Libri: Mio padre è stato anche Beppe Viola di Marina Viola
Il 17 ottobre scorso ricorreva il 40esimo dalla morte di Beppe Viola, per me uno dei più grandi giornalisti italiani, morto a soli 42 anni mentre tornava in Rai da San Siro per montare il servizio di un Inter Napoli.
Gli amici, le persone che l’hanno conosciuto e amato gli hanno dedicato una serata al Teatro Parenti di Milano. Serata molto bella dove si è riso, ci si è commossi, a rivivere ricordi, atmosfere di un mondo che non c’è più, di talenti enormi, di bevute e di mangiate, quanco ce n’era. Sul palco c’era anche Marina, una delle 4 figlie di Beppe, che oggi vive negli Stati Uniti e fa la scrittrice. Alcuni anni fa ha pubblicato questo libro: Mio padre è stato anche Beppe Viola. E’ il mio consiglio di questa settimana.
Marina Viola, la seconda della 4 figlie di Beppe, a oltre 30 anni dalla morte del padre ha cercato di ricostruirne l’identità attraverso i racconti degli amici più cari, quelli noti e quelli sconosciuti: del bar, dell’ippodromo, della strada. L’ha fatto perché quando muore il papà e tu sei ancora una bambina i ricordi con il tempo si affievoliscono e il rischio è che rimanga solo il mito. Ma anche per lasciarlo finalmente andare quel papà che è stato anche Beppe Viola. E’ un bel libro questo firmato da Marina: sull’uomo, sul padre, sul marito, con tutti i suoi pregi e i tanti difetti.
(…) Lì, nella chiesa dove avevo fatto la prima comunione e la cresima, dove ero andata a confessarmi per tutte le palle che raccontavo ai miei, o perché giocavo al dottore con Fabio e sapevo bene che era peccato, in quella chiesa lì, appunto, vidi per la prima volta la cassa da morto, bella lucida, davanti all’altare. E lì dentro c’era papà. Come fa a uscire da lì? Fino ad allora per me era morto Beppe Viola, quello della televisione, quello che fa ridere. Fu solo in quel momento che mi resi conto che a morire era stato il mio papà, e cominciai a stringere io la mano a Enzo, e la gola stringeva me, e finalmente avvertii la prima lacrima calda, lenta, densa e pesante di un dolore e di una solitudine che sarebbero diventati miei compagni per tutta la vita (…). Fu la mamma, dopo aver lanciato una rosa rossa nella fossa, sopra la bara, a rompere il silenzio. “Ciao, Peppi”, disse. L’ultimo loro momento di intimità. Quel “ciao Peppi” lo sento rimbombare dentro di me, un’eco che non si è ancora placata (…). Non disse addio perché nessuno di noi era pronto per un addio. Fu semplicemente un ciao, un ci vediamo, un a dopo. Quasi come una speranza. Un’illusione che questo non fosse altro che uno di quegli scherzi che ci faceva lui, che poi ricompare e tutti ridiamo come matti (…).
A me manca Beppe Viola, manca tanto, come credo manchi a chi fa il giornalista. Immagino alle figlie. Non credo arriverà mai il momento di dirgli addio.
Gino Tomasini, bresciano, Giornalista Professionista
Studi di filosofia, Master in “Relazioni Pubbliche d’impresa” all’Università IULM di Milano. Dal 1990 vivo di parole, prima in radio, poi in alcuni quotidiani locali, tv e agenzie di pubbliche relazioni. Dal 2006 communications manager in una multinazionale farmaceutica.
Appassionato di libri.