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Libri: Francesco Totti. Solo un capitano di Alessandro Ruta

Francesco Totti. Solo un capitano di Alessandro Ruta

Quello che stanno vivendo Francesco Totti e Ilary Blasi purtroppo succede a molte coppie ed è sempre doloroso. Auguri a loro. Quello che è stato Francesco Totti su un campo di calcio è invece unico e irripetibile.

Tutto inizia come in una favola quando papà Enzo, lo Sceriffo, lo accompagna a Piazza Epiro, dove i ragazzini giocano a pallone. Francesco che all’epoca era ancora solo Checco, non ha neanche 10 anni e a Piazza Epiro i calciatori in erba, tutti più grandi di lui, lo guardano con diffidenza e superiorità. Lo gnomo, lo chiamano, perché Checco in effetti è piccolo e gracile. Ma lo Sceriffo insiste. Il giorno dopo alla conta per le squadre Checco è la prima scelta, nessuno vuole giocargli contro. Finisce il 28 maggio 2017, quasi 30 anni più tardi.

“Volevo morì prima”, recita uno striscione all’Olimpico, sintesi perfetta di cosa Francesco Totti ha rappresentato per Roma, perlomeno quella giallorossa, anche se i campioni veri prescindono dai colori e lo gnomo dei tempi di piazza Epiro è riuscito negli anni a conquistare la stima e il rispetto di tutti, anche fuori dal rettangolo di gioco. In mezzo c’è una carriera inaggettivabile, almeno per me, sempre con la stessa maglia, iniziata nella mia Brescia, il 28 marzo 1993. Francesco ha 16 anni. L’allenatore è Vujadin Boskov. Ragazzo, entra, gli dice l’indimenticato Vuja a pochi minuti dalla fine. Non uscirà mai più. Oddio, quello di Brescia è solo il primo assaggio. Davanti a lui c’è il Principe Giannini, allora l’idolo indiscusso dei tifosi, ma la favola di Checco è iniziata e tra poco sarà l’unica ad essere raccontata. E sempre con gli stessi colori, nonostante i corteggiamenti, i momenti di crisi, la consapevolezza che andare per esempio al Real avrebbe significato vincere tutto, compreso il Pallone d’oro, e magari non solo uno.  Vuoi mettere però lo scudetto a Roma? E poi c’è la Nazionale dove non son sempre rose e fiori, anzi. Ma come diceva Muhammad Alì “Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra”.

E Francesco, che nel frattempo è diventato Totti, si è sempre rialzato, da un infortunio come da un passaggio a vuoto, dalla Corea alla Germania, il punto più basso e quello più alto dell’esperienza in azzurro. Io non amo particolarmente le biografie, ma questa firmata da Alessandro Ruta è coinvolgente, raccontata come un film: leggendola vedi scorrere le immagini, i gol, tanti, indimenticabili, le partite, le rivalità, con la Lazio, certo, ma anche con la Juventus; gli allenatori, da Mazzone a Spalletti, per citare forse quello più amato (anche a Brescia, se posso permettermi) e quello un po’ meno; i compagni, gli amici, la famiglia, quella d’origine, papà Enzo, mamma Fiorella e Riccardo, il fratello maggiore e con Ilary e i tre figli, Cristian, Isabel e Chanel.

Gli aneddoti, tanti e divertenti, e forse la cosa che è sempre passata sottotraccia, le indubbie doti comunicative di un uomo che ha saputo regalare al calcio e a una città la cosa più importante: la magia. Come quel cucchiaio all’Olanda. Come nelle favole.

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