Protagoniste: Intervista a Sara Lazzaro
Alla sua Agnese, nella serie campione di ascolti di Rai1, DOC, Sara Lazzaro ha regalato gli occhi malinconici e la forza di una continua rinascita.
Mentre la seconda stagione del medical drama, con i suoi primi due episodi ha già superato nuovi record, incontriamo l’attrice madrelingua inglese e italiana che sta vivendo un momento di nuove grandi sfide lavorative, sul piccolo e grande schermo. Dopo aver preso parte a serie cult come The Young Pope di Paolo Sorrentino, l’abbiamo vista al cinema con l’amato 18 regali, in vesti più leggere in TV per Matteo Oleotto con Volevo fare la rockstar e alla Mostra del Cinema di Venezia con Welcome Venice di Andrea Segre. In attesa dei nuovi episodi di DOC e di rivederla in TV nel nuovo capitolo di Volevo fare la rockstar, nella nuova stagione di Devils su Sky diretta da Nick Hurran e Jan Michelini e su Netflix con Fedeltà di Andrea Molaioli e Stefano Cipani, raggiungiamo Sara Lazzaro per scoprire la donna oltre l’attrice e farci raccontare come sta vivendo questo periodo florido che vedrà il suo culmine anche in un altro sogno che diventa realtà: tornare al cinema diretta da Paolo Virzì con Siccità.
Finalmente è arrivata la tanto attesa seconda stagione di DOC, che avventura è stata?
Sono molto emozionata perché non sapevamo bene come sarebbe andato e avevamo una forte responsabilità per il successo della prima stagione, che non era prevedibile. In questa seconda stagione gli intrecci sono estremamente ricchi, frutto di mesi di lavorazione intensi. Oltretutto tornare sul set a marzo 2021 con la consapevolezza di ciò che era avvenuto, è stato diverso. Come ha spiegato anche il produttore Luca Bernabei in conferenza, questa stagione ha un fil rouge che è il covid ma non è incentrata sulla situazione, sul momento clou del covid però diciamo che è una cosa che abbiamo passato tutti e quindi abbiamo portato anche il nostro bagaglio personale rispetto a questo punto. L’intera collettività è stata scalfita da questo momento difficile e secondo me questa cosa l’abbiamo portata dentro il lavoro, è pregna di umanità questa seconda stagione.
Come descriveresti Agnese e che evoluzione c’è stata in lei?
Io amo lasciare che le persone si sorprendano durante il percorso quindi senza chiaramente spoilerare nulla, sento che Agnese nella prima stagione fa un viaggio ed ha una resistenza nei confronti dell’ex marito Andrea ( Luca Argentero) che torna ad essere l’uomo che lei ha sempre amato. C’è questa difficoltà in lei nel prendersi la responsabilità del presente che comunque ha scelto, una nuova famiglia, un nuovo compagno e c’è anche questo conflitto interno rispetto alla morte del figlio Mattia. Insomma c’è stato un viaggio molto denso fatto da Agnese nella prima stagione: delle durezze, dei nodi si sono sciolti, le difficoltà sono state affrontate, è sopravvissuta a un malore improvviso e in qualche modo, secondo me, le sono passate davanti agli occhi le priorità della vita, cosa vuole, che cos’è l’amore, che cosa è successo fino ad ora. La lasciamo alla fine della prima stagione con delle consapevolezze molto nuove. Nella seconda stagione come per tutti i personaggi, entrerà in gioco il covid anche nella vita di Agnese e questa cosa avrà degli effetti e delle conseguenze che la porteranno a trasformarsi. Posso dire che secondo me la vedremo cambiare un po’ sotto molti punti di vista. Agnese prenderà forme nuove.
Ci sono certi traumi e dolori difficili da superare come la perdita di un figlio. Nella vita e nella finzione spesso si tendono ad immaginare dei comportamenti standard rispetto all’elaborazione del lutto. In questo, il percorso di Agnese non è mai scontato.
