Hope Jervis: l’Antropologa medica che racconta la forza delle donne sopravvissute alla violenza

Nella nostra rubrica Protagoniste di Pink Society, vogliamo dare voce a storie di donne che, con il loro impegno, contribuiscono a cambiare il mondo. Oggi abbiamo il piacere di presentare un’intervista esclusiva con la Dottoressa Hope Jervis, una giovane ricercatrice inglese che ha dedicato il suo lavoro di tesi allo studio della violenza domestica in India e ai percorsi di guarigione delle sopravvissute.
La sua passione per l’antropologia applicata alla salute globale l’ha portata a collaborare con Vasavya Mahila Mandali (VMM), un’organizzazione che offre supporto e riabilitazione alle donne vittime di violenza. Il suo percorso non si è fermato alla ricerca accademica: Hope ha appena iniziato un tirocinio con VMM e ha ricevuto l’incarico di raccogliere e scrivere un libro con le storie delle donne che l’organizzazione aiuta. Un compito tanto emozionante quanto complesso, che non vediamo l’ora di leggere.
Quando ho scoperto il suo lavoro, ho subito sentito il desiderio di conoscere la sua storia, i suoi studi. Il tema della violenza di genere è spesso trattato, in ambito accademico, in modo freddo e distaccato, riducendo tutto a numeri e statistiche. Hope, invece, ha scelto di guardare oltre la violenza stessa, esplorando il processo di guarigione, la ricostruzione dell’identità e il ruolo fondamentale delle reti di supporto femminili.
Questa intervista non è solo un dialogo, ma una finestra aperta sul suo mondo, sulla sua ricerca e sul perché sia cruciale cambiare il modo in cui la società percepisce e affronta la violenza domestica. Attraverso le sue parole, scopriremo non solo il suo lavoro, ma anche la sua visione su come le donne possano trovare supporto e ricostruire la propria identità dopo esperienze traumatiche.
Perché l’India sembra lontana, ma quelle donne le sentiamo sorelle.

1. Cosa ti ha ispirato a concentrarti sulla violenza domestica e sulla guarigione delle sopravvissute in India?
Quando si è presentata l’opportunità di lavorare su questo progetto con Vasavya Mahila Mandali (VMM), stavo completando il mio master in Antropologia Medica. Ho sempre avuto una passione per l’antropologia applicata alla salute globale, soprattutto per quanto riguarda la salute di genere, riproduttiva e materna. Credo molto nel valore della partecipazione della comunità nei programmi sanitari globali, e VMM voleva applicare questo principio nel loro programma di riabilitazione per le vittime di violenza domestica.
La violenza domestica è un problema diffuso a livello globale, ma particolarmente preoccupante in India, dove i numeri sono in aumento. Il nostro progetto mirava a non solo sensibilizzare sulla violenza di genere, ma anche a dare speranza alle donne, mostrando loro che la guarigione e l’indipendenza dalla violenza sono possibili. Abbiamo scelto di concentrarci sul loro percorso di guarigione, per assicurarci di non ridurle unicamente al trauma che hanno vissuto, ma di riconoscerle come individui complessi con vite ricche e sfaccettate.

2. Nel tuo studio spieghi che la famiglia può essere sia una fonte di supporto che un luogo di oppressione per le donne. Puoi farci un esempio di come questo doppio ruolo influenzi il percorso di guarigione?
Avevo un preconcetto iniziale: mi aspettavo che le donne che avevano subito violenza volessero allontanarsi dai ruoli di genere e dalle aspettative familiari che spesso perpetuano questa violenza. Mi sbagliavo. La maggior parte delle donne che ho intervistato non voleva rinunciare alla famiglia, ma solo alla violenza.
La violenza domestica spesso interrompe un matrimonio, e le sue conseguenze si ripercuotono su tutta la rete familiare, creando un senso di instabilità. Questo status incerto porta a ulteriori atti di violenza, come diffamazioni o molestie. Per molte donne, guarire significa trovare un nuovo equilibrio nei rapporti familiari, riformulando le loro relazioni e costruendo connessioni più sane con membri della famiglia o con altre donne di VMM. Il processo di riabilitazione diventa quindi un percorso di decostruzione e ricostruzione delle relazioni.

