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Pink Society

lo sguardo rosa sulla società

Racconti Pink – Annamaria: risotto alla marinara

Anticamera del Presidente del Tribunale, primi anni Novanta. Non più i ruggenti anni ’80, non più la Milano da bere, ma gli avvocati non si erano arresi e si aggiravano molto seri, indaffarati, bene educati, con quell’aria un po’ così, di chi sa a quali vette può portare l’attività forense, con l’applicazione, l’ingegno e un po’ di fattore C.

Lei trentacinque anni, vestito serio leggermente attillato, lui abito a giacca grigio, bellocci entrambi, lui biondino un po’ stempiato, con i contorni del viso leggermente appassiti, quel genere di uomo che si capisce che è stato bello e “piacione”, ma inizia ad arrancare un po’, con la mezza età stampata in anticipo sulla pelle che inizia a cedere.

Lei, invece, nel pieno della propria bellezza, ma con quel che di leggermente isterico di chi sa che il treno per Yuma, che era l’ultimo, è già passato, anche se fa finta di avere il biglietto in tasca. Un biglietto del tram, al più.

Tutti e due sorvolano sulla realtà, anche perché siamo milanesi e siamo molto “ciapà”, abbiamo mica il tempo da perdere in menate.

Seduti in attesa di essere ricevuti dal signor magistrato, si guardano di sottecchi, valutandosi.

Dopo un po’ lui, con aria simpatica, le butta lì un’osservazione spiritosa. Lei risponde sorridendo e mostrando di apprezzare quelle due chiacchiere, che vanno a interrompere il filo di complicati pensieri.

Una parola tira l’altra e, nonostante siano ingessati nei ruoli di professionisti impeccabili, la spinta riproduttiva, che in verità in lei era già in calo, li aveva portati alle presentazioni e rapidamente allo scambio, molto formale, dei biglietti da visita.

Quando fu il momento di entrare dal Presidente, i due, confusi sulle precedenze, balzarono entrambi in piedi, ma nel fare ciò si ritrovarono pericolosamente vicini, a distanza poco più che anticoncezionale. Un fremito percorse lui, che sbandò visibilmente arrossendo, lei sentì come un’onda ormonale che la risvegliò. Lui si ricompose per cederle il passo e la guardò arrossendo.

Lei, riassettata il vestito, varcò la soglia a falcate professionali, aggiustandosi un ciuffo traditore.

Quando uscì e si avviò verso le scale, lui la salutò con un timido sorriso, ma la pelle tradiva una eccitazione non propriamente intellettuale.

Lei, rafforzata nel suo fragile ego, si affrettò verso lo studio per riprendere il lavoro e dimenticò l’incidente e il biondino. Marco? Forse.

Dopo qualche giorno, la segretaria annunciò con l’interfono la telefonata di un tale avvocato Bazzacchi, ma chi è?

“Valentina, uomo o donna?”

“Un uomo, avvocato”

“Boh, non mi dice niente, me lo passi, và…”

“Ciao”

“Collega…”

“Non ti ricordi?”

“Dovrei?”

“L’altro giorno in Tribunale…”

“Ah sì, come stai?”

“Bene e tu?”

“Sì, sì anche io, grazie”

“Senti, volevo invitarti a cena una di queste sere”

“Mah, non saprei… magari ci risentiamo nei prossimi giorni e ti dico”

“Va bene, allora ti chiamo presto!”

“Va beh, ciao”.

Telefonata a dir poco entusiasmante. Però si era ricordata di quell’attimo di fremito ormonale andato in onda nei corridoi del Tribunale e decise di telefonare a una sua amica tanto per avere qualche informazione in più. Non aveva più voglia di uscire con degli spostati.

