Protagoniste: Susanna Esposito
Trasparente, innovativa, empatica ed appassionata del suo lavoro. Si descrive così Susanna Esposito, Presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid), Professore Ordinario di Pediatria all’Università di Parma, nonché esperta OMS nei Maternal, Neonatal, Child and Adolescent Health (MNCAH) Research Network Working Groups, panel dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha l’obiettivo di definire l’approccio ai casi pediatrici gravi di infezione da SARS-CoV-2.
Con 623 pubblicazioni su riviste internazionali, Susanna Esposito è tra le “Top Italian Women Scientists”, un censimento delle scienziate italiane di maggior impatto in tutto il mondo.
Padre infettivologo, madre pediatra, fratello radiologo. Quanto ha influito questo sulla scelta di diventare medico o comunque sulla Sua storia professionale?
Da bambina in famiglia mi piaceva ascoltare discussioni che spesso inevitabilmente vertevano su problematiche mediche generali: i miei genitori amavano confrontarsi e non di rado mi ritrovavo a sfogliare, seppur per curiosità, i libri di medicina che riempivano le librerie della nostra casa. Se l’ambiente in cui vivi è un ambiente che ti piace, sia in termini di quotidianità che di opportunità, è molto probabile che questo influenzi le tue scelte anche per quel riguarda il percorso formativo e professionale.
Quando ha deciso di diventare medico?
Già alle scuole medie dicevo di voler diventare medico, mentre al liceo alternavo questo desiderio a quello di intraprendere la carriera giornalistica. Mio padre tendenzialmente non avrebbe voluto figli medici, eppure mio fratello ed io lo siamo diventati; nutriva anche qualche perplessità sul giornalismo perché, conoscendo la mia tenacia e il mio forte spirito di sacrificio, temeva volessi diventare corrispondente di guerra. Alla fine ho fatto il test di medicina, l’ho superato e ho iniziato questo percorso professionale appassionandomi sempre più.
Laureata in Medicina e Chirurgia cum laude, con specializzazione in Pediatria e, successivamente, in Malattie Infettive. Ci racconta brevemente la Sua carriera?
Ci fu un evento cruciale nella mia formazione e nella mia carriera: un Congresso sull’HIV a cui partecipai come studente. C’erano tantissimi ragazzi giovani che parlavano di ricerca, si confrontavano e arrivavano da tutto il mondo. Il problema dell’HIV mi aveva molto affascinato, ma non ero certa di volermi occupare di pazienti adulti: ai tempi si moriva molto di AIDS e i reparti di infettivologia erano molto impegnativi anche dal punto di vista psicologico. Fu in quel momento che mi resi conto di voler esplorare la pediatria infettivologica e decisi di seguire il Professor Nicola Principi, allora Direttore della Clinica Pediatrica dell’Ospedale Sacco di Milano e poi a capo della Clinica Pediatrica De Marchi. Quella fu una grande opportunità di apprendimento dal punto di vista clinico che mi permise via via di ricoprire ruoli crescenti.
Dal 2011 al 2015 presidente della Società Italiana di Malattie Infettive Pediatriche. Nel 2012 il primo incarico internazionale come Presidente della Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’eradicazione di morbillo e rosolia congenita. Sempre nel 2012 ha scoperto due nuovi Enterovirus: l’enterovirus C-117 e l’enterovirus C-118. All’età di 45 anni è arrivata una ulteriore grande opportunità: il posto di Professore ordinario di Pediatria dell’Università di Perugia con la direzione della Clinica Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, la direzione del laboratorio di riferimento regionale dell’Umbria per la diagnosi di fibrosi cistica, la direzione del Centro Regionale dell’Umbria per il diabete in età pediatrica e la direzione della Scuola di Specializzazione in Pediatria. Una realtà molto diversa dalla Lombardia per le caratteristiche stesse della Regione Umbria, ma altrettanto stimolante. Oggi Parma, dove lavoro come professore ordinario dell’Università, direttore della Scuola di Specializzazione i Pediatria, direttore della Clinica Pediatrica all’Ospedale Pietro Barilla dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma. E la seconda nomina all’OMS per lo studio di casi pediatrici gravi da nuovo coronavirus.
Prima Milano, poi Perugia, oggi Parma. Come ha conciliato vita privata e lavoro?
