fbpx

Pink Society

Magazine per la crescita personale femminile

Alla ricerca del “Third Place” perduto: il rimedio contro l’isolamento sociale?

Alla ricerca del Third Place perduto: il rimedio contro l'isolamento sociale?

Immagina una giornata normale. Lavoro, traffico, casa, repeat. Non sembra mancare nulla, eppure c’è una sensazione di vuoto, un bisogno non ancora soddisfatto. E qui entra in scena la teoria del “Third Place”, che ci dice che oltre alla casa e al lavoro, abbiamo bisogno di un terzo luogo – quello in cui ci rilassiamo, socializziamo e ci riconnettiamo con gli altri.

Ma dove sono questi terzi posti oggi? Esistono ancora o ce li siamo persi tra mille impegni e isolamento sociale?

Cos’è il “Third Place”?

Il concetto di “Third Place” è stato introdotto dal sociologo Ray Oldenburg nel suo libro “The Great Good Place”.
Secondo Oldenburg, la nostra vita sociale si basa su tre pilastri: il “primo posto” è la casa, il nostro rifugio personale e intimo. Il “secondo posto” è il luogo di lavoro, dove passiamo gran parte del nostro tempo attivo, ma dove regnano regole e ruoli ben definiti. E poi c’è il “terzo posto”, lo spazio dove andiamo per sfuggire al dovere e alla routine. Un luogo accogliente, rilassato e informale, dove possiamo incontrare altre persone, condividere idee e sentirci parte di una comunità.

Ma oggi, quante di noi possono dire di avere un terzo posto?
Se stai pensando: “Io non ne ho uno”, non sei la sola.

Cos'è il Third Place?

Il “Third Place” nella cultura pop

Nella cultura pop, i terzi posti sono rappresentati in modo quasi idilliaco. Pensiamo al Luke’s Diner in Gilmore Girls, un piccolo caffè dove Lorelai e Rory si rifugiano per sorseggiare caffè e dove hanno luogo le loro conversazioni quotidiane. O al mitico Central Perk di Friends, dove Monica, Ross, Rachel e il resto della banda passano ore senza fine a scambiarsi battute e vivere la loro amicizia. O andando ancora più in dietro nel tempo, il Monk’s Café in Seinfeld, dove Jerry, George, Elaine e Kramer discutono a non finire di cose senza senso ma ugualmente imporanti.

Questi luoghi esistono nella realtà?
Forse no, o almeno non come li vediamo in TV. Ma la verità è che la cultura pop ci ha venduto una visione romantica del “Third Place” che desideriamo ardentemente. In un mondo ideale, avremmo tutti un bar accogliente o una libreria di quartiere dove poter fuggire per staccare la spina e sentirci a casa, pur stando lontane da casa. Una zona “buffer”. Ma nella vita reale, questi luoghi stanno scomparendo, se non sono già scomparsi del tutto.

Dov’è finito il nostro “Third Place”?

Fino a qualche decennio fa il bar sotto casa, il circolo culturale, il parco cittadino o anche solo “il muretto” per i più giovani, erano i terzi posti per eccellenza. Si usciva di casa, ci si sedeva su una panchina o a un tavolino, e si chiacchierava con i vicini, scambiandosi opinioni su politica, sport o gli ultimi gossip. La vita sociale si nutriva di queste interazioni casuali, senza fretta. Ma oggi, tra digitalizzazione e urbanizzazione frenetica, questi spazi sembrano sempre più rari. I francesi hanno coniato l’espressione “Métro, boulot, dodo” (Casa-lavoro-nanna) proprio per descrivere la routine quotidiana senza via d’uscita, ovvero un ciclo continuo di spostamenti, lavoro e (poche) ore di sonno.

Le cause? Diverse: la vita sempre più frenetica, la comodità del divano e l’accesso a serie tv illimitate, l’uso massiccio di smartphone e social media, e – non dimentichiamolo – la pandemia, che ha radicalmente cambiato le abitudini di molte di noi, riducendo ancora di più le nostre interazioni fisiche.

