Protagoniste: Camilla Bianchini
Il 15 febbraio su Rai 5 vedremo Camilla Bianchini trasformarsi in una delle scrittrici più amate e significative dell’ottocento inglese, Emily Brontë in una serie TV esperimento dal titolo Le interviste impossibili, scritta e diretta da Roberto Quagliano.
La vena drammatica di Camilla, attrice e da poco scrittrice, trova piena realizzazione nel volto e i racconti della grande Brontë mentre la sua indole ironica e comica è possibile scoprirla grazie ad un personaggio di fantasia, da lei inventato qualche anno fa che spopola su facebook. Camilla Bianchini approda a Pink Society per aprirci le porte di una Emily Brontë inedita e rivoluzionaria e per descriverci il suo percorso di attrice tra il cinema ( è nel cast del ghost thriller Letto n. 6 di Milena Cocozza), la TV e il teatro, suo primo e a volte unico amore.
Camilla, la tua Emily Brontë conclude il ciclo di 6 puntate di cui si compone la serie Le interviste impossibili su Rai 5. Come descriveresti il progetto?
Il progetto si rifà ad una trasmissione celebre degli anni ‘80 su Radio Rai dove personaggi storici importanti in vari ambiti venivano intervistati. Erano interviste immaginate visto che i personaggi erano da tempo scomparsi. Roberto Quagliano ne ha voluto fare una versione televisiva e dare carne e ossa a questi personaggi e Emily Brontë è l’unica donna che viene intervistata in questo primo esperimento di interviste impossibili in televisione. È stato bello perché lei l’avevo letta nell’estate della prima media perché mia madre ci ha sempre tenuto a che la nostra educazione letteraria e sentimentale passasse attraverso le sorelle Brontë, Jane Austen, Piccole donne, ad esempio, ed è stato interessante rileggerla perché molte cose mi erano sfuggite da piccola ovviamente. C’è una interessante analisi fatta da Roberto che ha preso come testimonianze degli articoli che sono stati pubblicati in una rivista letteraria, la New York review e poi si è avvalso anche di documenti dell’università di Bologna e Reggio Emilia. Ne è venuto fuori un profilo di una donna forte, anche rivoluzionaria. Lei inizialmente scrisse sotto pseudonimo poi in realtà con Cime Tempestose si pone come scrittrice libera che non ha bisogno di essere sposata o di essere madre ma che semplicemente scrive e fa di questo il suo mestiere in un momento particolare, in cui questa cosa sappiamo non essere ben vista dalla società.
Come sei approdata al progetto?
Con un provino su Skype. Abbiamo poi lavorato tantissimo sul testo, è stata tra le cose più difficili che ho fatto perché dovevi essere credibile con un linguaggio dell’epoca ottocentesco e ci sono moltissimi monologhi da imparare a memoria che si alternano all’intervista vera e propria con una terminologia che non uso e quindi è stato molto faticoso ma bello.
Nell’intervista colpisce una frase di Emily Brontë che dice: “Pensi alle trasposizioni del mio romanzo e di quello di mia sorella Charlotte, Jane Eyre, al modo in cui hanno trattato la storia d’amore tra Rochester e l’impeccabile governante sacrificando quello che è forse l’aspetto più affascinante del romanzo: la sua rappresentazione schietta della rabbia femminile e del risentimento di classe.” Avevi riflettuto su questo aspetto e che ne pensi?
L’ho scoperto dopo che ho letto queste testimonianze e leggendo il libro poi ti rendi conto che effettivamente questi aspetti sono presenti ma anche quando ero più piccola ci si soffermava più su questa storia d’amore tormentata dalle questioni sociali ma in realtà c’è molto altro. Se prendi il protagonista di Cime Tempestose per esempio, Heathcliff, lui è un trovatello ed è un antieroe, non è un personaggio positivo anzi è molto oscuro e lei riflette nell’intervista che vedrete e ricorda che in quel periodo più di 40.000 bambini vivevano per le strade di Londra senza cure e questo è un aspetto che non sapevo, a cui non avevo mai fatto caso. Va preso in considerazione poi il fatto che non ci sia un eroe positivo nella storia ma che abbia sfumature e che Cime Tempestose fu considerato molto violento all’epoca. Un’altra cosa che mi ha stupito e che non sapevo è quanto fosse stata importante la figura del padre nella vita delle sorelle Brontë. Aveva educato le figlie alla pittura, alla letteratura, alla musica fin da piccole ed era abbastanza particolare e strano per quei tempi perché non era così scontato che le donne potessero studiare. Il papà aveva regalato loro dei soldatini e loro avevano cominciato a scrivere queste storie di soldatini nella loro cameretta.
