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Intervista a Charline Bourgeois-Tacquet, regista de Gli amori di Anaïs in uscita nelle sale italiane il 28 Aprile

CHARLINE BOURGEOIS-TACQUET

Del suo film tutto al femminile ve ne avevamo già parlato in occasione della presentazione a Villa Medici. Ora, in attesa dell’uscita nelle sale italiane a fine Aprile, vi proponiamo l’intervista con la bravissima regista francese Charline Bourgeois-Tacquet.

Dopo aver studiato letteratura e aver iniziato la sua attività professionale presso la casa editrice Grasset, Charline ha diretto due cortometraggi, tra cui Pauline asservie, presentato al Festival di Cannes nel 2018. Il suo primo lungometraggio, Les Amours d’Anaïs, è stato selezionato alla Semaine de la critique 2021

Prima di tutto, chi è Charline Bourgeois-Tacquet?

Questa è una domanda difficile. Sono nata trentacinque anni fa in una piccola cittadina di mare. Ma in riferimento a ciò per cui siamo qui a discutere, il momento cruciale della mia vita è stato quando avevo quattordici anni e ho scoperto Isabelle Huppert sul palco di “Medea”. È stato come prendere fuoco: tutto il mio mondo è cambiato. Mi sono detta che era quello che volevo fare anche io, diventare un’attrice, e ho iniziato a guardare ogni film che lei avesse mai realizzato. È così che mi sono innamorata del cinema, diventandone un’appassionata. Quando sono venuta a Parigi per la prima volta, volevo fare tutto: ero una studentessa di un programma biennale molto intenso in discipline umanistiche che mi preparava a sostenere i concorsi di ammissione alle migliori scuole di istruzione superiore, e contemporaneamente seguivo anche lezioni di teatro. Poiché amavo studiare letteratura, ho continuato i miei studi alla Sorbona dove ho scritto la mia tesi sulla riscrittura di Duras dell’opera di Racine. Poi, quasi per caso, ho accettato un lavoro nell’editoria presso Grasset Editions. Ma intorno ai venticinque – ventisei anni, mi sono resa conto che era davvero importante per me lavorare nel cinema, quindi, ho lasciato perdere tutto da un giorno all’altro. Ho iniziato a scrivere da sola sceneggiature per cortometraggi, fino a quando qualcuno mi ha presentato il produttore Philippe Carcassonne, a cui piaceva quello che stavo facendo e mi ha consigliato di iniziare a dirigere i miei cortometraggi. Ho iniziato con piccoli film autoprodotti che ho diretto e interpretato. Quest’esperienza mi ha insegnato molto.

Hai diretto e recitato in Joujou, un fantasy autoprodotto, poi Pauline Enslaved, un cortometraggio che è stato selezionato dalla Semaine de la Critique del Festival di Cannes, dove ha riscosso un grande successo. Les Amours d’Anaïs è il seguito di Pauline?

Diciamo che Anaïs potrebbe essere la cugina di Pauline. Il legame tra i due personaggi deriva anche dal fatto che sono interpretati dalla stessa attrice, Anaïs Demoustier. In verità, Anaïs (quella vera) e io ci siamo divertite così tanto con Pauline, che volevamo continuare a lavorare insieme e ho scritto la sceneggiatura di Les Amours d’Anaïs pensando a lei. Ma il personaggio di Anaïs (quello fittizio) non è comico come Pauline. Parla infatti molto, e molto velocemente, senza tenere conto della persona con cui sta parlando, né delle domande che le vengono poste: ho lavorato sui tratti eccessivi della sua personalità, mi sono spinta oltre i limiti, che è tipico delle commedie. Eppure, Anaïs ha una profondità che a Pauline mancava.

Les Amours d’Anaïs © Charline Bourgeois-Tacquet
Les Amours d’Anaïs © Charline Bourgeois-Tacquet

Come definiresti la personalità della tua Anaïs?

È una giovane donna che segue i suoi impulsi improvvisi, non importa quanto siano avventati. Vive il presente senza porsi domande, senza proiettarsi nel futuro. Potresti pensare che questo lato della sua personalità la renda una persona egoista, ma per me è semplicemente una ragazza che è profondamente consapevole della fragilità della vita, e che ha deciso di cogliere ogni possibile occasione per essere felice. Amo la sua vitalità e la sua audacia. La chiave del personaggio è la sua capacità di seguire i suoi desideri. È anche una giovane donna irrequieta, una persona in costante movimento. Il suo ragazzo Raoul la chiama “bulldozer” ed è vero che questo lato “bolide” della sua personalità può essere un po’ troppo travolgente per le persone intorno a lei. Ma che si tratti del suo aborto o della malattia di sua madre, non si sente più dispiaciuta per se stessa che per gli altri. Corre sempre, senza mai fermarsi, perché è la sua modalità di sopravvivenza, il suo modo di affrontare le avversità. Se si fermasse a dare un’occhiata a ciò che le accade intorno, probabilmente cadrebbe a pezzi.

