Protagoniste: intervista a Liliana Bottone dal 24 Novembre al cinema in “Cento Domeniche” di Antonio Albanese
Sin dall’inizio della sua carriera come attrice, è stata diretta da grandi registi come Riccardo Milani in Grazie Ragazzi e da Edoardo De Angelis in Sabato, Domenica e Lunedì. Liliana Bottone, si distingue, in teatro, in TV ed al cinema per una innata eleganza nell’interpretare i suoi personaggi senza imporsi sulla scena. La incontriamo per farci raccontare la sua ultima prova, quella intensa e familiare accanto ad un gigante come Antonio Albanese, di cui interpreta la figlia, nel film da lui anche diretto, in uscita in sala il 24 novembre: Cento Domeniche.
La quarta regia di Albanese è la scusa perfetta per scoprire gli insegnamenti che Bottone si è portata a casa grazie al lavoro con Sergio Castellitto, i suoi sogni come attrice e la sua visione sul futuro delle donne al cinema e nel cinema.
Come sei arrivata a interpretare la figlia di Antonio Albanese in Cento Domeniche?
Ci eravamo conosciuti solo un giorno, sul set di Grazie Ragazzi e mi ricordo questo momento in cui era notte ed eravamo dietro le quinte e lui mi disse: “guarda, devo fare un film mio fra qualche mese, ci tengo tantissimo e i casting li voglio curare io, lasciami il numero di telefono così ti faccio chiamare”. Passano i mesi, mi arriva la chiamata e mi chiede di andare a Milano a leggere il copione, perché mi dice: “ho bisogno di sentirti leggere e poi ci organizziamo”. Io immaginavo di dover fare poi un provino invece sono andata lì, l’abbiamo letto e lui mi dice che da una parte gli ricordavo sua figlia e per certi versi sua madre, per i colori. Mi inizia poi a chiedere: “ma tu che cosa fai nei prossimi mesi? sei impegnata?”. Io gli rispondo:” ma i provini quando li facciamo?”.
E lui: “no, non li facciamo, se tu vuoi il ruolo, è tuo, però lo devi volere”. Io ero spiazzata perché un atto di fiducia così nei miei confronti, in ambito lavorativo, non l’ha mai fatto nessuno che non mi conoscesse. Io ovviamente ero lusingata, ho detto che ci avrei pensato un attimo, in realtà avevo un altro progetto in ballo che ho abbandonato e quindi è andata così.
Nel film siete riusciti, attraverso piccoli grandi gesti, a dare un senso della storia e del rapporto che c’è tra questo padre e questa figlia. Che lavoro avete fatto?
Penso che tutto sia partito da suo iniziale gesto di fiducia nei miei confronti. Da lì è stato tutto molto naturale, anche per accettare il ruolo, non ha mai provato a convincermi, mi ha detto che la decisione era mia. Mi sono sentita totalmente libera ed ho pensato che con questa persona volevo approfondire il rapporto. Da quando ho accettato ci siamo sentiti spesso per telefono, quando io sono arrivata lì a Lecco dove abbiamo girato, sono rimasta anche quando non giravo e mi ha immerso in quel mondo. Siamo stati a cena fuori, mi ha presentato il proprietario del ristorante dove va sempre, ho conosciuto sua moglie, suo figlio, le persone che lavoravano sul set con lui, che già conoscevano bene Antonio e già avevano lavorato con lui. C’era un clima condiviso di familiarità anche da parte della troupe quindi è stato più facile entrare in confidenza con lui perché nonostante mi sentissi l’ultima arrivata, è stato facile superare questo step ed entrare in confidenza con lui e con tutti quanti anche nel modo in cui lui ti dirige, ti dà delle indicazioni ma poi ti lascia molta libertà. Parlavamo tranquillamente e andavamo a rivedere le scene e ne discutevamo al monitor. Si è creato un rapporto di grande confidenza che non si crea sempre perché, a meno che tu non sia un attore di un certo calibro, vieni tenuto spesso in disparte invece mi son sentita inclusa in tutto.
Fino adesso, nella tua carriera si può dire che tu sia stata fortunata (ma forse la fortuna non c’entra) ed hai lavorato con molti maestri. Mi viene in mente un altro nome: Sergio Castellitto.
Con lui vi siete cimentati in una trasposizione cinematografica di un testo teatrale da molto considerato intoccabile: Sabato Domenica e Lunedì. Come l’hai vissuto?
