Cattivi odori: che fare?
Può capitare a tutti di avvertire odori molesti dal chiuso delle nostre case o aprendo le finestre. Può trattarsi di odori che svaniscono rapidamente oppure di odori persistenti, decisamente più fastidiosi. Ma l’odore che sentiamo è oggettivamente molesto oppure lo è nella nostra percezione?
Talvolta un odore è soggettivamente molesto, pur essendo la fonte da cui proviene “in regola”. In regola con cosa, lo vedremo tra poco.
Vi sono tecniche di analisi (tra cui i c.d. “nasi elettronici”), che sono in grado di rilevare l’intensità, la natura e le altre caratteristiche degli odori.
Tali misurazioni vengono fatte sia nel punto che viene chiamato di immissione, cioè dove le persone lo avvertono o subiscono, sia nel punto di emissione (fabbrica, impresa artigiana, ristorante o altro), cioè dove l’emissione in atmosfera, che viene tecnicamente definita “odorigena”, viene prodotta.
Vi sono discussioni a non finire su quale sia la tecnica migliore: è possibile simulare la diffusione dell’odore nell’atmosfera, come si propaga, da dove arriva, ma non sempre è così facile.
Si pensi a un’area densamente industrializzata: chi produce quell’odore, che ci disturba?
La legge tutela i cittadini contro le esalazioni maleodoranti sia con il codice civile sia con il codice penale, cioè con norme risalenti nel tempo – si pensi che il codice civile è del 1942 -, ma che già tenevano conto dell’esigenza di garantire ai cittadini di poter abitare le proprie case senza subìre molestie e anche del fatto che la percezione dell’odore può essere soggettiva.
È un difficile equilibrio tra diritti: vi è anche da tutelare il diritto delle imprese a svolgere la propria attività senza temere di entrare nel mirino di comitati (che non sempre hanno la “mira” giusta…), rischiando pesanti sanzioni o risarcimenti.
Per cittadini e aziende e perfino per gli addetti ai lavori risulta difficile districarsi tra le leggi che disciplinano la materia.
Partiamo da un primo dato: una normativa europea in materia non esiste.
Strano perché sembra che l’UE legiferi fin troppo, non vi sembra?
Di conseguenza, ogni paese si regola come preferisce: in Italia solo nel 2017 il Testo Unico dell’Ambiente ha introdotto un espresso riferimento alle emissioni odorigene, senza però fissare dei parametri da rispettare.
Le Regioni, che pure godono di grande autonomia in materia, non possono imporre tali parametri e si limitano (non tutte, in verità) a emettere “linee guida”, nelle quali vengono anche indicati limiti massimi da rispettare.
Ciò che non è entrato dalla porta, entra dalla finestra, senza però che il rispetto di tali parametri possa considerarsi obbligatorio, perché le linee guida sono norme “tecniche” di riferimento, che di per sé non hanno la forza di una legge.
Ma non finisce qui: i parametri indicati nelle linee guida diventano obbligatori nel momento in cui gli enti, che rilasciano le autorizzazioni amministrative in materia, li impongano con quelle che vengono definite “prescrizioni” alle imprese, che sono tenute per legge (Testo Unico dell’Ambiente) al loro rispetto, per evitare sanzioni pecuniarie, se non più gravi.
C’è di che farsi venire il mal di testa: di fatto, sia i cittadini sia le aziende si muovono in una situazione priva di chiarezza.
E l’Europa?
Nel 2017 alcuni esperti del settore di tutta Europa hanno presentato una petizione, chiedendo al Parlamento Europeo di inserire le emissioni odorose tra gli inquinanti già regolamentati dall’Unione Europea.
Nel 2019 l’Unione Europea ha fatto sentire la propria voce: il problema deve essere affrontato a livello locale.
Come uscire da questo ginepraio? Cosa fare in caso di contenzioso?
Uno degli strumenti più interessanti di risoluzione di tali contese è quello della mediazione ambientale. Poco conosciuto, ma che si è rivelato molto efficace nella sua applicazione pratica.
La mediazione ambientale consente di avviare un tavolo di confronto e di trovare soluzioni che siano di interesse di tutte le parti coinvolte, con la possibilità di arrivare ad accordi (il cui rispetto è obbligatorio per chi lo firma), in cui la “fantasia” e l’innovazione possono trovare spazio.
Per esempio, un comitato può chiedere interventi di mitigazione ambientale, migliorie tecniche, indennizzi, che non siano esclusivamente di natura economica.
Ma questo è un tema che merita un discorso a parte. Ci torneremo.
Giulia Perri, avvocato cassazionista, si occupa di diritto amministrativo e ambientale. Crede nella comunicazione efficace anche nel settore legale. No agli “azzeccagarbugli”!
Ama leggere e scrivere, scrive su Tuttieuropaventitrenta.eu, ha pubblicato con Rubbettino, Laruffa e Pancallo editore.
Ama l’arte, la danza, tutto ciò che è bello e porta bei pensieri.