Tacchi e lustrini a riposo: la moda ai tempi del Covid
Tempi di pandemia, tempi strani, nuove abitudini, nuovi stili di vita.
Non esiste aspetto della vita che non abbia subito modifiche, che non si sia dovuto adattare a situazioni imprevedibili e sconvolgenti. Nessuno era preparato, nessuno poteva immaginare, ma da un giorno all’altro siamo stati costretti a fare i conti con qualcosa di nuovo e inquietante. Certe situazioni le avevamo viste nei film di fantascienza. Poi siamo diventati “fantascienza”. Siamo cambiati dentro, ci siamo trovati faccia a faccia con noi stessi, con quella parte di noi che non avevamo mai tempo di guardare. Abbiamo cominciato a vivere a rallenty. Personaggi di una vita vista alla moviola. Un po’ come capita nei primi giorni di vacanza ci siamo sentiti spaesati, in balia di un tempo fuori controllo, fuori dai binari. Ma poi ci siamo adattati, d’altronde è una delle abilità innate nell’essere umano… Per qualcuno è stato terribile, per altri addirittura piacevole. Una sorta di opportunità per forzare quelle che erano diventate le sbarre invisibili di una prigione costruita negli anni, con impegno e sacrificio, attorno a se stessi.
Abbiamo così ridimensionato aspettative, cambiato abitudini e interrotto attività che credevamo irrinunciabili. Abbiamo messo via le scarpe della palestra, i costumi e le ciabatte da piscina, gli scarponi da sci, le scarpette da danza e anche le nostre meravigliose scarpe col tacco.
Basta soffermarsi davanti alle vetrine delle boutique per capire quanto rapidamente la moda abbia spostato il tiro per seguire le nuove tendenze. Si è energicamente imposto l’home clothing. Ne sono piene, oltre alle vetrine, le pagine di pubblicità sui social e i siti web. Abbiamo acquistato, a mio avviso quasi tutte le donne, quei comodi e caldi completi di maglia o quelle tute molto femminili, proposte in tutte le salse, in tutti i colori. Ci siamo sentite accarezzate e coccolate da loro, comode ma in ordine e curate pur nel nostro stile casalingo. Nei nostri armadi sono andati in letargo tutti i capi resi inutili dal “lockdown”, gli abiti da sera, le paillettes, i lustrini, i raffinati completi stile “business clothing”. In questo ultimo caso in realtà abbiamo messo a riposo soltanto le gonne e i pantaloni. Ne abbiamo viste di persone elegantissime fino al punto vita che poi sotto indossavano i pantaloni del pigiama e le infradito, sedute davanti al pc sul tavolo di cucina, tra gli spinaci da pulire e i quaderni della DAD dei figli. Donne impegnate in un innovativo “Smart Working”.
È cambiato anche il nostro linguaggio. Quante parole nuove ha coniato o tirato fuori la pandemia, molte inglesi come cluster, contact tracing, covid-free, droplet e mille altre.
Molte anche le parole italiane come paziente zero, immunità di gregge, curva di contagio, asintomatico, assembramento, coprifuoco, quarantena, sanificazione, mascherine, varianti, isolamento e distanziamento sociale. La Treccani le ha addirittura raccolte in un libro dal titolo: Le parole della pandemia. Per non parlare poi delle sigle come DPCM, RT, FFP2 e chissà quante altre.
Andrà tutto bene!
Prima o poi passerà e tutto tornerà come prima, magari non proprio tutto. I grandi eventi pur se devastanti lasciano sempre anche qualche eredità positiva, sono certa che saremo tanto saggi da coglierla, intanto richiudo l’armadio mentre faccio l’occhietto a quei sandali gioiello che non vedo l’ora di indossare di nuovo.
Paola Nicoletti è nata, vive e lavora a Roma, ma è molto legata alle sue origini Cilentane e soprattutto al mare, il suo mare.
Legge molto, scrive: poesie, racconti, libri. Si occupa di teatro, scrive sceneggiature, cura scenografie e costumi.
Organizza eventi culturali. Cura da dodici edizioni il “Tea Poetry” una sorta di varietà artistico che si tiene in teatro.
Si occupa di sociale, è responsabile del settore cultura dell’associazione Donne al centro.
È vice presidente dell’Aicab APS, associazione che coniuga la cultura con il sociale.
È mamma di tre figli ormai grandi. Il più piccolo è autistico. Ne parla in un libro: Raccontami il mare che hai dentro (vivere con un figlio autistico). Porta le sue parole e la sua faccia nelle scuole, nelle università, testimonia l’autismo visto da dentro.
Ama la gente, la studia, ne scrive. Crede nella collaborazione, nel sostegno reciproco, nella forza delle donne che si tendono una mano, nella famiglia e nell’amore come energia positiva da seminare e raccogliere.