10 domande a Paola Pezzo, la regina della mountain bike
“Quando il morale è basso, quando il giorno sembra buio, quando il lavoro diventa monotono, quando ti sembra che non ci sia più speranza monta sulla bicicletta e pedala senza pensare a nient’altro che alla strada che percorri”.
(Conan Doyle)
Nel 1996 la vedemmo per la prima volta sfrecciare in sella alla sua bici con la sua folta chioma bionda sull’impervio percorso di una campagna statunitense, accompagnata dalle urla del pubblico ai lati del circuito. Ci chiedemmo chi fosse quella ragazza in maglia azzurra e ci entusiasmammo durante quella telecronaca di Adriano De Zan, la voce inconfondibile del ciclismo che per decenni, con professionalità e dedizione, è entrata nelle case di tutti gli appassionati italiani delle due ruote. Lei era Paola Pezzo, un nome che presto sarebbe entrato per sempre nella storia della mountain bike. La memorabile vittoria di quei Giochi Olimpici ad Atlanta la proiettò sul tetto del mondo, un trionfo al termine di una gara durissima che le diede una grande visibilità, un altro meritato riconoscimento dopo un susseguirsi di vittorie.
Nata a Bosco Chiesanuova (in provincia di Verona) l”8 gennaio del 1969, Paola iniziò a praticare sport indossando gli sci di fondo prima di passare alla mountain bike. Il suo sterminato curriculum parla da solo. Nel 1992 vinse il primo titolo italiano e arrivò seconda ai campionati europei, nel 1993 si aggiudicò i Mondiali a Métabief, in Francia. Nel 1994 diventò campionessa d’Europa. Si ripetette nel 1996 e nel 1999. Nel 1997, un anno dopo lo storico oro di Atlanta alle Olimpiadi, vinse praticamente tutte le gare a cui partecipò e trionfò sia nel Campionato del Mondo che nella Coppa del Mondo, con 8 vittorie su 10 tappe.
L’anno dopo in Coppa arrivò terza, poi il bronzo anche ai mondiali del 1999 e del 2000. Nel 2000 vinse nuovamente la medaglia d’oro alle Olimpiadi, stavolta a Sidney: fu il coronamento di una carriera epica. Nella storia della mountain bike solo lei e la norvegese Gunn Rita Dahle hanno ottenuto un inarrivabile tris vincendo Coppa del Mondo, Mondiale e i Giochi Olimpici: Dal 1999 Paola Pezzo fa parte della Mountain Bike Hall of Fame.
Ciao Paola, innanzitutto come stai? Come trascorri queste prime giornate primaverili? Dalle tue pagine social ogni tanto pubblichi una foto in sella a una mountain bike, ti alleni ancora con una certa costanza?
Molto bene, grazie! E’ vero, ogni tanto mi alleno ed esco in bici cercando di trovare il tempo libero tra le giornate di lavoro e la famiglia. Non mi sono mai allontanata del tutto dal mondo delle bici e della mountain bike, è la mia vita e poi vivo in una famiglia di sportivi.
Raccontaci come è nata la tua passione per questo sport e se in famiglia qualcuno ha influenzato la tua scelta.
Ho iniziato a fare sci di fondo, uno sport che mi ha strutturato fisicamente prima di passare alla bici. Mi piaceva molto la montagna e quel tipo di sport, poi grazie ad un amico di famiglia ho cominciato a salire in sella a una bici e da quel momento la mia passione sono diventate le due ruote. All’inizio era solo puro divertimento e voglia di stare all’aria aperta, di sicuro mai avrei pensato da ragazzina di arrivare fin dove sono arrivata.
Cosa diresti a un bambino o a una bambina che si sta per avvicinare a questo sport?
La mountain bike è uno sport in cui uomo e natura spesso si fondono in una cosa sola, ai bambini direi che si tratta di un’esperienza bellissima. Inoltre vedo che i genitori sono spesso più favorevoli alla mountain bike che al ciclismo su strada perché è una specialità meno pericolosa per i loro figli. Allenarsi nei campi comporta meno rischi che andare su strada, nel traffico.
Grazie anche ai tuoi straordinari trionfi olimpici, la mountain bike in Italia uscì lentamente da un guscio settario che perdurava da troppi anni. Come è cambiato il movimento negli ultimi 20 anni?
Sì, fu un bel messaggio promozionale per tutto il movimento, all’epoca eravamo in poche a praticare questo sport, soprattutto in ambito femminile. Guardavamo le americane e le canadesi con una certa ammirazione, loro erano sempre state avanti di qualche anno sia per numero di praticanti che per materiali e tecnologia delle bici, sono molto contenta di aver dato il mio contributo per la crescita di questa specialità in Italia. Con il tempo, grazie ai miei consigli, siamo riusciti a cambiare anche l’abbigliamento delle donne e la forma del sellino delle mountain bike. Quando le americane, dopo qualche anno, videro il mio nuovo look che trasudava una certa eleganza e italianità, non nascosero una pizzico di ammirazione (ride, ndr).