È vero. Nel caso di Agnese, come attrice mi interessava portare una figura femminile che su carta poteva rischiare di risultare come l’ex moglie rigida conflittuale e cadere in un’antipatia scontata se posso banalizzarla così. Mi interessava invece molto capire cosa c’era dietro questa durezza e ho trovato tanta sofferenza, il dolore. È una donna che magari si è aggrappata a dei modi di essere, a delle severità che l’aiutavano ad andare avanti in un sistema che lei si è costruita, fallace, dove a livello emotivo accettava con difficoltà quello che le stava succedendo internamente. Quando provi una perdita così grande sono due le cose, o la vivi ogni giorno, ti schiaccia e non vivi più oppure ci sono anche delle persone che decidono di necessariamente metterlo da parte e non toglierlo perché questa perdita rimarrà sempre lì presente, però di andare avanti proprio per quel motivo. Dietro quella corazza, Agnese ha delle morbidezze che non potrebbe permettersi di avere.
Ci sono delle persone che a metà della prima stagione hanno cominciato a empatizzare con lei e a comprendere da dove venissero certi comportamenti, tutta questa paura di riavvicinarsi al marito che comunque le ha fatto del male. Non vengono raccontati quei 10 anni in cui Andrea era diventato uno stronzo, quello non è raccontato e io dovevo mostrarlo e raccontarlo con un atteggiamento di Agnese che dicesse: “tu ti sei dimenticato, io no!” e devo portare rispetto a me stessa perché io so come sono andate le cose. Anche Carolina ( Beatrice Grannò), mia figlia, è molto rigida con il padre. La prima stagione era concentrata sulla storia di Andrea, Doc, il personaggio di Luca Argentero e per me è stato necessario creare quell’iceberg sotterraneo per far capire come quei 10 anni che lui ha dimenticato hanno toccato gli altri personaggi.
Abbandoniamo Agnese per parlare di Sara attrice internazionale: nonostante questo periodo buio, la tua carriera non si accontenta certo di Doc. C’è il cinema innanzitutto, c’è stato 18 regali, Welcome Venice a Venezia e si intravede Paolo Virzì all’orizzonte. Un periodo fortunato?
È un momento molto florido per me che non penseresti in una fase di stallo per molti come questa. La cosa che mi piace più di tutto è la varietà dei lavori nel senso che non mi sono vincolata a quello che porto con Agnese. In 18 regali per esempio facevo un personaggio un po’ sopra le righe, eclettico mentre con Welcome Venice interpreto Lucia, una veneziana, in un film d’autore in cui l’atmosfera di famiglia era centrale. Poi c’è la serie Volevo fare la rockstar che è più comica. Mi sono capitate delle cose molto belle e devo dire che sta proseguendo: farò parte di Fedeltà, questa nuova serie Netflix che dovrebbe uscire il 14 febbraio in cui interpreto Giulia. Un’altra cosa di cui sono molto felice che è capitata quest’anno è stato partecipare al film di Paolo Virzì, Siccità, un film in cui siamo quasi 30 attori e che penso vedrà la luce quest’anno.
Ognuno di questi registi e questi progetti hanno richiesto da me cose diverse e per me è stata quindi una crescita enorme.
Hai lavorato con grandi registi spaziando tra tv, teatro e cinema. Vedi un’evoluzione dei personaggi femminili o è una convenzione necessaria per rispettare un trend?