In questi casi, avere una vita privata molto solida, e comunque organizzata, è una grossa sicurezza, soprattutto nella crescita e nella gestione dei figli. Ho conosciuto mio marito all’Università, ed è stata una persona sempre presente. La scelta di lasciare Milano e trasferirmi a Perugia è stata condivisa: non è stato semplice, ma abbiamo fatto tutto il possibile per conciliare i due aspetti, supportandoci e vicenda. Parma mi ha permesso di riavvicinarmi molto a Milano e non mi fa sentire lontano dalla famiglia, rappresentando un vantaggio anche dal punto di vista psicologico: qualsiasi necessità io possa avere, so di poter raggiungere casa in tempi brevi.
Quali i successi e i momenti più critici della Sua carriera?
Mi piace misurare i miei successi in termini di cura dei pazienti: uno dei più grandi è stata la presa in carico di un bambino con tubercolosi altamente multi-resistente per cui siamo stati i primi al mondo sia a reperire farmaci che non erano disponibili neanche in Europa, sia a somministrarli in ambito pediatrico. Aver salvato la vita di un paziente di questo tipo lo considero un grandissimo successo. Poi la cura di mia nipote che, a pochi mesi di vita, è stata ricoverata nel mio reparto per un’enteropatia autoimmune molto rara e complicata. Quest’anno ha compiuto 6 anni ed è quasi completamente guarita. Altri successi derivano da ricerche e scoperte che hanno portato gli scienziati a rivedere le linee guida esistenti a livello internazionale, sia sulla pertosse sia sul vaccino antinfluenzale.
I momenti più critici sono legati alla vicenda della sanità umbra in cui sono stata catapulta nel 2018, ricevendo ritorsioni e accuse infondate. Ma le dovute indagini da parte della Procura mi hanno permesso di ritornare alla serenità. I tempi della giustizia sono molto lunghi e possono davvero rovinare la vita di una persona.
Quali sono gli ostacoli nell’essere medico e donna?
Soprattutto ad alti livelli, purtroppo ancora oggi permangono differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione. Vi sono stereotipi culturali, purtroppo ben radicati, che incidono tuttora sull’atteggiamento adottato nei confronti del lavoro femminile, soprattutto da parte degli uomini. È necessario un costante “lavoro culturale” per depotenziare e combattere questo modo di pensare. Importanti, in questo senso, sono campagne informative da effettuare nelle scuole in grado di sensibilizzare i più giovani.
Com’è la pediatria nel nostro Paese?
La nostra è una pediatria che funziona, sia livello ospedaliero-universitario sia territoriale. In questo periodo di emergenza sanitaria causata dal Covid-19 alcune opportunità di confronto si sono ridotte, soprattutto a livello nazionale. Abbiamo comunque cercato di rimanere costantemente aggiornati attraverso l’organizzazione di webinar e Congressi virtuali, ma anche noi non vediamo l’ora di poter tornare alla normalità. Un neo, però, c’è ed è rappresentato dalla carenza di pediatri a livello ospedaliero: la maggior parte dei giovani medici, infatti, preferisce diventare pediatra di famiglia, quindi operare a livello territoriale.
E l’infettivologia?
L’infettivologia italiana nasce ai tempi dell’HIV ed è da anni punto di riferimento in tutto il mondo. Sono numerosi i successi e i riconoscimenti prestigiosi attribuiti agli scienziati italiani. Anche nella lotta al Covid la ricerca italiana sta offrendo il suo enorme contributo e questo è dimostrato dalle numerose pubblicazioni scientifiche.
Che consigli darebbe alle giovani aspiranti medici?
Alle giovani aspiranti medici direi che la determinazione in medicina è fondamentale: lo è negli anni dello studio, perché è un corso di laurea lungo ed impegnativo, e lo è sul campo. Per imparare, infatti, è necessario essere presenti. Più si è presenti più ci si rende utili, più si impara e più si entra nel sistema. È inoltre importante avere un “Maestro” che possa trasmettere alcuni valori importanti nel lavoro, che possa farti da guida per tutto il percorso formativo, evitando eccessivi cambiamenti che, nel percorso iniziale della crescita professionale, non sono di aiuto. I traguardi possono comunque essere raggiunti solo grazie a passione, tenacia, curiosità e forte spirito di adattamento.
Classe ’85. Nata a Mazara del Vallo, vive a Roma dal 2012. Prima di raggiungere la Capitale, studia all’Università per Stranieri di Perugia e trascorre un anno a Londra, dove è impegnata nella formazione del personale. Appassionata di tematiche riguardanti il benessere e la salute della persona, da 8 anni si occupa di comunicazione medico-scientifica, affiancando Società Scientifiche e Associazioni di Pazienti nel diffondere i propri messaggi presso i media. Ama la natura, la mountain bike e cucinare!