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Pink Society

lo sguardo rosa sulla società

Protagoniste: intervista a Martina Sammarco

Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri
Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri

Dal 17 gennaio la vediamo nei panni nerd di Nadia, braccio destro di indagini del Fabrizio Bentivoglio improvvisato detective in Monterossi su Prime Video.

Martina Sammarco, veneta doc nata in Eritrea, ha già in cantiere sogni e progetti ed all’attivo un film con lo stesso regista, Roan Johnson, che l’ha diretta nella serie tratta dai romanzi di Alessandro Robecchi.

In un momento in cui sembra che le donne debbano ancora giustificare la loro presenza da protagoniste, che sia in TV, al cinema, in un’azienda o sul palco, ascoltiamo la voce di Martina che, per le sue origini “non caucasiche”, è spesso costretta a fare anche un ulteriore esercizio:schivare i ruoli stereotipo. Partendo da Monterossi, la interroghiamo su tutto per scoprire passioni, tra cui quella per Spielberg, aspirazioni e obiettivi.

Chi era Nadia in Monterossi sulla carta e chi è diventata poi interpretandola?

Chiaramente nella trasposizione sullo schermo alcune cose vengono cambiate rispetto alle situazioni ma considerando la partecipazione dell’autore del romanzo, Alessandro Robecchi,  credo si sia mantenuta l’anima di questo personaggio nella serie. Sicuramente è un personaggio molto nerd e questa cosa mi piace molto di Nadia. È estremamente abile con il computer e ha una forma di intelligenza molto poliedrica. Nel corso degli eventi alcune di queste qualità verranno fuori più di altre però è una persona dotata di grande intelligenza e di ironia.

Avevi già lavorato con il regista Roan Johnson in State a casa. Era già chiaro che voleva te per interpretare Nadia? 

No, ho fatto i provini come succede sempre nel nostro lavoro. Devo dire che ho sperato con tutta me stessa di riuscire ad essere questo personaggio perché me ne sono innamorata subito. Il fatto di avere Roan e tanti grandi attori come Fabrizio Bentivoglio accanto, per me ha avuto un grande significato. Roan è stato il primo regista con cui ho condiviso qualcosa di grande e mi ha diretto in State a casa scritto da lui e ci tenevo molto a questa collaborazione.

State a casa infatti è un film “pandemico”, claustrofobico e impegnativo perché si concentra, in un’unità di luogo, la casa, sempre su di voi.

Si infatti è un film che proprio per le sue caratteristiche, il suo essere girato quasi tutto all’interno di una casa con questi ragazzi, necessitava di una preparazione molto grande quindi abbiamo fatto due settimane di prove, il che è una vera fortuna in questi casi. La pandemia ha facilitato la preparazione perché, per evitare di prendere il Covid, abbiamo dovuto quasi vivere insieme. Per noi attori provenienti dal teatro è stata un’opportunità stupenda, ci è sembrato di stare a teatro ma con i vantaggi della macchina da presa, un due in uno.

Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri
Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri

Tornando a Nadia, un personaggio che rappresenta un doppio orgoglio: dare voce alla comunità Lgbt+ e quella afro-italiana?

Orgoglio sicuramente c’è stato e ce n’è stato tanto perché ancora adesso c’è un po’ di strada da fare nella rappresentazione in generale. Diciamo delle minoranze, ma possiamo dire nell’adottare la rappresentazione del reale che incontriamo per strada.  Ci sono dei passi da fare ma tanti si stanno già facendo e c’è stato l’orgoglio di essere parte di questo piccolo cambiamento di rappresentazione. Dall’altra parte mi viene da dirti che la bellezza di Nadia sta nell’essere così. Visto che la rappresento io, di certo ha origini non caucasiche però queste origini non la definiscono in primis ma sono le sue caratteristiche. Il fatto che nella serie questa sua appartenenza non venga mai sottolineata ma avvenga nella maniera più naturale possibile mi ha reso molto orgogliosa. Interpreto una persona che ha diritto di esserci senza giustificarsi.

Al fine di permettere una inclusiva e variegata rappresentazione della realtà, quanto sono utili personaggi come Kidane in DOC, interpretato da Alberto Malanchino per esempio, la cui presenza e origine viene raccontata e per richiamare le tue parole  “giustificata” e quanto invece  è più efficace un personaggio come quello di Nadia che non deve spiegare né necessariamente contestualizzare la sua presenza?