Anaïs ha trent’anni: sono gli anni migliori?

Non direi! Può essere straziante avere trent’anni. Ti ritrovi improvvisamente a un bivio nella tua vita con molte diverse direzioni possibili e non puoi concederti errori. È un momento della vita in cui fai scelte decisive che determinano il capitolo successivo: carriera, vita amorosa, matrimonio? Con o senza figli? Se sei una donna, hai dieci anni per costruire la tua vita perché dopo è troppo tardi. Credo molto poco all’immagine eroica della donna “moderna” che ha una carriera appagante, un partner ideale e figli meravigliosi. Francamente, mi sembra altamente improbabile e piuttosto irraggiungibile.

Diametralmente opposto a questa figura mitica, ho voluto raffigurare il ritratto di una giovane donna complessa, impigliata in una trama densa di difficoltà, sia materiali ma soprattutto esistenziali, che corrispondono alla sua età e all’epoca in cui vive. È il ritratto di una giovane donna che sta scoprendo chi è.

Perché hai scelto questo nome per lei?

Per due ragioni. In primo luogo, volevo un nome che non fosse un indicatore sociale. Avevo una lista di tre nomi, inclusa Anaïs, e quando ho saputo che Anaïs Demoustier avrebbe interpretato la protagonista, non ho esitato un secondo. E questo mi porta alla seconda ragione: mi piace molto confondere la finzione con la realtà. Questo personaggio si chiama Anaïs, ma avrebbe potuto chiamarsi Charline, come me. È lei senza essere lei, sono io senza essere me, ma è senza dubbio (insieme ad altre) un mix di lei e di me!

Il movimento è al centro del tuo stile di regia?

Assolutamente. Per la maggior parte, la direzione che do alle mie attrici e ai miei attori ha a che fare con il movimento e il ritmo. Realizzo moltissime sequenze che si basano su una coreografia molto precisa. È abbastanza schematico per gli attori, ma l’obiettivo ovvio è che non si avverta sullo schermo e che tutto sembri scorrere naturalmente. Sia per Pauline Enslaved che per questo film, io e il mio Direttore della Fotografia Noé Bach avevamo in mente un riferimento importante: il lavoro di Eric Gautier su Arnaud Desplechin, Olivier Assayas e i primi film di Patrice Chéreau. Significa energia, velocità e movimento. Grazie ai piani sequenza, la vita e l’energia non vengono ricreate solo in fase di montaggio: provengono dal dialogo, dalla recitazione, dal movimento, quindi dall’interno delle scene.

Una parola sul dialogo: si dice spesso che nel cinema tutto dovrebbe essere espresso solo attraverso le immagini, ma io non sono d’accordo. Penso che il dialogo possa “guidare” un film, dando all’opera una propria identità e guidandone la regia. La logorrea di Anaïs conferisce immediatamente al film la sua qualità vorticosa. La regia si basa su questa energia del linguaggio e sui movimenti dell’attrice, che per me sono fisicamente legati alle sue parole. L’energia delle parole è anche l’energia dei corpi.

Les Amours d’Anaïs © Charline Bourgeois-Tacquet
Les Amours d’Anaïs © Charline Bourgeois-Tacquet

Il ritmo del montaggio è impetuoso…

Odio annoiarmi al cinema e quindi temo sempre l’eventualità di annoiare il mio pubblico. Chantal Hymans, la mia editor e io abbiamo scartato molte scene che rallentavano l’azione. Dopo la prima proiezione abbiamo tagliato venti minuti di film! Volevo accelerare il ritmo. Il mio standard è Jean-Paul Rappeneau, e in particolare il suo film Il mio uomo è un selvaggio, la cui effervescenza mi delizia. Ho seguito più o meno consapevolmente le sue orme.

Il legame con Rappeneau è molto evidente. E se nominassi Rohmer?

Quando ho intitolato il mio cortometraggio Pauline Enslaved, era un velato riferimento a Rohmer, ovviamente. La mia notte con Maud è uno dei miei film preferiti al mondo. Mi riconosco nel rapporto di Rohmer con il linguaggio e la letteratura. E anche nell’importanza che dà all’amore, al desiderio e quanto è attento quando osserva sentimenti romantici e i giochi d’amore. Pierre de Marivaux è il nostro padrino! Ma non credo che Les amours d’Anaïs sia un film rohmeriano. In verità, i film a cui ho pensato di più e che ho rivisto mentre scrivevo la sceneggiatura sono È simpatico, ma gli romperei il muso di Claude Sautet, Loulou di Pialat, Comment je me suis disputé… di Desplechin, Un castello in Italia di Valeria Bruni Tedeschi e Manhattan di Woody Allen.