Dopo questo percorso, chi è diventata per te Emily Brontë?
È diventata una rivoluzionaria e una guida per chi vuole scrivere e per le lettrici. È diventata il mio nuovo mito, l’ho riconsiderata tanto e poi fa strano pensare quanto lontana sia da noi ma anche tanto vicina. La nostra situazione di donne è cambiata ma bisogna sempre lottare ed essere coraggiose fino alla fine, come emerge anche dall’intervista.
Hai deciso di iniziare a scrivere dopo questo percorso?
Questo lavoro è stato fatto in un momento in cui ero ferma per ovvi motivi dovuti alla pandemia e facendolo mi è venuta voglia di scrivere. Adesso mi ci sono messa e sto lavorando a un testo su un’altra donna, Jeanne Hèbuterne, la musa di Modigliani. Mi è venuta voglia di scrivere su di lei, mi sto documentando perché è una donna che è stata importante ma che è sempre rimasta un po’ nell’ombra e forse abbiamo un po’ l’obbligo di farle conoscere queste donne. La storia è piena di donne che sono state importanti ma che per strane ragioni sono rimaste un po’ nell’ombra e forse noi abbiamo un po’ il compito di spolverare tutto questo perché molte cose non si sanno e non si studiano neanche a scuola, purtroppo.
Per il cinema ti abbiamo visto un anno e mezzo fa in Letto N.6, una storia di fantasmi con Carolina Crescentini, prodotta dai Manetti Bros e diretta da Milena Cocozza. Che ricordo conservi?
A quel film ci hanno lavorato molte donne, non solo la regista e la protagonista ma anche la direttrice della fotografia, la scenografa, è stata la mia prima esperienza importante al cinema ed è stato bello. Ero molto in ansia invece sono stati tutti carini e specialmente Carolina con cui avevo tutte le mie scene. Giravamo di notte all’Ex Forlanini dove c’è una parte completamente abbandonata. Credo di aver letto che adesso l’abbiano adibito per i vaccini. Abbiamo girato lì perchè il film è ambientato in un ex ospedale psichiatrico. La cosa assurda è che abbiamo scoperto che in quell’area tanti anni fa, c’era un’area psichiatrica quindi perfetto per un film di fantasmi abbastanza inquietante. A me che sono una paurosissima tra l’altro, ha aiutato il fatto che fosse più thriller che horror, un vero film di genere che mi è dispiaciuto tantissimo che non sia uscito al cinema perché avrebbe potuto veramente avere un buon riscontro. È andato alla fine su Sky dopo l’anteprima al Torino Film Festival ed io interpreto una suora che introduce Carolina in questo ospedale pediatrico in cui avvengono cose un po’ particolari. C’è il bimbo protagonista veramente molto bravo ed è stato bello lavorare anche con i bambini , con cui normalmente faccio anche dei laboratori. Quando cresciamo erigiamo mille muri invece loro sono liberi e alcuni sono dei talenti incredibili.
A proposito di bambini, molti ti conoscono nella tua vena comica, come fondatrice della pagina Facebook Mamme di Roma Nord dove interpreti questa mamma sui generis con una figlia di nome Mavi Lavi. Come nasce l’idea di questa parodia delle mamme del web?
