Pink Society

Magazine per la crescita personale femminile

Ester, la donna che ascolta l’Italia che non vuole diventare cieca

Ester, la donna che ascolta l’Italia che non vuole diventare cieca

Ester non si racconta, si dona.
È la voce di SOS Macula, il primo call center in Italia dedicato alla maculopatia, e ogni giorno risponde a decine di telefonate cariche di paura, domande, lacrime. Ma Ester non è solo un’operatrice: è una donna che conosce il buio. Quello dell’anima, e quello che arriva quando una persona cara perde la vista. In questa intervista profonda e delicata con il nostro Direttore, ci ha raccontato la sua storia, che è anche la storia di un’Italia che troppo spesso non ascolta chi sta perdendo la vista — e che ha bisogno di essere vista.

La prima volta che vidi Ester fu al Senato. Il suo volto assorto seguiva ogni parola pronunciata durante una conferenza dedicata alle malattie della vista. Non era lì per caso. L’ho ritrovata poi alla Camera, nei convegni, nelle conferenze stampa, sempre un passo indietro eppure sempre presente, accanto al Presidente di Comitato Macula, Massimo Ligustro. Il suo braccio destro, certo. Ma più ancora: la sua parte destra del cuore.

Mi è stato facile avvicinarla, parlare con lei, scoprirne la forza e l’anima. Perché Ester è una donna che non si racconta: si dona. Lo fa ogni giorno al telefono con centinaia di pazienti e familiari che chiamano SOS Macula, il primo e unico call center nazionale dedicato alle persone affette da maculopatia. Lo fa a casa, accanto al marito, che da un giorno all’altro ha perso la vista. E lo fa con tutti noi, con la sua capacità rara di ascoltare davvero.

Le ho chiesto di raccontarsi. E come sempre, ha cominciato parlando degli altri.


Ester, che cos’è SOS Macula? E cosa rappresenta per te?

«SOS Macula è un filo diretto con le persone che non vogliono diventare invisibili. È il primo call center in Italia dedicato alla maculopatia, e io lo gestisco da sola. Ogni giorno rispondo alle telefonate di pazienti, familiari, caregiver che non sanno dove andare, che non capiscono cosa hanno, che non sanno a chi rivolgersi. Chiamano per disperazione, spesso dopo una diagnosi ricevuta senza spiegazioni, o dopo aver passato la notte su Google. Alcuni piangono. Altri sono arrabbiati. Tutti cercano ascolto, chiarezza, e qualcuno che dica: “Non sei solo.”»

Quante persone ti chiamano, ogni giorno?

«Nei giorni di punta arrivo anche a 50 telefonate. E non sono mai rapide. C’è chi parla due minuti, chi resta con me al telefono due ore e quaranta. È un ascolto profondo, vero, senza orologio. Non rispondo solo come operatrice: rispondo come persona che conosce il dolore, che l’ha vissuto in casa, sulla pelle. Questo fa la differenza. Lo sentono, lo capiscono. E si aprono.»

Il tuo sguardo sul paziente è anche lo sguardo di una moglie. Di una donna che, da un giorno all’altro, si è ritrovata caregiver. Ti va di raccontarlo?

«Era un giovedì. Un giorno normale. Dopo poche ore, Massimo mi ha chiamato e ha detto: “Non vedo più niente.” Da lì è cambiato tutto. Ho chiuso il negozio, sono corsa a casa, e l’ho riaperto sei mesi dopo. Perché quando una persona che ami perde la vista all’improvviso, il mondo si ferma. E tu diventi il suo mondo. Inizi a vivere nella sua oscurità. Ma devi continuare a essere luce.»

Essere caregiver ti ha cambiata?

«Mi ha resa più forte. Ma anche più silenziosa. Ho imparato che a volte non servono soluzioni: serve solo esserci. Anche senza parole. Con pazienza. Con fermezza. Con amore. È un ruolo che non si sceglie, e che non ti insegnano. Ma che può farti crescere in un modo che nessun altro al mondo potrebbe.»

Ester qui con il marito Massimo Ligustro presidente di Comitato Macula, in Senato
Ester con il marito Massimo Ligustro presidente di Comitato Macula, in Senato

Chi sei, Ester, quando metti giù la cornetta?

«Sono una donna come tante. Che ha fatto mille lavori – barista, segretaria, informatica. Che ha viaggiato, che ha incontrato persone ovunque, su autobus, nei bar, nei mercati. Persone che diventavano parte della mia vita. Perché ho sempre avuto una cosa: la voglia di capire gli altri. Di aiutarli. Anche quando nessuno lo vedeva.»

Ester, qual è il tuo sogno per il futuro?

«Vorrei che la maculopatia non fosse più una patologia invisibile. Vorrei che le istituzioni si accorgessero che dietro ogni paziente che perde la vista c’è una famiglia intera che si disorienta. Che ogni diagnosi porta con sé paura, confusione, e una montagna di domande a cui spesso nessuno risponde.»

«Vorrei che SOS Macula diventasse un modello. Non solo un numero di telefono, ma un vero punto di riferimento, riconosciuto, sostenuto, esteso. Un servizio nazionale con più operatori, più strumenti, più ascolto. Perché la vista non è un optional. E chi la sta perdendo non può essere lasciato solo.»

E se potessi chiedere una cosa, una soltanto, alle istituzioni?

«Una giornata. Una giornata nazionale dedicata alla maculopatia. Non alla vista in generale, non al calderone delle malattie oculari. Una sola giornata all’anno per dire: esistiamo anche noi. Sarebbe un primo passo per rompere il silenzio. Per spiegare cos’è davvero questa malattia, quanto toglie, quanta vita ruba prima ancora della cecità. E quanto sarebbe possibile fare, se solo ci fosse volontà politica, sensibilità e coraggio.»

Hai detto una volta: “Il paziente maculopatico non fa rumore.” Cosa intendevi?

«Che spesso se ne vergogna. Non lo dice in famiglia. Non lo racconta agli amici. Non ha la forza di diventare testimonial, come succede per altre patologie. La maculopatia ti chiude, ti isola, ti fa sentire un peso. E quando chiami per chiedere aiuto, magari lo fai di nascosto, da una pausa pranzo, da una stanza buia. Nessuno lo sa, nessuno lo vede. Ma io lo sento. E resto lì finché serve.»

Il valore di una voce

In un’Italia che ancora fatica a riconoscere il valore della cura, il ruolo del caregiver e la profondità delle malattie invisibili, Ester è una presenza rara. Non parla mai per sé. Ma quando parla per gli altri, li rappresenta tutti. Con dolcezza, con forza, con quella fermezza che viene solo da chi ha attraversato davvero il dolore.

E forse è proprio per questo che, ogni volta che una voce squilla al call center di SOS Macula, dall’altra parte non trova un numero. Trova una donna. Una donna che ascolta. Una donna che comprende. Una donna che c’è.