3. Hai scoperto che molte donne si affidano ai legami di parentela per ricostruirsi dopo esperienze traumatiche. Quali legami o gesti si sono rivelati più significativi per loro?
Senza dubbio, le loro relazioni con altre donne. Pur trovando sostegno in parenti e amici uomini, erano i legami con altre donne a rappresentare la parte più significativa del loro percorso di guarigione. Condividere storie con altre donne all’interno di VMM dava loro un senso di appartenenza e la forza per cercare il cambiamento.
Ma andava oltre l’amicizia: ogni donna con cui ho parlato descriveva questi rapporti in termini di parentela. Quasi tutte si riferivano alla dottoressa Keerthi, presidente e consulente di VMM, come a una madre, una sorella o una zia. Il loro processo di guarigione passava attraverso la ricostruzione della propria identità all’interno di nuovi legami familiari, trovando sicurezza e sostegno reciproco.

4. Il tuo studio evidenzia come alcune donne trovino modi per esprimere la loro sofferenza quando il linguaggio tradizionale non è sufficiente. Come possiamo, come società, imparare a riconoscere e supportare queste forme di espressione?
Nel mio lavoro sottolineo che quando la violenza non è riconosciuta come tale, la sofferenza non può essere compresa.
Le donne che ho intervistato spiegavano quanto le ideologie culturali e religiose sul matrimonio e sulla vita familiare abbiano un impatto sulla loro capacità di lasciare una relazione violenta. Spesso, la loro comunità non concepiva la possibilità di una vita al di fuori del matrimonio, e questa mentalità era rafforzata da norme di genere che minimizzano la violenza domestica.
Dobbiamo imparare ad ascoltare queste donne e ad amplificare le loro voci. VMM sostiene che possiamo supportarle portando maggiore consapevolezza sul fatto che la violenza non è una realtà da accettare passivamente, ma un’ingiustizia che va combattuta. Creare spazi sicuri per le donne affinché possano esprimere la loro sofferenza e trovare aiuto è fondamentale.

5. Quali cambiamenti pratici o culturali pensi possano migliorare la vita delle donne che affrontano la violenza domestica?
Nel mio studio, evidenzio come le ideologie sociali e politiche spesso considerino la violenza domestica un problema privato, relegato alla sfera familiare. Sebbene la famiglia possa essere un luogo di guarigione, la violenza domestica è una violazione dei diritti umani e dovrebbe essere trattata come tale dalle istituzioni.
A livello legislativo, è fondamentale che le leggi siano accessibili e pensate tenendo conto delle voci e delle esigenze delle donne vittime di violenza. Le normative devono proteggere le donne, non scoraggiarle dal denunciare.


Conclusione
Ringrazio di cuore la Dottoressa Hope Jervis per questa preziosa intervista e per il lavoro straordinario che sta portando avanti. Il suo impegno nella ricerca e nel supporto alle donne vittime di violenza domestica è un esempio di dedizione e passione. Le auguro il meglio per il suo futuro professionale e attendo con grande interesse il libro che raccoglierà le storie di queste donne, che meritano di essere ascoltate e ricordate.
Vedere giovani come Hope dedicarsi con tanto impegno e serietà a temi così cruciali per la nostra società mi riempie di speranza. Sono loro il motore del cambiamento, e sapere che ci sono persone come Hope pronte a fare la differenza mi fa credere in un domani più giusto ed equo per tutti.
Per approfondire: https://www.vasavya.org/

Direttore di Pink Society
Direttore scientifico di Pianeta Salute 2.0 trasmissione TV, biologa, giornalista pubblicista, avida lettrice, amante del cinema e delle maratone TV, ha l’animo della viaggiatrice e spera di poter tornare a farlo presto in serenità ♥