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Pink Society

lo sguardo rosa sulla società

Racconti Pink – Sempre Sarah: l’architetto in doppio petto

Lei aprì la porta e sbarrò gli occhi. 

“Cosa ci fai con il giubbotto bagnato? È benzina!?”

“Mi sono fatto la benzina addosso…”

 “In che senso, scusa?”

“Stavo facendo benzina e mi è scappata di mano la pompa: la benzina me la sono rovesciata tutta addosso, 50 euro…”

Se ne stava lì impalato, fermo sulla soglia di casa.

“Sono rimasto anche senza soldi, la macchina a secco…”

“Ora che facciamo?”

“Se mi presti i soldi faccio il pieno, poi te li ridò”

“Va bene, andiamo!”

Salì sull’auto di Giuseppe. Così si chiamava quel pirla da combattimento che aveva fatto sfracelli per rintracciarla tramite un’amica, dopo averla vista ad una cena.

Lei si era ricordata di quel pubblicitario, tutto elegante.

“Strano – aveva pensato – un pubblicitario in doppio petto blu, bottoni d’oro, su pantaloni fumo di Londra”. Il suo istinto le diceva di lasciarlo perdere, ma poi aveva prevalso quel senso di ineluttabile che si insinua tra le rughe dopo i 40 (“non posso mica uscire solo con quelli che mi piacciono, no?”)

Uno bruttino, ma elegante anche se un po’ troppo classico, che sembrava gentile e tanto interessato a lei… magari non era da buttare.

E invece, non era capace neanche di fare benzina al self service, oltretutto indossa degli improbabili pantaloni di cotone rosso fuoco, sotto il giubbotto impregnato di petrolio. Nell’abitacolo la puzza dava alla testa, ma ormai era in ballo.

Si fermarono al distributore, lei gli allungò 10 euro, lui li infilò nella fessura, la fessura se li mangiò, pestò qualche tasto, fece per erogare, ma non uscì nemmeno una goccia.

“Oddio, si è mangiato i soldi!”

“Non è possibile! Cos’hai fatto? Senti, ci penso io, molla tutto!” disse lei scendendo dalla macchina.

Tic tic tic, saltellando sul tacco 12, prese in pugno la situazione e, con poche astute mosse, fece benzina senza problemi.

“D’altronde, non ci vuole un genio” pensò risalendo in quello che ormai era un antro puzzolente.

“Beh, andiamo a prelevare al bancomat…”

Silenzio. Pesante. Inspiro/espiro.

“Ossignùr – pensò lei – voglio tornare a casa”

“Ehm – esitò lui – dici che devo passare da casa a cambiarmi?”

“Secondo te? –  rispose lei aggressiva – possiamo andare al ristorante con te che lasci ‘sta scia di Chanel n. 5?”

“Ok, ok… prima passiamo da me e metto dei vestiti puliti”.

Aveva prelevato, nel frattempo, saldato i debiti, ma lei ormai non lo sopportava più.

“Portami a casa, forse è meglio”

“No, ti prego, dammi un’opportunità! È che sta andando tutto storto”

L’essere stata educata secondo sani principi morali la fregò per l’ennesima volta e accennò di sì.

“Ecco, da questa parte”

La condusse lungo un corridoio ed entrarono in soggiorno.

“Solo un attimo…”

Lei si guardò intorno e notò, oltre alla libreria di design che fa tanto sinistra radical chic, una litografia in bianco e nero raffigurante un inquietante Pinocchio che penetrava, come un dardo, un mappamondo. Orribile. Volle sorvolare sui significati freudiani del quadro e si imbatté, invece, in una serie di fotografie di una ragazzina, poco più di una bambina. Lì Freud la preoccupò un po’ di più.

Avvolta in un grosso asciugamano bianco, evidentemente appena uscita dalla doccia, guardava dritto nell’obiettivo, inconsapevole lolita.

“Ah, quella è mia figlia Carlotta. Gliele ho scattate io l’anno scorso, era il mio week end…”

“Quanti anni ha?” chiese lei, allarmata.

“Ne ha appena fatti tredici, lì ne aveva dodici”

Pinocchio, Lolita, la benzina, il pantalone rosso.

Lo scenario aveva assunto contorni inquietanti, la voglia di casa aveva preso il sopravvento. Ma nel frigo non c’era niente di commestibile, un’altra pasta in bianco no, stasera no. Dopo tutto, che almeno le offrisse la cena sto qua, poi tutti a nanna, ognuno rigorosamente a casa propria.

Mise a frutto le sue arti mimetiche e nascose dietro una delle sue facce di circostanza lo sconcerto che provava e andarono in una trattoria, dove lo conoscevano tutti e facevano una fiorentina con l’osso di una bontà…

Lei si accomodò e dopo poco (lui parlava, parlava, che noia) il cameriere portò una bistecca con l’osso, già tagliata a tocchi, l’osso delicatamente poggiato sull’orlo del piatto di portata.

Con le patate al forno, riuscì almeno a placare la fame, cercando di non fare troppo caso alle parole dell’orrido architetto, inframezzate da masticazione faticosa e alquanto rumorosa.

Divorarono la fiorentina. Era rimasto solo l’osso. Lui lo afferrò, se lo accostò alle fauci, ci affondò la faccia, che sollevò dal fiero pasto, una mezzaluna unta e sanguinolenta intorno alla bocca.

Lei lo guardò inorridita: “Ma cosa stai facendo?”

“Sto spolpando l’osso!”

“Ma mica sei a casa tua? Che schifo!”

“Sei una rompicoglioni, lo sai, vero?”

“Senti, portami a casa, che è meglio”

Lui si ripulì il muso con gesto stizzito, pagò il conto, mentre lei afferrava il cappotto, terrorizzata dall’idea che lui mettesse le sue zampacce unte sul suo burberry nuovo.

In macchina il silenzio era piombo, lei non vedeva l’ora di essere scaricata davanti al portone, lui si agitava sul sedile, tra l’irritato e l’imbarazzato.

Quando arrivarono sotto casa, lui le chiese: “dammi una seconda possibilità”.

Si udì il tonfo della portiera che si chiudeva. A seguire il portone, sbang!

Mentre si struccava, le venne una risata isterica. Passò il tonico per togliere i residui di crema detergente e pensò che almeno questo non avrebbe lasciato rughe sul suo viso e nemmeno sul cuore.

Felpona, libro, gatto. Buona notte.

*****

“Certo che così non troverà mai nessuno” pensò Laura.

Annamaria glielo disse a brutto muso: “Dopo i quaranta mica puoi fare tanto la difficile, per forza ti lasciano tutti! Per la miseria, svegliati!”

“Sei mica più ‘sta gran figa, che ti credi?” Annalisa era sempre una miniera di pensieri dolcissimi, non era cattiva, per carità, diceva solo pane al pane.

Sarah ci rimase malissimo e vi fu silenzio per un attimo, poi Annalisa intimò “avanti la prossima!”

Laura consegnò a Claudia i suoi fogli stampati formato A4.

“Mi ha aiutato mio figlio” e con aria di fiera maternità si accomodò sulla sedia, tirando su la gonna, le gambe fasciate da un paio di collant di cachemire nero, sexy e caldissimo.

Subito dopo si pentì, non dello sguardo, ma di mettere le sue amiche (amiche poi, che parolone) a conoscenza del suo segreto di quando era giovane. Quasi giovane.