Il digitale può essere un “Third Place”?

Ecco allora che, alla ricerca di nuovi “Third Place”, spesso ci rifugiamo nel digitale.
Le comunità online, i gruppi su Facebook, le videochiamate su Zoom o i videogiochi sono diventati i nuovi “spazi di socializzazione”. Ma una chat su Messenger può davvero sostituire una chiacchierata al bar? Forse, in parte, eppure manca qualcosa di fondamentale: la spontaneità.
Nei terzi posti reali, incontri persone che non avresti programmato di vedere, scambi due parole con il barista, incroci lo sguardo e scambi un sorriso con estranei o fai nuove amicizie solo perché eravate lì, nello stesso momento. Questo livello di interazione casuale è difficile – diciamo pure, impossibile – da replicare online.

Le conseguenze dell’isolamento sociale

Il risultato della scomparsa del “Third Place” è un crescente isolamento sociale. Soprattutto per i Millennial e la Gen Z, che spesso si trovano intrappolati in una routine casa-lavoro (o casa-scuola) senza quei momenti di “respiro” sociale che i terzi posti una volta offrivano. Diversi studi dimostrano che la mancanza di interazioni sociali spontanee può portare a sentimenti di solitudine e isolamento, anche in presenza di una solida rete digitale. La connessione online, infatti, non è sempre sufficiente a colmare quel vuoto che solo l’interazione faccia a faccia può riempire.

E non solo. I giovani di oggi, tra Gen Z e Gen Alpha, stanno perdendo la capacità di interpretare correttamente le espressioni facciali nel mondo reale, a causa del troppo tempo trascorso online a interagire con avatar, creazioni 3D – o anche volti umani che comunque “recitano” una parte nei vlog e nei video. Sanno interpretare le emojis meglio dei boomers, ma le reali espressioni dei volti umani, no.
Questo crea un distacco crescente dalla comunicazione autentica e spontanea, rendendo sempre più difficile comportarsi in modo naturale in pubblico e, soprattutto, l’incapacità di percepire empatia.

Dov'è finito il nostro Third Place?

Come possiamo ritrovare il nostro “Third Place”?

Se senti anche tu questa mancanza, non preoccuparti: non sei sola!
Ma come possiamo ritrovare questi spazi nella vita moderna?

  • Cerca piccoli luoghi locali: bar di quartiere, piccole librerie indipendenti, palestre o club culturali. Anche se non hanno l’atmosfera magica del Luke’s Diner, possono diventare il tuo rifugio. Devi solo trovare il coraggio di entrare la prima volta.
  • Crea il tuo terzo posto: se non riesci a trovarne uno, perché non crearlo? Organizza incontri regolari con le amiche in un luogo che forse ancora non amate ma che vi è familiare, o esplora nuovi posti nella tua città.
  • Disconnettiti dai social: la socializzazione digitale può essere utile, ma non deve sostituire quella reale. Cerca di bilanciare le interazioni virtuali con quelle fisiche. Se hai del tempo libero dopo la giornata lavorativa, non passarlo tutto facendo doom-scrolling sui social media. Indossa le scarpe da ginnastica e vai al parco vicino casa. Chissà che non diventi il tuo Third Place? E poi camminare nella natura ha tanissimi vantaggi per la salute…
  • Fatti coinvolgere dalla tua comunità: partecipa alle attività locali, eventi o mercatini di quartiere. Spesso, sono proprio questi piccoli eventi a creare connessioni spontanee.

Conclusione

Il “Third Place” non è solo un concetto astratto, ma una necessità sociale che oggi, più che mai, rischiamo di perdere.
In un mondo sempre più digitale e isolato, ritrovare un luogo fisico dove incontrare gli altri è fondamentale per il nostro benessere. Non sarà facile, ma con un po’ di creatività e impegno possiamo tutte trovare – o ricreare – il nostro angolo di mondo dove sentirci a casa, anche lontano da casa.

E tu, ce l’hai un Third Place? Diccelo nei commenti sui nostri social, ti aspettiamo per continuare la conversazione.