Protagoniste: intervista a Marina Limosani dal 30 Novembre al cinema in Palazzina Laf
Dal 30 Novembre sarà al cinema accanto a Michele Riondino nella sua opera prima da regista, Palazzina Laf. Marina Limosani, dopo un passato come modella in giro per il mondo si è approcciata alla recitazione unendosi ai cast di film come Il Ritorno di Stefano Chiantini o Il Pesce innamorato di Leonardo Pieraccioni.
In Tv l’abbiamo vista in Viola Come il mare ma è Riondino che le ha regalato una sfida in più, quello di rappresentare un personaggio che è anche persona esistente, tra quelle coinvolte, nel 1995, nel primo caso documentato di mobbing in Italia, la storia di uno dei più famigerati “reparti lager” del sistema industriale italiano, a Taranto, una città maltrattata da tempo. Approfondendo la storia vera raccontata nel film, conosciamo di più di Marina, le sue speranze di attrice e mamma e la sua visione ottimistica su come possiamo noi donne, cambiare la narrativa su di noi, se facciamo squadra.
Da pugliese, cosa sapevi di questi avvenimenti che vengono narrati in Palazzina Laf e quanto è importante questo film per farli venire alla luce?
Io fortunatamente non ho avuto in famiglia o comunque tra i miei conoscenti più stretti casi di mobbing però questo film parla di una situazione specifica molto grave che poi ha dato inizio alla diffusione della parola mobbing, ancora sconosciuta alla fine degli anni ‘90. È un film che poi, allargando lo sguardo, parla della situazione di tante persone oggi che lavorano nelle aziende, anche nel Sud Italia. Ci fa pensare anche a tanto lavoro sommerso che ancora c’è, alla mancanza di diritti per molti lavoratori, ai ricatti a cui si deve sottostare per lavorare ancora, perché comunque quando la scelta è tra morire di fame e morire come in questo caso, di malattia, tu capisci che diventa complicato per chi ha famiglia, chi vuole condurre una vita dignitosa, chi ha figli e deve portare avanti una casa ed ha delle spese. Tutti noi insomma. Questa è una piaga che purtroppo ancora esiste. Parlarne serve proprio a cercare di smuovere la situazione e accendere dei riflettori su tutto questo.
Come sei stata coinvolta in questo film ?
È stato molto interessante il percorso perché i provini sono stati tre, in cui il primo era un self-tape perché come voi sapete, adesso con noi attori si utilizza molto questo sistema per cui ti fai appunto un filmato da sola e ci sono attori che amano questo mezzo. Io personalmente ho trovato dei benefici in questo anche perché, nonostante ci sia la perdita del contatto con il casting e con il regista all’inizio, ti dà però l’opportunità anche di riflettere su quello che fai e magari di modificare quello che non ti piace. Ovviamente tutto ciò non ti è permesso quando vai personalmente a fare i provini. Michele aveva richiesto di fare un video raccontando se avevamo avuto esperienze di mobbing e cosa pensavamo di questo fenomeno. Io ho detto che penso che il mobbing sia un Fenomeno che si può riscontrare anche in famiglia e comunque ogni volta che ci troviamo davanti ad una situazione dove si usa la prevaricazione per ottenere qualcosa, calpestando anche spazio e il rispetto dell’altro, per me siamo in presenza di mobbing. Subito dopo invece mi hanno mandato in lettura una delle scene più importanti del mio personaggio, di Rosalba e poi c’è stato l’incontro con Michele. È stata una gran bella esperienza perché già da quel provino ho capito che anche se lui è alla sua prima regia, essendo attore e venendo dal teatro, ha una grande sensibilità nel dirigere gli attori, essendo stato sempre dall’altra parte quella degli attori. Sa anche forse usare le parole giuste per indicarti la strada.
Il tuo è un personaggio di cui si è parlato tanto perché si trova prima da un lato della barricata suo malgrado e poi dall’altro, a diventare parte degli “abitanti” della Palazzina. Come avevi vissuto questo percorso del tuo personaggio?