Nasce perché mia sorella che è iscritta a un gruppo segreto di Facebook di mamme mi ha fatto leggere una serie di quesiti surreali e ai limiti della realtà che ponevano queste mamme. Per fare un esempio, mi viene in mente uno che poi in scrittura ho un po’ esasperato e che diceva: “mia figlia ha perso un dentino, cosa le faccio come regalo? bastano 300 € o le faccio un bonifico?” oppure “mia figlia ha i pidocchi, che faccio, uno shampoo al caviale può andare bene?” . Ovviamente nei miei scherzi è tutto esasperato ma la cosa divertente è stata che le stesse mamme di Roma nord ridono, non capendo che le si sta prendendo in giro e poi c’è un’altra parte invece di persone che crede che sia tutto vero e quindi ci sono stati anche insulti pesanti del tipo “ ma come ti permetti di trattare così le signore filippine?”. È molto divertente, è nato così per scherzo, poi durante la pandemia ho fatto anche un video dall’hashtag “In quarantena con Mavi Lavi”. All’inizio non volevo farlo poi invece mi hanno convinto ed è nato questo video in cui Mavi Lavii fa lezione online di orto bio camp. Forse ora è il momento giusto per far tornare questa mamma su Fb.
Ami molto il teatro e prima del lockdown eri in teatro in Sicilia. Quanto ti manca?
Si ero in Sicilia con uno spettacolo che avevamo fatto già due anni fa a Segesta e dovevamo riprenderlo. L’autrice e regista è siciliana, Luana Rondinelli e lo spettacolo si chiama Penelope – L’Odissea è femmina, in cui Penelope non aspetta più. Una versione totalmente ribaltata del mito. Finché eravamo lì a Marsala non ci rendevamo conto di quello che stava succedendo, eravamo nella nostra isola felice quando la pandemia è scoppiata. Speriamo di riprenderlo presto.
Dove ti senti al pieno delle tue potenzialità?
Il teatro è il primo amore però quello in cui c’è il pubblico perché è imprescindibile. Un teatro senza pubblico non lo concepisco, è uno scambio necessario quindi speriamo presto di ritornarci.
Che ne pensi dei personaggi femminili nel cinema e la televisione italiana?
Sai, quando ultimamente ho visto Pieces of Woman su Netflix ho pensato:” ma perché in italia non fanno film così? si può fare, perché non lo si fa?”. Io sono iscritta a un gruppo italiano su Fb che si chiama Mujeres nel cinema e quel gruppo mi ha stupito perché c’è tanta voglia di fare tra le donne nel cinema, in tutti gli ambiti. C’è molta materia e sarebbe bello diventassimo tutte più protagoniste in ogni campo. Siamo tante e ci siamo anche un po’ rotte quindi si può. Ora manca solo che qualcuno dia piena fiducia alle sceneggiatrici ed alle registe.
La tua attrice di riferimento?
La mia attrice del cuore, sarò banale, è Monica Vitti. Lei riassume proprio quello che vorrei essere, è ironia e tragedia insieme. A me piacciono personaggi che siano pieni di sfumature e mi piace interpretare personaggi lontani da me, quelli troppo vicini a me non mi interessano. Mi piace proprio quando mi dicono “quella proprio non ti assomiglia, non sembravi tu”. Il mio obiettivo è quello un giorno di poter fare sempre personaggi diversi e poi mi piace tantissimo il mischiare parti drammatiche e comiche poiché il confine è molto labile
Un ruolo che avresti tanto voluto interpretare?
Il mio personaggio del cuore è Billa in Maledetto il giorno che t’ho incontrato di Carlo Verdone. Lo amo proprio tanto, l’ho anche interpretata in un corso di recitazione. La nevrosi di Billa mi viene proprio bene e mi piacerebbe molto un personaggio così.
Speranze e progetti futuri?
Non farò come quelle che dicono che hanno vari progetti in ballo che non menzionano per scaramanzia. Sto aspettando, sto facendo alcuni provini sempre con i self tape che ormai ho imparato a fare e poi ora mi sto dedicando a questo monologo su Jeanne Hèbuterne che ho quasi finito di scrivere e spero di presentarlo magari quest’estate, se si riapre qualche rassegna o qualche festival di teatro.
Napoletana trapiantata a Roma nel 2006, dopo un inizio da programmatore di rassegne cinematografiche, si dedica al giornalismo di cinema, prima per una radio internazionale, poi in TV come critico cinematografico e su riviste e magazine specializzati. Dalla maternità in poi si dedica anche a scrivere delle infinite sfumature dell’essere donna e mamma. Nel tempo libero che riesce a trovare, si dedica all’altra sua grande passione: cantare con Le Mani Avanti, un coro a cappella di 30 elementi.