Donne Leader in Sanità (Leads): parla il primario di chirurgia Micaela Piccoli
Le professioni sanitarie da qualche tempo non sono più una “cosa da uomini”, ma a quanto pare l’accesso alle posizioni dirigenziali rimane ancora oggi una prerogativa strettamente maschile.
Non si spiega altrimenti la marcata asimmetria che mostrano i numeri del settore sanitario mondiale, dove le donne – stando ai dati dell’OMS – rappresentano il 70% della forza lavoro e tuttavia solo il 25% di esse occupa posizioni di leadership. Nel sistema sanitario nazionale italiano, le donne rappresentano il 63,8% del personale dipendente e sono quasi il doppio degli uomini, ma solo il 16,7% ha il ruolo di direttore generale, stando al rapporto Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario Italiano OASI 2019. Emblematico è il caso delle specialità chirurgiche, tradizionalmente ritenute poco adatte al gentil sesso: ormai il 40% degli specializzandi nelle diverse chirurgie è costituito da donne, eppure dei 315 primariati ospedalieri solo 10 sono attualmente occupati da donne. Forse è un caso ma, più probabilmente, non lo è affatto.
“Donne leader in sanità” (Leads) è un network aperto a donne e uomini che desiderano confrontarsi su questo tema ed elaborare iniziative concrete per ristabilire un equilibrio che renda giustizia al merito. Si mira al superamento delle disuguaglianze di genere, puntando alla parità nelle posizioni apicali di organizzazioni pubbliche e private. Il network è nato nel febbraio 2020 in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, a seguito dell’iniziativa “Women Leader in HealthCare”, promossa da Medtronic, avviando così il primo network di donne leader nel settore. La prima tappa dopo la costituzione di “Donne leader in sanità” è stata la stesura del Manifesto per un maggior equilibrio di genere in sanità (consultabile qui: https://donneleaderinsanita.it/manifesto/) che non solo ha raccolto quasi 250 firme, ma è stato consegnato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da una delegazione di Leads. Obiettivo dichiarato del Manifesto è quello di spingere la diffusione di buone prassi nel settore e di promuovere il raggiungimento di almeno 40% di donne nel top e middle management delle organizzazioni pubbliche e private operanti nella Sanità.
Abbiamo contattato Micaela Piccoli, chirurgia endocrina, oncologica, di parete, dello stomaco e del colon-retto, in particolare con tecnica laparoscopica e robotica nonché primario di chirurgia che dal 2018 riveste la carica di primario presso la UOC di Chirurgia Generale, d’Urgenza e Nuove Tecnologie presso l’Ospedale Civile Sant’Agostino Estense (OCSAE) di Baggiovara, Modena. Una delle eccellenze del Sistema Salute, una donna che ce l’ha fatta nel faticoso mondo della chirurgia senza per questo scimmiottare i colleghi maschi e, ça va sans dire, un membro di Leads e firmatario del Manifesto.
Dottoressa Piccoli, com’è entrata a far parte del network Leads?
Non sono stata coinvolta per caso: in Italia l’ambito chirurgico è sempre stato un baluardo maschile. Fino a qualche anno fa vedere donne in corsia era un evento poco frequente e, sebbene oggi il numero di colleghe sia in crescita, le posizioni apicali sono in grandissima parte occupate da uomini. Le primarie chirurghe sono davvero poche, solo 10 su 315 primariati ospedalieri. Sarebbe a dire circa il 3%. Questo numero esiguo inoltre comprende le UOC di senologia, disciplina che per sua natura “tollera meglio” la presenza femminile. Sarebbe tuttavia ingiusto non prendere atto del cambiamento in corso, si figuri che nel 2018 (anno in cui sono stata nominata) a occupare primariati chirurgici eravamo solo 3 donne! Ho immediatamente colto la possibilità di entrare in questo network trasversale che coinvolge i vari ambiti della sanità, andando dalle direzioni amministrative generali alle farmaceutiche fino alle università passando per la sanità privata. L’unione fa veramente la forza, ma anche la motivazione e la competenza delle diverse componenti in campo. Ho intravisto immediatamente la possibilità di agire in modo incisivo dialogando con le Istituzioni e coinvolgendo l’opinione pubblica.
Perché si è resa necessaria una tale iniziativa coordinata?
Vede, molto spesso ci si illude (triste a dirsi ma è questo il termine) che le persone competenti riescano sempre a emergere. Per questo motivo si guarda con malcelata irritazione a misure come le quote rosa, come se fosse qualcosa che sminuisce il valore del nostro operato. Purtroppo, in molti casi sono ancora oggi l’unico strumento possibile per garantire di far emergere le competenze e le professionalità che altrimenti verrebbero seppellite dal pregiudizio di genere. Solo alcune “isole felici” possono farne a meno e sono fiera che l’Emilia-Romagna sia a tutti gli effetti una di queste: 3 dei 10 primari di chirurgia donna sono infatti in questa Regione, che da sempre ha una grande tradizione di eccellenza in chirurgia – la mia UOC per esempio è ritenuta una delle chirurgie più grandi d’Italia, più rinomate per l’attività mininvasiva, robotica e d’urgenza – e di pari opportunità. La pandemia poi ha portato a galla alcuni elementi francamente sconcertanti…
Ovvero?