Hai appena citato i corpi: possiamo parlare del desiderio e della sensualità che permeano il film?

Il desiderio è il tema dominante del film. Sto parlando del desiderio nel senso più ampio del termine, ovviamente. La cosa che generalmente ci spinge e ci fa muovere verso gli altri e verso il mondo. Quando Anaïs inizia ad interessarsi a Emilie (interpretata da Valeria Bruni Tedeschi), lei stessa non sa cosa la spinga verso questa donna: curiosità, attrazione o desiderio di essere più vicina a questa persona. Anche un’intuizione. L’intuizione che hanno qualcosa da vivere insieme. Volevo esplorare questo tipo di magia che il desiderio risveglia dentro di noi, questa forza che misteriosamente ci spinge avanti nonostante gli ostacoli. Il fatto è che dopo un po’ le cose prendono forma e tra Anaïs ed Emilie nasce un desiderio erotico, carnale e profondo, commovente e del tutto inaspettato. Quindi sì, parliamo di sensualità ovviamente. In confronto a Pauline Enslaved, è qualcosa di nuovo che volevo esplorare. Qualcosa che è estremamente cinematografico: l’attrazione lenta e irresistibile dei corpi.

Corpi che non si trovano in uno scenario qualsiasi… La natura gioca un ruolo centrale nel tuo film.

È stato molto importante per me girare questo film per lo più nella natura (campagne verdi, mare) e alla luce naturale dell’estate che favorisce la sensualità e l’erotismo. Man mano che si approfondisce la storia, la scena si fa sempre più selvaggia, i paesaggi naturali dominano sempre più lo scenario, rendendo tutto più arioso: lasciamo Parigi, arriviamo in un castello della Bretagna in mezzo alla campagna e alla fine ci troviamo al largo, nel mare aperto. Senza scadere in simbolismi troppo semplicistici, c’è una sorta di percorso verso la libertà. C’è anche una sorta di senso di pace che proviene dalla campagna. Mi piace ricordare a me stessa che gli alberi, l’oceano e gli elementi naturali sopravviveranno a tutti noi. È allo stesso tempo un pensiero palpitante e rassicurante. In questo film, la pace trasudata dalla natura fa da contrappunto ai tormenti e all’irrequietezza di Anaïs.

Come hai scelto i tuoi attori e le tue attrici?

Come ho detto prima, Anaïs poteva essere solo Anaïs Demoustier, e questa è stata un’intesa tra noi fin dal cortometraggio. Poi ho dovuto trovare un’attrice sulla cinquantina per interpretare Emilie, che fosse allo stesso tempo bella, sensuale e credibile come intellettuale e scrittrice. Non ci ho messo molto a pensare a Valeria Bruni Tedeschi. Le ho inviato la sceneggiatura tramite il suo agente, lei l’ha letta e poi mi ha lasciato un messaggio in cui non avevo capito se le piacesse o meno il progetto. Quando l’ho richiamata, mi ha parlato delle sue prime impressioni. Ha detto molte cose meravigliose sul personaggio, sulla sceneggiatura, sulla storia e sui dialoghi, ma non mi ha detto se avrebbe accettato il ruolo! Alla fine, gliel’ho chiesto, e lei ha detto: “Certo che sì!” e sono quasi svenuta dalla gioia. Il suo accostamento con Anaïs ha rivelato che avevano due nature miracolosamente complementari: Anaïs, virtuosistica, molto precisa e con un innato senso del ritmo e dello spazio, e Valeria che si dà completamente a un ruolo, che può trafiggerti con un solo sguardo, esprimendo magnificamente un mix di potenza e fragilità, fino a portarti all’apice della sensualità.

Non abbiamo mai visto Valeria Bruni Tedeschi così.

Questo è il più grande complimento che potessi farmi. Ho dovuto davvero lottare per ottenere questo risultato, è stata una vera sfida. Valeria tende a sentirsi frustrata se non può interpretare un personaggio che fa ridere la gente. All’inizio delle riprese, temevo che non le sarebbe piaciuto affatto interpretare questo ruolo. E poi una volta che abbiamo iniziato a uscire dai nostri gusci, a conoscerci e capirci meglio, ha accettato di seguirmi nel posto in cui volevo portarla – verso questa donna potente, decisa, bella e toccante.

