Libri: Lacci di Domenico Starnone
Si parla di scelte. Il bianco o il nero. Perché il grigio è sofferenza.
Lasciare tutto: moglie, figli, famiglia, per l’amore della vita, o ritornare sui propri passi, seguendo i lacci del titolo, pur sapendo di andare incontro all’infelicità?
Lacci, non legami. Ci ho pensato alla fine e credo che non sia un titolo a caso. I legami non sono lacci. Non ne hanno bisogno. È vero invece il contrario.
Per Aldo quei lacci sono l’unico modo per rimanere per il resto del suo tempo insieme alla donna che ha sposato e con cui ha fatto due figli. Il racconto parte dallo strappo, dall’abbandono: pesante, doloroso, ma meditato, voluto. La separazione, la rinuncia degli affetti per qualcosa di più grande. Impermeabile al dolore provocato, quello a Vanda prima di tutto.
Poi il libro vira e Aldo e Vanda li troviamo insieme anziani. I lacci. Una forza invisibile carica di sensi di colpa, di paura, l’ha riportato a casa. Ma quale casa? Con chi?
Personalmente condivido quello che ha scritto Annalena Benini sul Foglio. “Lacci è la storia spietata del rumore profondo che fa un matrimonio quando si spezza, e della ferita che porta con sé anche quando si è deciso, con sofferenza, di ricominciare, di tornare ognuno al proprio posto: a casa, con i figli, con una moglie consumata dal dolore e dalla rabbia, che ha perso il suo splendore, e di cui lui non ricorda più nemmeno un minuto di splendore. Domenico Starnone ha dato voce a tutti, ha dato a ciascuno una risposta al dolore: ai figli bambini e poi adulti, alla moglie giovane e poi anziana (“ora che sono vicina agli ottant’anni, posso dire che della mia vita non mi piace niente”), e al marito, padre, amante, Aldo, che si muove fra loro come un sonnambulo, schiacciato da quello che ha fatto, e poi dal suo sacrificio, dal fallimento della felicità, propria e altrui, dalle cose da restituire e quelle da sacrificare, e dalla paura che tutto di nuovo lo travolga, e faccia ancora male.
C’è, in questo romanzo lancinante, velocissimo mentre percorre in profondità una vita intera, l’idea che a tenerci insieme a volte sia qualcosa di cattivo, di danneggiato, perfino di sadico, che non si riesce a perdonare e quindi non si cancella, ma ci accompagna”.
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Gino Tomasini, bresciano, Giornalista Professionista
Studi di filosofia, Master in “Relazioni Pubbliche d’impresa” all’Università IULM di Milano. Dal 1990 vivo di parole, prima in radio, poi in alcuni quotidiani locali, tv e agenzie di pubbliche relazioni. Dal 2006 communications manager in una multinazionale farmaceutica.
Appassionato di libri.