Soprattutto nel corso della prima fase, non c’era traccia di colleghe donne all’interno delle commissioni nazionali. Eppure noi eravamo in prima linea negli ospedali, nelle corsie nei pronti soccorsi! Ed è purtroppo cosa nota che sulle spalle delle lavoratrici ricadano non solo i pesi dati dalla professione ma anche quelli della famiglia, e in misura ben maggiore di quanto non accada ai lavoratori di sesso maschile. Insomma non solo siamo di più, ma siamo anche a fortissimo rischio di burnout. Durante la pandemia noi componenti di Leads abbiamo avuto modo di parlarci via web e la vistosa assenza di donne nella gestione istituzionale della crisi sanitaria ci ha motivate a consolidarci e ad andare avanti.
Quali sono le difficoltà che incontra una ragazza che vuole intraprendere una carriera chirurgica?
All’inizio sembra quasi (sottolineo quasi!) semplice: ormai il 75% degli iscritti a medicina è costituito da donne. Il primo scoglio è l’ammissione a una scuola di specialità, ma anche qui ce la caviamo abbastanza bene e raggiungiamo quota 40%. A questo punto inizia la vera salita: una volta in corsia (dove si registra un primo imbuto per le chirurghe, seppur non così vistoso) la presenza femminile inizia a rarefarsi man mano che si sale nella scala gerarchica. Arrivati in vetta si giunge a quel 3% cui facevo prima riferimento. È una questione di potere ovviamente. Eppure, per competenze, dedizione e precisione la figura femminile è molto adatta a lavorare in chirurgia, lo dimostra anche la fiducia che ci viene data dai pazienti, i quali avvertono una minore distanza quando vengono presi in carico da una figura femminile. Dato molto, molto positivo perché più facilmente riescono a fare domande e a ottenere le rassicurazioni che cercano.
La sua esperienza personale qual è stata?
Ho avuto fortuna ma non significa che io abbia raggiunto più facilmente i miei risultati. Avevo un curriculum e una casistica molto competitiva, mi sono quindi potuta mettere in gioco alla pari con i miei colleghi anche grazie al mio primario, un uomo carismatico che si è sempre vantato di saper riconoscere gli elementi validi a prescindere dal sesso. Io come primario esigo tantissimo dai miei allievi, ma cerco di dissipare l’atmosfera quasi militaresca che contraddistingue spesso l’ambiente della chirurgia: parlo con tutti i miei specializzandi, cerco di individuare le loro predisposizioni per non lasciare nessuno indietro e coltivo anche l’aspetto interpersonale delle relazioni dei membri del mio gruppo, che sono tutti incoraggiati a confidarsi con me. Pensi che il mio studio viene chiamato “Grande Fratello” perché funge da confessionale (ride). Purtroppo a volte le donne che raggiungono ruoli apicali tendono a scimmiottare atteggiamenti caricaturali della mascolinità. Occorre diffondere la consapevolezza che la nostra leadership ha lo stesso carisma di quella maschile e ottiene spesso risultati di eccellenza, non solo in sanità. Essere un capo non vuol dire dover rinunciare alla propria femminilità.
Lei figura tra i firmatari del Manifesto, ce ne può parlare?
Il Manifesto per un maggior equilibrio di genere in sanità ha rappresentato un momento fondamentale per tastare il polso dell’opinione pubblica: siamo partite in 14, poi siamo arrivate a 45 e adesso superiamo abbondantemente le 200 firme, grazie al passaparola che si è venuto a creare. Il nostro obiettivo è quello di sollevare il problema e arrivare all’obiettivo di quel fatidico 40% di donne leader in sanità. Abbiamo avuto anche l’onore di essere ricevute dal Presidente Mattarella al Quirinale, che si è dimostrato davvero interessato e francamente stupito di fronte alle disparità di cui lo abbiamo reso partecipe. Alla fine dell’incontro ha chiesto “che cosa può fare questo Palazzo per voi?” e ci ha invitate ad avanzare delle proposte. È stato un momento molto bello che ci ha fatto capire che possiamo davvero ottenere qualcosa. Con lui ci siamo date appuntamento nell’arco di quest’anno per vedere cosa è stato fatto e cosa no.
Quali sono, se ce le può anticipare, le proposte fattuali del Network?
Siamo una fucina di idee, alimentata anche dai nostri incontri mensili: tra le proposte posso citare quella del “Bollino rosa” a Regioni, Comuni o Ospedali oppure quella di avviare corsi di formazioni per la sensibilizzazione dei giovani sul tema… altra cosa che si sta discutendo è quella di trasformare Leads in una vera e propria Associazione, in modo da dargli maggiore forza e valenza giuridica ed essere più presenti nei tavoli che contano. L’obiettivo è quello di arrivare sui tavoli decisionali dove si può agire non solo a livello locale ma anche a livello nazionale.
Giornalista, bibliomaniaca, donna dalla parte delle donne