Prima hai parlato del tuo primo incontro con Denis Podalydès, il terzo membro di questo triangolo.

Ebbene, è stato un altro miracolo! Denis Podalydès, l’uomo più impegnato in Francia subito dopo Emmanuel Macron, un attore straordinariamente talentuoso e affascinante. Ho a malapena osato chiedergli di interpretare questo ruolo secondario. Mi sono fatta coraggio e ho consegnato la sceneggiatura al suo agente con una breve lettera in cui dichiaravo tutta la mia ammirazione per il suo lavoro. Mi ha risposto il giorno dopo, dicendo di sì senza riserve. Non potevo crederci. Sono rimasta sbalordita. Solo lui poteva dare a Daniel questo mix di forza e fragilità senza mai farlo apparire ridicolo. Ha anche dato al personaggio tutta la sua sottigliezza, intelligenza e il suo favoloso senso della commedia. È stato estremamente generoso con me e con il film.

Cosa puoi dire del ruolo degli uomini in questo film i cui personaggi principali sono donne?

Anaïs ne ha molti intorno a sé! Daniel/Denis, questo editore che ha una relazione con Emilie/Valeria e che sta per avere una relazione con Anaïs, è allo stesso tempo l’archetipo di un borghese, un uomo sicuro di sé e di ciò a cui sente di avere diritto, e un uomo la cui ingenuità, fragilità e goffaggine sono molto toccanti. Accanto a queste due donne esuberanti, finisce per emozionarci perché è totalmente all’oscuro di ciò che sta realmente accadendo. È anche vero che questo personaggio serve a portare sollievo comico durante la sezione bretone del film. Lì, nel castello, è quello che Molière indicava come “Gli importuni”: arriva nel posto sbagliato al momento sbagliato, come un cane che corre su un’aiuola tappezzata di fiori.

Il primo fidanzato di Anaïs, Raoul, interpretato da Christophe Montenez, è invece l’incarnazione della ragione, qualcuno che fa le domande giuste: chi è questa persona adorabile ma pazza di cui sono innamorato? È lì per far sì che Anaïs affronti la verità, e penso che sia catartico per noi. È in un certo senso la voce del pubblico all’interno del film: ha una prospettiva esterna su chi è lei.

Per quanto riguarda Balthazar, il fratello minore di Anaïs interpretato da Xavier Guelfi, fa chiaramente da contrappunto comico: è pigro tanto quanto Anaïs è molto attiva. E si porta appresso il suo lemure domestico Gilbert, che ho anche pensato di usare come filone comico per tutto il film. Infine, c’è Yoann, il tuttofare meravigliosamente interpretato da Jean-Charles Clichet. È forse nel confronto tra Anaïs e Yoann che ci avviciniamo di più a Rappeneau e al suo film Il mio uomo è un selvaggio di cui parlavo prima.

Il tuo film mescola sfacciatamente leggerezza e serietà.

Sì, era il mio desiderio più profondo, fin dall’inizio. Volevo che nel film coesistessero diversi registri: umorismo comico, ironico ma anche sentimenti ed emozioni letterali (che si tratti del suo amore per Emilie o della dolorosa realtà della malattia della madre). Questi toni non si escludono a vicenda, anzi, la vita mescola continuamente tutto e amo i film che assomigliano alla vita, che ricreano la complessità della vita. E detesto il pathos, quindi mi assicuro di disinnescare le emozioni “pesanti” passando rapidamente a qualcos’altro.

Più di ogni altra cosa, Les amours d’Anaïs parla di una storia d’amore appassionata che legherà una giovane donna a una donna matura.

Sì, ma non volevo fare un film di “nicchia”. Il mio film non parla della scoperta da parte di una giovane donna della sua omosessualità. Anche se questo nuovo desiderio turba Anaïs, non mette mai in dubbio il suo orientamento sessuale. Ed è importante per me che questo non sembri essere un problema, in un momento storico in cui le persone si stanno finalmente concedendo di amare in modo diverso. È puramente una questione di un desiderio che infrange tutti i confini dati dalla società, in termine di genere e differenze di età. La storia di Anaïs ed Emilie è la storia di un incontro estremamente forte tra due soggettività. Una storia di amore e desiderio che abbraccia anche la mente e l’intelligenza.

L’ultima frase del film è molto bella: “Non sono d’accordo”. Lei non è d’accordo con cosa?

Con tutto! Vivere è un problema, il mondo è un problema… Ma se vuoi che ti dia una risposta precisa, direi che non sono d’accordo a cedere alla paura e alla rassegnazione. Sono completamente d’accordo con Anaïs (e Annie Ernaux): rinunciare a una passione è criminale, è un insulto alla vita.