Quando ho incontrato Edoardo De Angelis, il regista, è stato bellissimo perché io ho fatto il provino per il personaggio femminile nel film ed invece poi ho interpretato un ruolo che nel testo teatrale è di un ragazzo. Il provino andò molto bene quindi mi fissarono questo incontro con Edoardo. Ci vedemmo e lui mi disse: “sai ho avuto questa idea di trasformare il figlio in una figlia, tu che ne pensi?”. Io mi ricordo che in maniera molto sfrontata gli dissi la mia idea. Pensai poi che non mi avrebbe preso mai perché avevo detto troppo di quello che pensavo. Invece oggi penso che proprio per quel motivo lui poi mi abbia voluta, da subito gli dissi la mia visione. È stato bellissimo lavorare su quel set e vedere Sergio Castellitto lavorare è stato un grande insegnamento. È incredibile, quando lui girava, soprattutto il suo monologo finale,ogni ciak era buono e ogni ciak era diverso. Io ho pensato: “mamma mia, che occasione stare qui” . In quei momenti mi dimenticavo che anche io stavo girando il film, pensavo solo che ero lì ad imparare delle cose.
Si sentiva certo un po’ di quella pesantezza rispetto ad un sensazione di rischio, lo star toccando “Eduardo”.
Hai notato che questa cosa ti ha portato ad assumere un’impostazione teatrale o sei riuscita a distaccarti dal tuo passato in teatro?
Il clima era un po’ da compagnia teatrale ed essendo un testo teatrale, un testo corale con tanti personaggi in scena, eravamo sempre tutti molto presenti durante scene importanti. Eduardo faceva anche in modo che noi fossimo sempre insieme. Devo dire però che quando giravamo, mi sono lasciata andare. Io ce l’ho molto chiara dentro di me la distinzione tra cinema e teatro quindi cerco di non cadere nell’errore di fare troppo quando c’è la macchina da presa che percepisce qualsiasi cosa tu faccia, mentre invece a teatro ti puoi permettere di fare tanto di più, anzi lo devi fare.
Spesso nei commenti che leggo di te in giro, viene usato l’aggettivo “elegante”. Io lo trovo calzante perché non sei solo elegante nel portamento ma nella maniera d’essere in scena, il tuo esserci senza importi.
Ti ci ritrovi? È una tua scelta di attrice o sei semplicemente così?
No non ho deciso. Mi fa molto piacere questa cosa, penso che sia frutto del lavoro che io faccio su di me come persona. Credo che le cose vadano di pari passo, credo che ti porti dietro quello che sei nei ruoli che interpreti, non credo nel personaggio, credo che sei sempre tu in qualche maniera e ci tengo sempre tanto a non impormi perché di solito c’è una storia che va raccontata, un’emozione che va raccontata e un ascolto che va fatto. Se poi io ne esco bene, deve essere una conseguenza di un lavoro fatto bene ma se io parto pensando che mi devono guardare, allora sto sbagliando. Mi capita a volte di star troppo concentrata su di me però per fortuna me ne accorgo e torno a concentrarmi.
Hai studiato recitazione, esci dall’Accademia Silvio d’Amico. Quanto è stato importante per te lo studio e quanto credi sia importante per un attore e per questa professione?
Io penso sia fondamentale, necessario e imprescindibile. Penso che il talento ce l’hai o non ce l’hai non dipende da te, però poi come tu scegli come coltivarlo, fa la differenza. Io lo vedo come da un punto di vista musicale: se uno è bravo a suonare il violino però non prende lezioni di musica e non affina quell’arte, la persona che studia di più lo supererà anche se lui è più talentuoso. Anche se nella nostra arte di recitare è più difficile capire dov’è la tecnica e che cosa per allenarsi, ci sono cose da imparare e da migliorare quindi secondo me studiare è proprio fondamentale. Certo, è difficile studiare bene perché poi gli insegnanti sono tantissimi, anche i metodi, non tutto va bene per tutti e quindi secondo me devi essere anche bravo a capire che strada prendere e cosa ti può essere utile. Non bisogna mai darsi per scontato e tenersi in allenamento. Io lo dico su di me, se mi fermo me ne rendo conto perché torno indietro.
Cosa sognava Liliana da piccola, in termini attoriali, prima di iniziare questo percorso?Ti eri immaginata già un percorso oppure sei sempre stata lì a braccia aperte rispetto ai progetti?