Inizio col dire che io non giudico mai i miei personaggi che interpreto perché noi mettiamo in scena la vita e ogni persona prende le sue decisioni in base alla percezione che ha in quel momento di quello che è giusto o sbagliato fare. Per questo motivo cerco sempre di avere uno sguardo verso i personaggi che interpreto molto libero dal giudizio e mi sono approcciata a Rosalba con grandissimo rispetto perché, come sapete, questa è una storia vera e a parte il personaggio di Caterino, interpretato da Michele, tutti gli altri personaggi del film rappresentano persone che hanno realmente vissuto questo dramma. Questo ovviamente mi ha dato un senso di grande responsabilità nell’interpretare il dramma di questa donna, dedita al suo lavoro che cerca di farsi strada con tutte quelle che sappiamo essere le difficoltà di una donna che lavora. Lei si trova suo malgrado, all’ inizio, ad essere testimone di un meccanismo che è più grande di lei ma al quale lei non può opporsi. nNella parte iniziale del film è dalla parte della barricata di quelli che hanno il coltello dalla parte del manico e poi improvvisamente, col pretesto di un suo errore sul lavoro, viene mandata nella palazzina. Era solo un modo per potersi liberare anche di lei e poter inserire al suo posto persone più vicine alla nuova dirigenza. Queste erano le direttive e nessuno poteva liberarsi al padrone, della serie “se non volete abbassare la testa, ci pensiamo noi a farvela abbassare”. La beffa era che queste persone venivano anche poi discriminate dai colleghi stessi perché all’interno della Palazzina si pensava che la vita fosse semplice, che si prendesse lo stipendio senza lavorare mentre gli altri sgobbavano. Preparando questo personaggio io ho visto molte interviste dei testimoni che hanno vissuto questa vicenda e ciò che emergeva mi ha molto colpito anche in fase di preparazione: non solo queste persone venivano annientate nella loro vita sociale e lavorativa ma tutto questo si ripercuoteva nella loro vita familiare perché ovviamente se la nostra percezione di noi stessi viene definita in base al giudizio che danno anche gli altri di noi ed a quanto noi ci sentiamo utili alla società, il fatto di sentirsi una nullità, improvvisamente, nel proprio lavoro e di non venire più riconosciuti nella propria funzione lavorativa, portava poi anche a credere di non valere molto anche in altri ambiti e l’annientamento. Il passo è breve dal sentirsi dei falliti a livello lavorativo a sentirsi dei falliti come esseri umani. A volte si pensa che gli ambiti siano tutti separati ma invece le situazioni sono molto più complesse e preparando questo personaggio ho potuto proprio andare a fondo in questo tipo di sentimento.
Hai iniziato a farti notare come modella. Perché hai deciso di fare l’attrice?
Sono capitata nel mondo della moda per caso e mi ci ha spinto più la voglia e il pretesto per viaggiare e approcciarmi ad un mondo che mi incuriosiva però non è mai stato il mio. Ho scoperto di voler fare l’attrice quasi per caso, perché mi sono trovata ad un provino con Sergio Rubini che stava preparando L’anima gemella e cercava la sua protagonista. Questo provino era un’improvvisazione, io mi sono immersa totalmente in questa scena che lui mi aveva descritto e che voleva che io improvvisassi e finita l’improvvisazione per la quale lui mi ha fatto molti complimenti, ho capito che quello era ciò che avrei voluto fare. Niente, prima di allora, mi aveva mai dato quelle sensazioni, quella voglia di non smettere mai di fare qualcosa. Ho iniziato quindi a pensare di studiare e approfondire e poi strada facendo ho deciso anche di andare a studiare a New York e fare esperienze che potessero arricchirmi. Erroneamente a volte si pensa che il mestiere dell’attore non necessiti di grande studio e si possa improvvisare e invece è un mestiere come tutti gli altri che richiede impegno, passione, studio e dedizione esattamente come tutti gli altri lavori.
Ha senso studiare, prepararsi o il talento basta?
Il talento necessario ma ovviamente secondo me, anche il mestiere di artista, va arricchito e sostenuto anche dalla conoscenza. Molti colleghi dicono di aver imparato anche molto lavorando sul set. Non importa che siano piccoli o grandi ruoli, importa proprio la dimensione del sette, esserci, stare, osservare, rubare con gli occhi ed anche imparare dagli altri. Questo è fondamentale così come lo studio perché studiando si affina una tecnica. Quando un attore recita si mette a nudo, davanti agli altri, nelle proprie fragilità, quindi è fondamentale anche trovare la propria strada e il proprio metodo.
