Smart Working e Sostenibilità: il 76% degli Italiani crede nei benefici del lavoro a distanza
Il lavoro del futuro dovrà essere un mix tra lavoro a distanza e lavoro in presenza: oltre il 70% degli intervistati pensa che lo smart working sia un vantaggio non solo per il work life balance, la produttività e le donne, ma anche per l’ambiente
In occasione della Giornata nazionale dello smart working, l’Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale – la prima Fondazione di ricerca riconosciuta in Italia dedicata ad approfondire i temi della sostenibilità digitale, presenta oggi i risultati della ricerca “Smart Working: la sfida del digitale”.
“Flessibilità, autonomia, responsabilizzazione, orientamento ai risultati è la filosofia che sottende allo smart working. Una vera rivoluzione culturale che scardina consuetudini ed approcci tradizionali fornendo ai lavoratori flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.” – ha affermato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. “In questo nuovo contesto, la tecnologia gioca un ruolo estremamente importante. Smart Working e Digital Transformation si abilitano infatti vicendevolmente poiché se da una parte lo Smart Working ha bisogno delle tecnologie per concretizzarsi, dall’altra è esso stesso un’importante leva verso la rivoluzione di senso che porta con se’ la tecnologia digitale. E tuttavia, la tecnologia e lo smart workig non devono diventare strumenti di potenziale ghettizzazione, ma risorse per il lavoratore e per l’azienda” – ha continuato Epifani.
I dati della ricerca
Come lo smart working impatta su società, ambiente e persone:
La rilevazione mette in evidenza come in generale siano i cittadini che abitano nei grandi centri ad essere più convinti dei benefici dello Smart Working. Si tratta di cittadini che fanno maggior uso dei servizi digitali e che sono anche più attenti ai temi della sostenibilità. Il report evidenzia inoltre come il lavoro del futuro, per gli intervistati, dovrà essere un mix tra lavoro a distanza e lavoro in presenza. Lo dichiara il 79% degli abitanti residenti nelle grandi città e il 70% di quelli residenti nei piccoli centri sotto i 3000 abitanti.
- AMBIENTE: il lavoro a distanza, riducendo gli spostamenti, rappresenta un vantaggio per l’ambiente. È ciò che pensa il 76% degli intervistati residenti nei piccoli centri e l’81% di coloro che risiedono nei grandi centri. Sono maggiormente convinti di ciò coloro che si dichiarano più digitalizzati e attenti alla sostenibilità.
- WORK-LIFE BALANCE: il lavoro a distanza migliora l’equilibrio tra tempo di vita e tempo di lavoro (work-life balance). Vi è una maggiore percezione positiva del lavoro a distanza per migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro, specialmente tra i più digitalizzati e attenti alla sostenibilità. Nei piccoli centri il 74% degli intervistati si dichiara d’accordo con questa affermazione, poco meno rispetto a coloro che abitano nei grandi centri, che si dichiarano d’accordo per il 79%.
- PARITA’ DI GENERE: il lavoro a distanza favorisce la parità di genere è ciò che dichiara il 21% di coloro che abitano nei grandi centri, percentuale che scende al 13% nei i piccoli centri. Le ragioni di tale disparità potrebbero risiedere nel fatto che le maggiori opportunità di carriera e le dinamiche di potere più radicate nei grandi centri, rendono il lavoro a distanza uno strumento più efficace per ridurre gli svantaggi, troppo spesso riscontrati dalle donne in ambito lavorativo.
- BENEFICI PER LE DONNE: i dati raccolti evidenziano una tendenza più favorevole al lavoro a distanza per le donne che risiedono nei grandi centri urbani, mentre nei piccoli centri sembra emergere una percezione più negativa, probabilmente legata a una minore disponibilità di servizi e risorse a supporto della conciliazione tra lavoro e vita familiare. La percentuale più elevata si registra nei grandi centri, dove il 74% dei rispondenti si dichiara d’accordo su questo aspetto. Percentuale che scende al 69% nei piccoli centri. Per quanto riguarda la percezione del lavoro a distanza come svantaggioso per le donne, emerge un quadro diverso: nei piccoli centri, infatti, il 41% degli intervistati ritiene che questo sia “poco/per nulla” svantaggioso, mentre questa quota sale al 49% nei grandi centri.
- PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO: sia nei piccoli (75%) che nei grandi centri (74%) c’è una significativa accettazione del lavoro a distanza come strumento per migliorare la produttività del lavoro, specialmente tra i più digitalizzati. Questi risultati suggeriscono che l’accettazione del lavoro a distanza sia più pronunciata tra coloro con maggiore consapevolezza e competenza digitale, mentre coloro che non sono orientati né alla sostenibilità né al digitale, tendono ad essere più scettici.
- ISOLAMENTO SOCIALE E AZIENDALE: la percezione dell’isolamento varia a seconda della competenza digitale e dell’orientamento alla sostenibilità delle persone. Il lavoro a distanza diminuisce le possibilità di interazione con i colleghi, generando un senso di isolamento. La pensano così il 55% dei lavoratori che risiedono nei piccoli centri e il 47% di quelli che abitano nelle grandi città. Questo indica una maggiore percezione di isolamento e riduzione delle interazioni interpersonali nel contesto dei piccoli centri, probabilmente dovuta a una minore disponibilità di alternative e opportunità sociali offerte dal contesto locale.
Analisi degli strumenti digitali più utilizzati a supporto dello smart working:
La ricerca ha poi analizzato gli strumenti digitali che abilitano lo smart working e che richiedono lo sviluppo di nuove competenze digitali:
Piattaforme per videoconferenze (es. Zoom, Microsoft Teams, Google Meet): Analizzando i dati relativi al livello di conoscenza e/o adozione delle piattaforme per videoconferenze come Zoom, Microsoft Teams e Google Meet, risulta evidente che nei grandi centri vi sia una maggiore adozione regolare di queste piattaforme, con il 31% degli intervistati che utilizza regolarmente questi servizi, percentuale che scende al 10% nei piccoli centri. Emerge, dalla ricerca, la presenza di un vero e proprio un gap tecnologico tra aree urbane e piccoli centri poiché nei piccoli centri una percentuale significativa, il 32%, non conosce affatto queste piattaforme, mentre nei grandi agglomerati urbani la percentuale di cittadini che non conosce queste tecnologie è solamente del 14%.
Strumenti di collaborazione che facilitano l’organizzazione delle attività per i team di lavoro (es. Asana, Trello, Office365): nonostante le differenze tra i grandi e i piccoli centri esiste una disparità significativa nell’adozione degli strumenti di collaborazione anche all’interno di ciascun contesto, in base ai diversi comportamenti e orientamenti delle persone verso la sostenibilità e il digitale. Nei grandi centri, il 31% delle persone dichiara di non conoscere gli strumenti di collaborazione, mentre nei piccoli centri questa percentuale sale al 45%, indicando una maggiore mancanza di familiarità nei piccoli centri. Tuttavia, nei grandi centri, c’è una maggiore adozione regolare (19%) rispetto a quella dei piccoli centri (6%), suggerendo una differenza nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie di collaborazione tra questi due contesti.
Siti o app che consentono di organizzare l’accesso agli uffici e gli spazi aziendali (es. Place 4 You): Partendo dall’analisi per ampiezza dei centri, notiamo che la percentuale di persone che non conosce queste soluzioni è del 43% nei grandi centri e del 49% nei piccoli, indicando una mancanza di consapevolezza diffusa su queste piattaforme. Tuttavia, nel contesto urbano, c’è una maggiore adozione regolare (7%) rispetto a quella nelle zone rurali (3%), suggerendo una maggiore integrazione di queste soluzioni nelle dinamiche lavorative urbane.