C’è un’idea che però è in evoluzione perché per esempio io all’inizio volevo continuare a fare teatro poi iniziando a fare televisione e cinema mi sono resa conto che mi piacciono tanto e che le voglio fare anche sacrificando il teatro (spero non per sempre). Un’idea c’è ma allo stesso tempo io sono molto aperta e comunque è la mia professione, io vivo di questo, quindi le scelte le prendo in base a tanti fattori, anche quelle economiche. Non sono nella posizione di dire “aspetto quel progetto e per due anni sto ferma”, dovrei tornare a casa dei miei e questo è impossibile. Cerco di fare un percorso che sia coerente e credo di starlo facendo. È molto importante per me anche affidarmi a persone che mi seguono, come la mia agente e le persone che mi vogliono bene e mi conoscono. Non prendo decisioni da sola, mi confronto sempre per avere un parere esterno.
Ho capito da interviste a tuoi colleghi che non c’è più la discriminazione verso la televisione che c’era un tempo ma sicuramente esiste ancora un pregiudizio verso un certo tipo di serialità, vedi la fiction ad esempio. Confermi?
Sì, c’è ancora e da diversi punti di vista. C’è da parte di alcuni registi che non ti prendono proprio a lavorare se hai fatto determinate cose perché vogliono un certo tipo di attore. C’è poi anche da parte nostra nel senso che, è un fatto oggettivo che determinati prodotti necessitano di molto tempo e molti soldi per essere organizzati mentre quelli televisivi avendo una vastità di scene da realizzare, per forza di cose ti danno la possibilità di esprimerti. Detto questo, non ci dovrebbe essere discriminazione perché se certe cose vengono fatte perché c’è un pubblico e va rispettato. Io non toglierei la serie TV della Rai che guarda mio nonno. C’è chi dice che queste cose non dovrebbero esistere perché ammazzano il cinema, io non credo proprio che sia così.
Hai notato un’evoluzione dei personaggi femminili negli ultimi anni?
Sì ma in Italia si va molto a rilento. Ci sono pochi ruoli femminili validi e questo si vede già dal fatto che gli attori che emergono in Italia anche delle generazioni più giovani, sono maschi. Se tu pensi ai migliori attori che sono emersi negli ultimi tempi, a parte Matilda De Angelis e qualche altra che ha intrapreso bei progetti, le donne sono in minoranza. Bisogna ancora spingere tanto su questa cosa. In America è già migliorata questa situazione se penso a tutte le mie attrici preferite che hanno dato prove straordinarie con dei ruoli pazzeschi però qui io credo che accada ancora troppo poco.
Quali sono le tue attrici preferite in America?
Meryl Streep, Kate Winslet di cui mi piace l’approccio al lavoro e mi piace come persona perché non riesco a scindere l’artista dalla persona, se non mi piace quello che sei, inizio a guardarti male anche nei film. Mi piace Cate Blanchett e adoravo la Kidman. Purtroppo da quando si è rifatta si è un po’ freezata ma continua a piacermi.. Della mia generazione invece mi piacciono molto Saoirse Ronan e Zendaya.
Domanda quasi di rito qui su Pink: secondo te il cambiamento che stiamo intravedendo, in termini di parità tra donne e uomini, è vero o imposto, di moda?
Da un punto di vista di parità, a livello di paghe spesso c’è una disparità anche nel mondo del cinema, lo hanno dichiarato apertamente attrici come Jennifer Lawrence in America. Devo dire che nella mia esperienza non ho avuto confronti che mi hanno fatto storcere il naso, da questo punto di vista. Io ho sempre avuto una retribuzione consona rispetto a quello che è il mio ruolo di attrice emergente e non ho percepito una sorta di ribasso rispetto ai miei corrispettivi colleghi maschi. Credo bisogni rivolgere l’attenzione a cercare i fatti non la forma perché discutere ma poi non fare le cose, non ci porta a niente. Vedo persone arrovellarsi il cervello su questioni che io reputo insignificanti e non le vedo concentrarsi su cosa effettivamente possiamo fare. Il fatto che la donna oggi venga sfruttata per la sua immagine secondo me non è cambiato anzi, secondo me è molto peggio di prima. Il fatto che esistono piattaforme come OnlyFans e che le donne dicono diano loro libertà io la vedo totalmente opposta. Tu stai dando ad un pubblico quello che ti viene richiesto, stai facendo leva su qualcosa che tu sai che la gente vuole da te. Fino a che punto è una tua volontà?
È molto difficile anche a volte rendersi conto di star facendo qualcosa in quella direzione però il cambiamento concreto è ancora lontano. Tante libertà che vengono esaltate secondo me non sono vere e proprie libertà.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.