Durante e dopo la gara di Atlanta del 1996 ti diede fastidio l’attenzione dei media per il tuo décolleté, sfoggiato per una semplice questione termica in una gara massacrante? Pensi che in quella occasione si sia dato poco spazio alla tua medaglia d’oro e troppo a quel particolare?
All’inizio di tutta quella storia ammetto che provai un certo fastidio, fu una gara logorante e in un certo senso storica, moltissime televisioni spesso si concentrarono su quell’aspetto e qualche giornalista trattò l’argomento con troppa malizia. Abbassai la mia cerniera semplicemente perché c’era un tasso di umidità spaventoso e per far compenetrare più aria nella maglietta. A distanza di anni vedo le cose con più leggerezza, non credo di azzardare nel dire che anche quel particolare contribuì ad attirare l’attenzione sul mio sport.
Hai un ricordo particolare, un frammento che è rimasto nella tua mente della prima vittoria olimpica? Quattro anni più tardi ti sei addirittura ripetuta nell’Olimpiade di Sidney confermando la tua superiorità mondiale in questa specialità, come hai vissuto il bis dopo Atlanta?
Della gara di Atlanta ricordo il gran caldo, la trepidante attesa degli americani che puntavano dritti a una medaglia d’oro e la loro delusione perché l’oro non arrivò. Non avevo mai visto un dispiegamento simile di telecamere per una gara di mountain bike, mi sembrava di vivere un film. Rispetto a quello che si era abituati a vedere in Europa era un’altra storia e non solo perché stavamo disputando un’Olimpiade. A Sidney fu ugualmente massacrante, a maggior ragione per il problema del fuso orario. In Italia, nelle settimane precedenti, mi allenai ad orari impensabili cercando progressivamente di ricalcare il fuso orario dell’Australia. Vinsi dopo una battaglia, la concorrente spagnola che era una delle favorite cadde in un tratto difficile e da quel momento non mi riprese più.
Tuo figlio Kevin pratica ciclocross a buoni livelli e in una recente intervista ha dichiarato, con una buona dose di umiltà, che per lui sarebbe fantastico raggiungere solo la metà dei risultati raggiunti da sua madre. Cosa hai cercato di trasmettere ai tuoi figli?
E’ giovane e mi fa enormemente piacere che mi prenda come una sorta di punto di riferimento. Deve vivere il suo impegno sportivo con estrema serenità, se i risultati arriveranno tanto meglio, se non arriveranno non sarà certamente un dramma.
Tuo marito, Paolo Rosola, è stato un ciclista di ottimo livello (ha vinto molte tappe del Giro d’Italia negli anni ’80) ed è tuttora dirigente di una squadra importante. E’ stato anche tuo allenatore e manager: senza di lui Paola Pezzo sarebbe diventata ugualmente la campionessa che tutti conosciamo?
A mio marito do un grande peso, tutte le grandi imprese non si compiono da soli. Sono sempre stata una persona molto determinata nella vita, però l’aiuto dei miei cari è stato fondamentale.
Come stai vivendo questa situazione generale legata alla pandemia? Cosa ti sta lasciando nell’animo questa storia e come vedi il futuro dell’umanità?
Penso di essere abbastanza fortunata insieme alla mia famiglia. Viviamo in un luogo dove è possibile uscire nel verde della natura, mentre mi preoccupano molto tutte le difficoltà di quelle famiglie numerose che vivono in condomini asfittici e in piccoli appartamenti. L’aspetto positivo di questo periodo, restando in tema di biciclette, è aver notato il grande aumento di persone che escono in bici, sia in mountain bike che in strada. Il mercato è cresciuto moltissimo in questi ultimi mesi, non può che farmi piacere.
Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande più “leggere” le cui risposte alle nostre interviste saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Ci può dire il titolo del libro che stai leggendo, la canzone che ti accompagna in questo mese e il tuo piatto preferito?
A dir la verità non sto leggendo molti libri negli ultimi tempi perché mi manca proprio il tempo per leggere. Leggo i quotidiani, ma non nego che mi piacerebbe scrivere un libro, una guida per tutti gli amanti della mountain bike. Un giorno troverò il tempo per farlo. La mia canzone preferita di questi ultimi giorni è “Musica leggerissima” di Colapesce e Di Martino, mentre a tavola i miei piatti preferiti sono sicuramente i risotti, di qualunque tipo!
Giornalista pubblicista, vive a Roma, ma di radici e origini ponzesi. Fotografo a tempo perso, appassionato di letteratura, heavy metal e new wave da sempre. Per Bertoni Editore ha pubblicato “Siamo Uomini o Calciatori”.