“Ciao Mariagrazia, carissima! Tutto bene, sì, anche tu, bene? Senti cara, ti chiamavo per chiederti se conosci Marco Bazzacchi…. Ah, sì? Beh, sai mi ha invitato a cena, volevo sapere se è un pazzo o no… ma no, dai, smetti di ridere, lo sai che ultimamente…. Ok, è uno posato, serio. In effetti mi sembra addirittura un po’ serioso, però magari…ti ringrazio, poi ti faccio sapere come va!”.

Check fatto.

Qualche giorno dopo, telefonata, macchina lussuosa ma non troppo, localino carino, bella scelta.

Gentile e premuroso, piacevolmente disinvolto, Marco prese a chiacchierare, passandosi ogni tanto una mano tra i radi capelli biondi.

Il ristorante poco per volta si riempì di bella gioventù con belle speranze. Il rumore – e questo non sempre è uno svantaggio – non consentiva di ascoltare bene le parole, tanto che ad un certo punto le venne il dubbio che stesse dicendo un sacco di banalità.

Ma andò avanti imperterrita con un sorriso un po’ falso stampato sotto il trucco.

Arrivò il risotto alla marinara, che lui aveva ordinato anche per lei, ebbe la certezza che stava effettivamente dicendo cose senza senso.

Il risotto, bello fumante, traboccava di cozze, vongole e mazzancolle.

Probabilmente inebriato dal cibo e dal vino, che andava mescendo con particolare entusiasmo, il biondino si fece parte attiva nel fare le porzioni: prima lei, poi lui.

Alla seconda scucchiaiata di risotto, adagiato con gesto leggero e raffinato sul piatto di lei, Marco tirò su una cozza, bella polposa, con le valve aperte e gliela mostrò con aria interrogativa e vagamente ammiccante:

“Secondo te, la posso mangiare?”

“Ma sì, mi sembra tutto molto fresco, non ti devi preoccupare”

“Cos’hai capito? Secondo te… la posso mangiare?” a quel punto l’ammiccamento era più evidente, ma lei proprio non ci arrivava.

Lo guardò interrogativa.

“Sai” disse l’avvocato milanese in carriera “la conchiglia è un simbolo sessuale… è la femmina…”

“Eh??” rischiò di sbrodolarsi il vino addosso al capo firmato appena comperato e solo quell’idea la portò ad un singulto soffocato.

Sentì la suora dentro di lei, la donna raffinata e colta, la ragazzina che portava i gonnelloni a fiori e gli zoccoli da femminista negli anni ’70, che si ribellavano tutte insieme. Si erse simbolicamente a difesa di tutte le donne offese, a tutte le donne oggetto d’Italia, e … quando tentò di parlare rimase senza voce. Abbassò la testa.

Il risotto non le andava più.

Pure questo, mi sono giocata. Un altro pirla.

Quando ritenne che si fosse fatta un’ora decente, cioè appena finito il secondo piatto, che sbocconcellò di malavoglia, gli chiese di riportarla a casa. Lui tentò una debole protesta: “è presto, ma perché?”

“Ti prego, domani ho udienza fuori Milano. Sii gentile”.

Quando furono fuori dal ristorante, aveva anche incominciato a piovere a dirotto. Si era alzato il vento e le foglie ammucchiate nel canale di scolo della strada la colpirono in volto. Qualche schizzo di fanghiglia rimase appiccicata al fondotinta Shiseido beige opaco per pelli mature. Tentò di pulirsi alla bell’e meglio e salì in macchina.

Non lo ascoltava più, ma le sembrò che lui dicesse: “Non sai che ti perdi!”

Non ci volle credere e infilò la chiave nel portone.

*****

“A questa storia – pensò Annalisa – manca un po’ di sesso, no? Cambia anche la vendibilità…” stava già facendo editing e structuring (“ma si dice così?”) nella sua testa. Ma preferiva non coinvolgerle, ci avrebbe pensato lei, poi, a modificare i testi. “Dai Maria Concetta, facci sentire cosa hai scritto tu, amore!” disse, rivolta all’amica immigrata dal Sud.