Protagoniste: intervista a Teresa Riott, interprete di Valeria, serie spagnola su Netflix
Quest’estate è uscita su Netflix la terza e ultima stagione di Valeria, la serie che l’ha resa famosa in tutto il mondo ed ora la nostra Protagonista della settimana, Teresa Riott, attrice catalana classe 1990, ospite della prima edizione del Season International Series Festival diretto da Simona Gobbi di Gallipoli ed Alezio, è pronta per tirare le somme di questa esperienza rivoluzionaria.
Già sul set di un’altra serie, El Inmortal, che in Italia ancora non possiamo vedere, Teresa ha preso parte ad un talk sul successo delle serie spagnole ed è partita dal caso di Valeria per parlare di personaggi femminili al cinema e in TV e del cammino che ancora abbiamo davanti per una vera parità e inclusione.
Che bella la collana di Barbie che indossi!
È un film che mi ha segnato la vita ed è diventato subito uno dei miei preferiti.
Come ti sei trovata al Season International Series Festival?
È stata una sorpresa venire in un posto così bello e condividere un talk con attori del calibro di Mario De La Rosa e Harlys Becerra. In più, è stato bellissimo poter condividere con loro anche momenti di ozio, visitare la città e parlare della nostra professione, scambiarci opinioni sull’industria dell’audiovisivo, soprattutto in Spagna dove lavoriamo.
Come è arrivata la serie Valeria nella tua vita?
Grazie ad un video che ho registrato, per una marca di cosmetici, insieme ad una mia amica attrice che si chiama Blanca Suárez. Una regista aveva visto il video e quando ci siamo incontrate per caso per strada a Madrid, mi ha detto che le era piaciuto molto e chiesto se volevo partecipare ad una serie con un piccolo personaggio.
Abbiamo fatto una prova di lettura per il personaggio di Nerea e da lì è iniziato tutto. Devo tutto insomma a un video ed un incontro in panetteria.
Valeria è il progetto che mi ha cambiato la vita perchè con il potere di diffusione che ha avuto Netflix con la serie, che ha fatto seguito al successo che già i romanzi di Elizabeth Benavent da cui è tratta la serie avevano avuto in Spagna, è arrivato il successo mondiale in cui speravamo e al livello professionale ho potuto imparare veramente molto.
Che cosa ti manca di più di Valeria?
Mi manca stare con le ragazze, non era un lavoro, stavamo sempre insieme, in auto assieme, a fare le prove, prendere il caffè, a mangiare, a girare. Interpretavamo dei personaggi ma l’amicizia che si è creata è vera e ora che non viviamo più così vicine ed ognuno fa la sua vita, ci manca il “dover” stare insieme, il che ci rendeva felici. Mi manca molto stare con loro e mi manca il personaggio di Nerea perché mi permetteva di liberare il mio lato più duro, nevrotico e organizzativo. Mi piaceva molto poter dire sempre quello che pensavo grazie a Nerea.
Attraverso Nerea, la serie parla per esempio dell’importanza del coming out in famiglia
È stato molto bello per me che la serie abbia deciso di introdurre un personaggio della comunità LGBTQ+ visto che nel romanzo, Nerea non è lesbica. Nel suo caso poi, mi è sembrato molto positivo che non si trattassero temi femminili, rosa per intenderci, ma si parlasse di una donna che deve fare coming out a 30 anni. Ti immagini come deve essere stata la sua vita prima, nel sentirsi sempre fuori posto sempre anche con le sue amiche care e con se stessa perché se uno non può esprimersi per chi è all’interno della propria famiglia e la propria cerchia, non può veramente e pienamente essere se stessa.
Vediamo che Nerea ha sempre vissuto e lavorato con i suoi genitori non dicendo loro la verità e nella terza stagione, attraverso un flashback su di lei con la sua famiglia, assistiamo al fatto che non la accettano per la sua omosessualità, non credono sia possibile che lei sia lesbica. Questo genere di cose ti cambia la personalità e diventi una persona che non conosce se stessa e se quando fai coming out, poi vieni abbandonata, come succede a Nerea perché i suoi genitori nella serie non li vediamo più poi, è una cosa molto forte e serve a mostrare alcune realtà che non sono perfette. C’è gente che ha avuto fortuna a fare coming out ed essere accettato dai genitori, altre persone non hanno neanche dovuto dirlo perché è avvenuto tutto naturalmente e poi ci sono situazioni come questa di Nerea più difficile e dura mostrata però in un contesto e una serie fresca e leggera come Valeria. Mi sembra che sia stato fatto molto bene e abbia permesso alla gente di connettere con lo show, sentirsi rappresentata ed empatizzare.
Ci racconti invece della tua nuova serie El inmortal – L’immortale in cui interpreti una narcotrafficante?
È una serie che si ispira a fatti reali che accaddero in Spagna negli anni ‘90. Si parla di una banda di narcotrafficanti veramente esistita che si chiamava I Miami e in questo caso si pone l’accento sul capo della banda, che si chiama L’Immortale e tutto quello che succede intorno a questo personaggio, su come sale al potere e lo mantiene. Nel mio caso interpreto una donna realmente esistita, che entra nella banda in una maniera atipica, una donna in un mondo di uomini, a cui quel mondo piace così come il pericolo, la paura. È una donna senza preconcetti ed è molto distinta dal personaggio che ho creato con Nerea. Mi ha permesso di esplorare temi e sentimenti come la paura, il potere, l’ambizione e il coraggio ed in più è un thriller da cui è difficile sganciarsi visto che poi è basato su eventi reali.
Dal tuo punto di vista che evoluzione intravedi nei personaggi femminili al cinema e nelle serie?
Stiamo facendo sicuramente dei passi in avanti, si parla molto di inclusione delle donne e si stanno creando dei team creativi e operativi sui set con un numero sempre maggiore di donne presenti. È però un cammino che abbiamo appena iniziato. Il cinema fatto dalle donne è incredibile e di giorno in giorno si scoprono nuove sceneggiatrici, nuove direttrici della fotografia, nuove registe ma ancora ci resta da lavorare per conquistare sempre più personaggi femminili a tutto tondo che non siano solo la solita madre di, la fidanzata di, l’amante o la cattiva. Dobbiamo pretendere personaggi complessi e femminili.
Credi che il cambiamento che si intravede sia concreto o a volte apparente?
Non sono un’esperta ma credo che all’apparenza il cambio sembri molto più radicale di quello che realmente è. Si sta dando molta visibilità ad alcune registe che stanno effettivamente cambiando il paradigma del cinema fatto dalle donne però poi di fatto, a parte queste registe esponenti di punta, i numeri sono ancora bassi. È un cambiamento che deve avvenire sin dall’educazione delle future donne: se tu ad una bimba non le mostri che ci sono tante registe, tante donne in questo campo, questa bambina non penserà mai di potercela fare e ci sarà sempre una percentuale bassissima di iscritte ai corsi di cinema e ancora più bassa sarà la percentuale di quelle che si iscrivono a corsi tecnici per diventare non solo registe ma anche direttrici della fotografia, montatrici, operatrici di macchina etc.
Che sogna professionalmente Teresa Riott?
Sogno di sentirmi realizzata con i lavori che intraprendo. Non voglio fare cose che non mi rappresentano. Voglio prendere parte a progetti che mi facciano crescere a livello artistico e che mi rendano felice. Dal punto di vista cinematografico mi piacerebbe tanto girare qualcosa che mi faccia desiderare di non lasciare mai il set e non tornare a casa. La vita è molto breve e benvenute siano quante più vite io possa vivere attraverso il mio lavoro.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.