Cartoline d’Italia: Non chiamatele piastrelle! Sono Laggioni e sono arte da re
Sono appassionati gioielli di bellezza. Assomigliano a delle piastrelle smaltate ma sono sofisticati apparati decorativi in maiolica a rilievo.
Raffinati e coloratissimi, i laggioni erano usati dai Genovesi del Cinquecento per abbellire altari, campanili, scale, scaloni e sale di rappresentanza dei propri palazzi. Talvolta incorniciavano le mensole e i sedili di pietra nera di Lavagna nei loro atri; altre volte avevano il compito di esaltare il bianco dei loro colonnati e degli altari. Altre volte erano quadri (vere e autentiche avanguardie), le cui scene erano costruite come dei grandi puzzle. Nei loro pannelli brillanti di ceramica smaltata, raccontano scene di vita e di santità.
Gli Spagnoli li chiamavano azulejos; in arabo sono al zulaycha, poizullaygiun: ma per i Genovesi sono laggioni.
Sono i silenziosi testimoni di quel “melting pot”, di quella mescolanza di culture ed esperienze artistiche millenaria dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo: sanno raccontare e documentare dei molteplici rapporti economici e culturali del popolo dei Genovesi con il mondo musulmano, che tuttora vive e rivive nelle parole del suo “dialetto”, nei gusti della sua cucina, nelle tradizioni e nei palazzi rivestiti da decorazioni di stile moresco.
È proprio grazie ai i traffici marittimi di Genova coi popoli del Mediterraneo, all’interno di rotte, colonie, porti e roccaforti commerciali, che questa nuova forma di arte arrivò nel più grande porto che si affaccia sul Mar Ligure. E lì resti, esaltandola.
La tecnica della “fabbricazione” artigianale di questi laggioni era quella moresca: disegni a rilievo, resi brillanti dall’invetriatura e rutilanti di colori (blu, arancioni, neri alternati a verdi, gialli, turchesi); colpisce il loro disegno ricercato, intricatissimo, persino lezioso: risaltavano alla luce delle torce, si muovevano insieme alle ombre della sera, incantavano ospiti e visitatori.
Azulejos, letteralmente significa “piccole pietre policrome” (originariamente sono piastrelle caratterizzate da motivi geometrici in rilievo, di gusto orientale), che dopo esser giunte a Genova nel’400, spesso importate dalla Spagna (ve ne erano alla corte dell’imperatore Carlo V) e dal Portogallo, diventano pannelli coloratissimi popolati da scene di vita, come se fossero quadri e non semplici decorazioni.
Di laggioni, in Liguria, presto si cominciò una produzione locale; questi apparati mutarono i loro disegni lineari in motivi floreali e in composizioni figurative composte da più piastrelle; altri propongono soggetti a carattere sacro dalle tinte lucide sgargianti, che venivano dipinti separatamente su singoli pannelli ceramici e poi ricomposti insieme come se fossero un puzzle.
Negli edifici privati dei ricchi genovesi, tra il Medioevo e il XVI secolo, erano di gran moda e assolutamente esclusivi.
Ne sono rimasti pochi, ormai. Tuttavia non è raro imbattervisi negli intricatissimi vicoli del centro storico, trovarli in qualche portone buio, scovando pareti ricoperte sia dagli azulejos sivigliani cinquecenteschi (importati da mercanti e banchieri graditi alla corte dell’imperatore Carlo V) che dalle maioliche di produzioni liguri. Per lo più ormai decorano atri e scaloni di palazzi (ammassati di cianfrusaglie e rumore) che hanno smesso la loro veste sontuosa per diventare semplici abitazioni frequentate da studenti. Sembrano dimenticati.
Altri incorniciano altari di antichi conventi, in un caleidoscopio di colori e bellezza, vengono illuminati ancora dalle candele e ammantati di un’aria che sembra appartenere al passato.
Quando il nostro occhio li cattura e li scorge, hanno il potere di farci tornare come per magia ai fasti alla corte dell’Imperatore Carlo V e dei suoi banchieri genovesi, come se fossero cartoline che arrivano dal passato: “Saluti dal Secolo dei Genovesi”.
Vive e lavora a Genova, insieme ai suoi libri, dove svolge la propria attività di giornalista professionista e studiosa di storia della critica d’arte e Futurismo. Convive con la SM da 18 anni. Ama la scrittura e le parole, il figlio, la vita, la sua famiglia.
Al suo attivo molte pubblicazioni e monografie di storia dell’arte. Svolge la professione giornalistica con passione da oltre trent’anni, si muove tra la carta stampata, i nuovi media, la TV. Ama parlare delle persone, con la gente e sempre a vantaggio della cultura sociale che fa crescere e aprire occhi e cuore. “Le persone sono sempre scopo primo e ultimo della mia scelta professionale, come servizio agli altri. Senza riserve”.