Una fetta di meraviglia
Caspita! Guardi certe nature morte e la sensazione che ne ricevi non è solo di bellezza: senti le tue dita appiccicose di miele e dolcezze. Perché certi quadri sono come fette di meraviglia. Sono piacere puro.
Se non ci credete, provate a guardare i quadri di Tomás de Yepes (1600 –1674), soprattutto quelli che immortalano nature morte e oggetti da dispensa (bodegón), e vediamo se non vi viene l’acquolina in bocca.
Provate a osservare le opere di Osias Beert (1580 -1624) senza assaggiarne (anche se solo con gli occhi) bellezza e gusto. Le sue opere, brillanti, dense e complesse, raccontano con un esatto realismo la ricchezza e la ricercatezza e ti arrivano alle papille. Sono bontà.
Quelle di Josefa de Óbidos (1630 ca. – 1884), poi, sono stupore e bellezza, una bellezza fatta di confetti colorati e profumati. Un invito ad assaggiare.
Ma il compito di queste affascinanti meraviglie, non era solo esibire suggestive nature morte; non volevano introdurci al mondo dei grandi chef e pasticceri con le loro prelibatezze delle tavole imbandite come scenografie grandiose, ma per parlare di ricchezza.
Non è facile da credere ma lo zucchero, in epoca Barocca, non era solo sinonimo di ricercatezza e prelibatezza, fondamentale per addolcire e candire. Nella cucina barocca si faceva abbondante uso dello zucchero non tanto per una questione di gusto: lo zucchero rappresentava una materia prima costosa e quindi sinonimo di raffinatezza. Valeva lo stesso discorso anche per le spezie, curative, e costose, provenienti da paesi esotici e lontani. Era così costoso che veniva visto come uno status symbol, indicativo di potere e ricchezza e accessibile solo ai nobili o a persone molto ricche.
Da metà Cinquecento in poi, le fonti contemporanee paragonavano lo zucchero alle perle e altri oggetti di pregio. Persino la regina Elisabetta I, che regnò in Inghilterra dal 1558 al 1603, era particolarmente ghiotta di zucchero. Era abituata persino a strofinare i denti con la pasta di zucchero, per lucidarli, proprio così come ora si fa con il dentifricio.
Si chiamava “Dentifricio Tudor” e fu responsabile dei denti neri della regina: si racconta che intorno al 1578, un nobile tedesco ospite della corte reale inglese rimase impressionato dalla dentatura nerastra della regina Elisabetta I, resa ancora più evidente dal pallore lunare del volto coperto dalla biacca. Già. La sovrana, golosa di zuccheri, viveva con il continuo tormento del dolore ai denti.
Ahimè, il mondo nuovo ed esotico non c’è più. Lo zucchero non è più sinonimo di splendore e trionfi, di prelibatezze preziose ed esclusive. Ma certe opere sono ancora come una fetta di meraviglia, un invito al piacere.
Vive e lavora a Genova, insieme ai suoi libri, dove svolge la propria attività di giornalista professionista e studiosa di storia della critica d’arte e Futurismo. Convive con la SM da 18 anni. Ama la scrittura e le parole, il figlio, la vita, la sua famiglia.
Al suo attivo molte pubblicazioni e monografie di storia dell’arte. Svolge la professione giornalistica con passione da oltre trent’anni, si muove tra la carta stampata, i nuovi media, la TV. Ama parlare delle persone, con la gente e sempre a vantaggio della cultura sociale che fa crescere e aprire occhi e cuore. “Le persone sono sempre scopo primo e ultimo della mia scelta professionale, come servizio agli altri. Senza riserve”.