Libro della settimana: Se mi mandi in tribuna, godo di Ezio Vendrame
Di lui, negli anni ’70, si diceva che avrebbe potuto essere il più grande di tutti, meglio di Sivori, meglio di Kempes, a cui lo paragonava l’allora presidente della Juventus, Giampiero Boniperti, uno che di calcio se ne intendeva.
C’era però un ma in tutti i discorsi che lo riguardavano, nemmeno tanto sottinteso. Quell’avversativo si riferiva alla sua testa matta. Il diretto interessato non ci faceva nemmeno caso: a lui quella testa piena di capelli piaceva così com’era “colma di peccati, di salite, di decolli e di debolezze. Attratta dai no, da vera guerriera”. Ezio Vendrame, classe 1947, da Casarsa della Delizia, il paese di Pasolini, è stato un artista del calcio ed era uno dei miei miti di bambino. Al posto dei piedi aveva due stradivari, ma era lui a decidere se e quando farne melodia. Per questo non ha mai calcato palcoscenici prestigiosi o giocato in nazionale. Gli almanacchi lo ricordano girovago, in anni di fedeltà alla maglia, sui campi di provincia – Udine, Ferrara, Sassari, Rovereto, Vicenza – con la sola eccezione di Napoli. Con grande rammarico di chi considerava quello di Ezio un talento sprecato e non si capacitava del fatto che, come racconta lui in uno dei suoi libri più belli “Se mi mandi in tribuna, godo”: “più semplicemente, io amavo giocare a pallone, ma non mi piaceva fare il calciatore. Mi sentivo stretto, risucchiato, prigioniero, anche perché i vincoli, non solo societari ma anche ‘morali’ erano ancora molto forti negli anni ‘70”.
Di certo Ezio Vendrame è stato un uomo libero, che ha utilizzato le grandi doti di pedatore per vivere il mondo anche fuori dal prato verde e dallo spogliatoio. E a fine carriera, non ha aperto una tabaccheria o è diventato procuratore come tanti suoi ex compagni, ma poeta, scrittore e allenatore di ragazzini, fino alla sua scomparsa prematura tre anni fa. Pasolini diceva che dopo la letteratura e l’eros, il calcio è l’unica cosa in grado di dare emozioni autentiche. E sono emozioni vere quelle che trasmette “Se mi mandi in tribuna, godo”, raccolta di memorie picaresche, sfrontate, naif, eppure così sature di ciò che conta, micidiali per come centrano il bersaglio. C’è il calcio dell’epoca, raccontato in modo tutt’altro che epico e ci sono i sentimenti, le passioni, gli amici di sempre: quelli della trattoria di Luigino De Gobbi, a Olmo di Creazzo: il ventriloquo Conca, il petomane Bigarella, l’artista Kubala. Ci sono i compagni, i presidenti e gli allenatori, tratteggiati con ironia e affetto. C’è Piero Ciampi, poeta per davvero, conosciuto e amato più di un fratello. E ci sono le donne, tante. Giancarlo Dotto nella sua prefazione scrive. “Se mi mandi in tribuna, godo” è l’epitaffio sublime di quel calcio. Che era godimento dell’anima ma anche del corpo. Nel corpo di Vendrame, nella sua animalesca mania di sesso e di stupore, l’equazione allo stato puro tra gol e orgasmo, dribbling e libidine. La libidine dell’impresa calcistica in campo, dirompente, sfacciata, eccessiva, si combina con quella boccaccesca fuori campo. Amato dalle donne e dai tifosi nella stessa misura”.
Da leggere, specialmente per chi ha superato i 50 ed ha voglia di ritrovare il sapore di una stagione che non tornerà mai più.
Gino Tomasini, bresciano, Giornalista Professionista
Studi di filosofia, Master in “Relazioni Pubbliche d’impresa” all’Università IULM di Milano. Dal 1990 vivo di parole, prima in radio, poi in alcuni quotidiani locali, tv e agenzie di pubbliche relazioni. Dal 2006 communications manager in una multinazionale farmaceutica.
Appassionato di libri.