Alla luce del tuo passaggio sul set di Viola come il mare, che esperienza è quella televisiva per te e quali credi siano le differenze in termini di possibilità per un’artista?
Grazie alle piattaforme, i prodotti che vengono creati per la televisione sono aumentati a dismisura e questo è un bene sia per noi attori che per l’industria cinema. Per me il cinema rimane però una magia, sia recitarlo che guardarlo.
Io credo che sia arricchente poter saltare da una dimensione all’altra. Così come l’ideale sarebbe poter anche affacciarsi anche al teatro perché tutto questo per un attore è fondamentale perché sono tutti approcci che permettono di arricchirsi. Nel cinema si toccano tempi recitativi diversi e si può andare più nel dettaglio mentre i tempi
della televisione sono veloci, c’è tanto da fare e quindi non ci si può soffermare troppo sulle scene.
Che idea ti sei fatta dell’evoluzione dei personaggi femminili al cinema e della situazione delle donne nell’industria audiovisiva?
Dei passi in avanti sono stati fatti ma ancora di strada,secondo me, ce n’è da fare. Ovviamente io credo che adesso stiamo vivendo un momento dove c’è più consapevolezza e soprattutto c’è più squadra tra noi donne e questa è la cosa fondamentale per me Riuscire in qualche modo a connettermi e a esprimere quello che sono e le cose che poi non vanno e fare questo tutte insieme, secondo me, sarà un punto di forza ed è una cosa che stiamo conquistando molto adesso. La mia visione è che prima questo era meno frequente. Con tutte queste donne registe adesso, si percepisce proprio il nostro bisogno di emergere con delle idee nuove. Forse è il momento anche in cui tutta la società adesso è pronta per qualcosa del genere, c’è un bisogno di rinnovamento. Penso che le donne siano portatrici di innovazione per loro natura e che possano veramente guidare a un cambiamento.
Ci sono delle registe con cui vorresti lavorare ed a cui stai guardando con ammirazione? Tra le attrici straniere ci sono colleghe che percepisci come affini?
In Italia guardo con molto interesse ad Alice Rohrwacher per esempio o a Valeria Golino, che ammiro anche come attrice. Micaela Ramazzotti anche. Come vedi si iniziano a poter fare diversi nomi di donne giovani che si riescono a distinguere ed emergere con la loro voce in una panorama prevalentem ancora maschile. Tra le attrici anche internazionali che stimo molto ci sono Emma Stone per esempio, Jennifer Lawrence e Amy Adams, tutte artiste che hanno una loro personalità ben distinta e che scelgono anche ruoli capaci di dare dei Messaggi precisi rispetto alla femminilità e all’essere donna.
Cosa desideri per il futuro?
In un momento così complesso, se potessi avere la bacchetta magica, desidererei moltissime cose che riguardano ovviamente la stabilità delle relazioni e nelle dinamiche di un mondo che sembra impazzito.
Restringendo il campo, quello che spero è di poter continuare a dare, come attrice e come donna, il mio contributo in progetti che abbiano voglia di raccontare storie che possono ispirare e anche insegnare qualcosa perché secondo me l’arte alla fine è questo: riuscire a comunicare allo spettatore, attraverso le emozioni, delle visioni di un mondo migliore.
La cultura è anche educare a certi argomenti, educare alla bellezza, alla conoscenza. Io penso alle nuove generazioni, io ho due figli di 9 e 11 anni e per esempio sono cresciuta in un momento in cui la mattina, in televisione, quando guardavo la TV d’estate che non si andava a scuola, i film erano quelli di Totò oppure De Sica, Risi, Monicelli, i film western di Sergio Leone che guardavo con mio padre. Purtroppo tutto questo adesso è andato perso e quindi se non siamo noi a trasmetterglielo, è difficile che loro lo riescano ad acquisire casualmente, come poteva succedere a me quando ero piccola. Ormai l’offerta è talmente ampia che loro possono, parlando nello specifico della TV e del cinema, avere talmente tanta scelta che difficilmente si soffermano su qualcosa così diverso da quello che è la società attuale, ognuno è figlio del proprio tempo. Sta a noi far sì che tutto questa non venga perso perchè sono le nostre radici ed è la nostra immagine del mondo, ciò che ci ha reso grandi e che registi come un Tarantino mettono nella loro lista di film che gli hanno insegnato a fare cinema.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.