Bella domanda, ci si potrebbe fare un comizio Ted. Secondo me è un misto delle due cose. C’è una maggiore consapevolezza politically correct sul fatto che dobbiamo essere più inclusivi e per quanto a volte sembri una prescrizione sociale, male non fa affinché le cose cambino. Allo stesso tempo riconosco che un cambiamento seppur lieve è in atto ma manca ancora tanta strada dal mio punto di vista. Nel teatro ci sono sperimentazioni più audaci, vedi l’Amleto donna per esempio mentre per TV e cinema ci sono dei tentativi e ci sono degli esempi di protagoniste femminili che stanno cercando di scardinare uno status quo patriarcale maschilista che comunque c’è. Penso a fiction come Imma Tataranni, Luisa LoBosco ma questo tentativo e questa ricerca di emancipazione dovrebbero iniziare dalla scrittura. Se già questa fosse più inclusiva, non voglio dire che solo le donne possono scrivere di donne, ma averne qualcuna in più non guasterebbe. Sarebbe importante scrivere di donne che vengono viste da donne, ci sono molte di noi che si guardano in televisione e che spesso non si sentono rappresentate. Vengono viste spesso da un punto di vista maschile oppure alla luce di una dinamica che parte dal punto di vista di un uomo oppure siamo ancora figlie di, fidanzate di e mogli di… un protagonista maschile. Molto spesso si muove tutto con alla base il rapporto amoroso. Sul piccolo e grande schermo spesso noi donne abbiamo per forza bisogno di un uomo per vivere, è interessante come riflessione. Io credo che il tentativo ci sia ma bisogna andare un po’ più a fondo e sporcarsi un po’ di più le mani. Anche io nel mio mestiere ho provato a cambiare le cose, in Volevo fare la rockstar, ad esempio, dove interpreto una veterinaria, una donna estremamente sicura di sé, del suo corpo e della sua sessualità. Questo personaggio se voleva andare a letto con uno nuovo ogni sera ci andava e non per forza di cose doveva risultare, passatemi il termine, una poco di buono. Ho voluto mostrare una donna che era molto sicura di sé, che amava il suo corpo e lo esponeva per se stessa, perché a lei faceva star bene e non per piacere al sesso maschile e questa cosa per me è stata un’opportunità.
Dato che sei bilingue ed hai vissuto anche in California, dal tuo osservatorio, cosa manca ancora ai nostri show rispetto a quelli “americani”?
Una cosa che posso dire dal punto di vista italiano e che mi fa molto piacere è che io vedo che anche Rai1 stessa sta cercando di smuovere dei linguaggi nuovi e un modo di narrare per immagini che è molto innovativo e accattivante e che ti fa dire “sembra americana”. Tra questi c’è DOC e Blanca. Secondo me la grande ricchezza che c’è in questo momento sono le piattaforme perché stanno creando concorrenza e questa fa sì che ciascuno debba lavorare per creare un contenuto che sia appetibile per varie tipologie di pubblico e adatto al tempo stesso ad un contesto internazionale. Negli Stati Uniti è veramente un’industria, a livello economico, strutturale hanno un sistema messo in piedi avanzatissimo, avanguardistico e hanno molti più mezzi di noi italiani e torno al fatto che al momento ciò che fa la differenza in molti prodotti anglofoni è la scrittura. Si focalizzano sullo scheletro, sulle parole, sulla storia e non troppo sull’involucro estetico. La storia è così potente di per sé che basta. Le storie che hanno più riverbero sono quelle che nascono da un senso di necessità. Penso che l’ultimo film di Paolo Sorrentino, ad esempio, sia incredibile da questo punto di vista perché quello che ha fatto lui è nato da un senso di necessità di raccontare qualcosa di estremamente intimo e profondo e l’ha regalato al pubblico ed è una delle prime volte che percepiamo questa cosa nel lavoro di Paolo. Io amo le opere prime che spesso sono le cose più belle di molti autori perché nascono da uno stato di necessità di raccontare qualcosa che pulsa. Possiamo parlare di strutture ma il cardine di tutto rimane un qualcosa che si deve raccontare
Ho letto che ti piacerebbe lavorare con Wes Anderson, chi sono gli altri registi e gli show che ami?
A Wes Anderson avrei voluto scrivere una lettera anni fa. Tra gli altri registi che amo ci sono i fratelli Coen che mi piacciono tantissimo perché mi rappresenta molto quel tipo di dark humour e scrittura e anche la costruzione dei personaggi secondo me è interessantissima. Di serie invece The Handmaid’s Tale è stato incredibile per me da tutti i punti di vista. Quello che stanno facendo quelle produttrici, quei registi e e quella casa di produzione è la miccia di un cambiamento molto forte. La narrazione è molto potente e far parte di un progetto così innovativo mi sarebbe piaciuto moltissimo.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.