, come molte altre protagoniste intervistate su Pink Society, anche tu hai storie di discriminazioni alle spalle, in quanto donna.
Tu vuoi ch’io confessi se ho avuto la strada sbarrata in alcune occasioni e mi siano stati preferiti degli uomini? Il mio è un secco Sì. È successo anche a me di sentirmi dire: “dai il tuo momento arriverà”, nel frattempo però c’era sempre un uomo, un collega, che in qualche modo veniva preferito a me, giustamente o ingiustamente, non lo so, ma è successo. Quando si parla di quote rosa, se ne può parlare bene e male chiaro, ma non dobbiamo dimenticare che il ruolo di una donna all’interno di una azienda o in un luogo di lavoro pubblico, non deve essere dimostrarsi migliore di un uomo ma portare una visione diversa. Questo è importante, quello che porta la mia sensibilità non la può portare la tua e in una divisione equa dei ruoli, se queste visioni si uniscono è un bene e dovrebbe essere obiettivo comune. Non siamo né migliori né peggiori, ma portatrici di valori diversi.
Da selezionatrice di un Festival internazionale che vede migliaia di film all’anno, esiste il famoso sguardo al femminile nel cinema?
Prima di tutto credo si debba fare una grandissima distinzione tra film belli e film brutti, e questi non hanno genere, nel senso che sono fatti indipendentemente da donne e uomini. Vorrei poter dire che i film delle donne sono tutti belli ma non è così. È chiaro che una regista accostando determinati argomenti lo fa portando dietro un bagaglio che è dovuto all’esperienza vissuta, all’educazione e l’essere donna include le discriminazioni e le violenze, il che le rende in grado di raccontare con occhi diversi la realtà. Poi è evidente che se racconti per esempio, non so, la maternità, inevitabilmente la donna lo fa in maniera diversa. Anche se non l’ha vissuta, la sente intimamente e quindi Sì, esiste una differenza di sguardo.
Un esempio di sguardo di donna lo si può rintracciare nell’opera prima di Micaela Ramazzotti, Felicità, che è raccontato da un punto di vista doppiamente femminile, quello della protagonista e quello della regista.
Questa edizione del WiCA è dedicata alle donne dell’Africa e in particolare tra le premiate, c’è il Premio per il sociale Joy Ezekiel, giovane donna nigeriana uscita dalla “tratta”, che ha raccontato la sua drammatica vicenda nel libro / intervista “Io sono Joy.
La storia di Joy è emblematica di tante vicende orribili. Lei è venuta via dalla Nigeria con un sogno ma è stata vittima di tratta, è stata costretta a prostituirsi ed è diventata una schiava. Ha avuto la fortuna di essere salvata da un’associazione di religiose e questo per lei ha significato il cambiamento e la rinascita. Ha raccontato la sua storia di forza, resilienza e di voglia di lasciarsi alle spalle quello che poteva essere un destino segnato. Con lei vogliamo ricordare le tante donne che fuggono perché sono migranti climatiche, economiche, i motivi sono tanti ed era giusto ricordare chi ha intrapreso un viaggio sperando di trovare la luce subito e invece ha dovuto attraversare un tunnel per poterla vedere.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.