Piattaforme per l’archiviazione e la condivisione di documenti (es. Google Drive, Dropbox): i dati mostrano come vi sia una maggiore familiarità e adozione delle tecnologie di archiviazione digitale nei grandi centri rispetto ai piccoli centri, suggerendo che le aree urbane hanno un accesso e un utilizzo più consolidato di tali strumenti. Nei grandi centri, infatti, solo il 15% degli intervistati non conosce queste piattaforme, mentre il 34% le utilizza regolarmente e il 21% le utilizza raramente. Nei piccoli centri, invece, la percentuale di coloro che non conoscono questi servizi sale al 36%, mentre solo l’11% li utilizza regolarmente e il 18% solo raramente.
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Metodologia: La rilevazione dei dati è stata effettuata dall’Istituto Piepoli, che a Marzo 2024 ha raccolto 4000 interviste con modalità CATI/CAWI su un campione rappresentativo di cittadini italiani residenti nelle città più grandi di ogni Regione (città metropolitane o grandi comuni) e nei comuni più piccoli, sotto i 3000 abitanti.
Per ulteriori informazioni o approfondimenti, visitare il sito: www.sostenibilitadigitale.it
Digital Sustainability IndexTM (DiSI):
Digital Sustainability IndexTM (DiSI) è un indice che misura il livello di consapevolezza dell’utente nell’uso delle tecnologie digitali quali strumenti di sostenibilità. Serve cioè per misurare le correlazioni tra tre elementi dell’individuo: il livello di digitalizzazione, inteso come rapporto tra la propria competenza percepita e quella desumibile da fattori oggettivi; il livello di sostenibilità, inteso come il rapporto tra consapevolezza sul tema nelle sue dimensioni ambientale, economica e sociale ed i conseguenti atteggiamenti e comportamenti; il livello di sostenibilità digitale, inteso come la propensione dell’individuo ad utilizzare consapevolmente le tecnologie digitali come strumenti a supporto della sostenibilità.
Nella costruzione dell’indice si sono considerati quattro profili di popolazione caratterizzati da specifiche attitudini verso il digitale e verso la sostenibilità, che danno luogo a quattro quadranti:
· Sostenibili digitali: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ed usano gli strumenti digitali;
· Sostenibili analogici: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ma non usano gli strumenti digitali;
· Insostenibili digitali: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, ma usano strumento digitali;
· Insostenibili analogici: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, né usano strumento digitali.
Digital Sustainability IndexTM (DiSI) è un marchio registrato della Fondazione per la Sostenibilità Digitale.
Informazioni su Fondazione per la Sostenibilità Digitale:
La Fondazione per la Sostenibilità Digitale è la prima Fondazione di Ricerca in Italia che analizza le correlazioni tra trasformazione digitale e sostenibilità con l’obiettivo di supportare istituzioni e imprese nella costruzione di un futuro migliore. La sua mission è quella di studiare le dinamiche indotte dalla trasformazione digitale, con particolare riferimento agli impatti sulla sostenibilità ambientale, culturale, sociale ed economica. In quest’ottica la Fondazione sviluppa attività di ricerca, fornisce letture ed interpretazioni della trasformazione digitale, offre indicazioni operative per gli attori coinvolti, intercetta i trend del cambiamento e ne analizza gli impatti rispetto allo sviluppo sostenibile. La Fondazione agisce attraverso una struttura costituita da esperti indipendenti, istituzioni, imprese e università.
Ai soci e partner della Fondazione si affianca la Rete delle Università che costituisce il sistema di competenze al quale fa riferimento la Fondazione per lo sviluppo dei suoi progetti e che rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni ed aziende nello sviluppo di progetti e di attività dedicati alla sostenibilità digitale. Tra le Università che fanno parte della Rete, l’Università Sapienza di Roma, l’Università di Pavia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università degli Studi di Cagliari, l’Università degli Studi di Palermo, l’Università degli Studi di Firenze, l’Università degli Studi di Trieste, l’Università di Perugia, L’Università per Stranieri di Perugia, l’Università di Siena, l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, l’Università degli Studi di Torino, l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, l’Università degli Studi di Sassari.
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