La bellezza di quello che possiamo vedere in televisione, al cinema e al teatro è nelle sfaccettature varie.  Mi viene da chiedermi perché sia necessario uniformarsi ad un’unica visione per cui o bisogna rappresentare una diversità, chiamiamola così, giustificandola  oppure non giustificandola affatto. Queste cose nella realtà ci sono in varie forme ed è necessario poter mostrare cosa succede, ad esempio, come per il personaggio di Alberto in Doc, alle persone che cercano di arrivare in Italia o le famiglie che si trovano in situazioni al limite o ben oltre il limite della sopportazione umana  ma dall’altra parte c’è anche la bellezza di poter rappresentare seconde generazioni o le persone a me vicine che non hanno questo passato doloroso ma fanno parte del tessuto sociale lo stesso e non si può sempre negare l’uno per mostrare l’altro. Non ci verrebbe da farlo per un italiano vicino allo standard, ci annoieremo con storie sempre uguali. 

Domanda di rito per le protagoniste su Pink: Noti un’evoluzione nei personaggi femminili al cinema, TV e teatro?

Io penso che anche questo sia qualcosa che sta migliorando man mano. Sento che ci sono ancora tante tappe da spuntare nell’elenco ma in qualche modo c’è stato un miglioramento rispetto al passato. È chiaro che dal punto di vista d’attrice è normale che le nuove generazioni si formino anche grazie a piattaforme che sono realtà che stanno puntando sui giovani e quindi questo porta anche ad una modernizzazione delle storie, un tentativo di entrare in una generazione giovane e quindi anche di creare protagoniste sempre più presenti rispetto a quelle a cui eravamo abituati a vedere. Penso sia una cosa necessaria da fare. È chiaro che c’è un bisogno di prendere spazio nei confronti della rappresentazione del femminile ma dovrebbe essere così. Il fatto che adesso ci siano più personaggi che non sono limitati ad una presenza maschile come nel caso di Nadia, è positivo.Nadia è molto legata a Monterossi ma ha la sua personalità, non è soggetta a lui. È sua alleata, decide di correre al suo  fianco e di non essere portata da lui. La sua finalità non è quella soltanto di farlo brillare. Si può essere rilevante in quanto individuo senza legarsi all’ombra di un uomo.

Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri
Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri

Cerchi ruoli quindi che rispettino questo ragionamento sulla rappresentazione, evitando stereotipi?

Per me è fondamentale ricordare che la prima cosa è sempre mangiare. Intendo dire che non puoi neanche pensare di saltare questo passaggio che non è scontato in questo momento storico in tutti i lavori compreso nel mio. Detto questo, penso come attrice che sia fondamentale pensare a quello che è un po’ uno sguardo che avrei voluto avere da bambina sulla realtà. Se da piccola avessi visto in televisione certe cose forse qualcosa sarebbe cambiato.  Cerco sempre di immaginarmi che io possa essere fiera di quello che rappresento. Ciò non vuol dire rappresentare solo eroi positivi, assolutamente, ma mantenere sempre una correttezza e una dignità nella rappresentazione perché è quello che avrei voluto vedere.

Qual è il film che ti ha fatto innamorare di questo lavoro e decidere di fare l’attrice?

È difficile rispondere a questa domanda perché in realtà credo di aver deciso di fare l’attrice ancor prima di sapere che era un mestiere. Non ricordo di aver avuto nient’altro in testa, penso di aver deciso di fare l’attrice all’asilo credo. Ero l’unica persona che voleva fare le recite scolastiche e agli altri non andava e io volevo fare tutti i ruoli e li imparavo a memoria tutti arrabbiandomi tra l’altro in maniera furente se i miei amici non sapevano la parte o cantavano male, cose così.Non c’è stato un solo autore, sicuramente quello che ti posso dire che il cinema è stato fondamentale perché, cresciuta in provincia, il teatro è arrivato dopo mentre il cinema era la possibilità di evasione nel senso proprio di realtà più fantasiosa e fantastica del reale e mi collegava anche al resto del mondo. Mi ricordo tantissimi film, tantissimi cineforum, taccuini interi riempiti con piccole critiche dei film che vedevo, voti, ricerche sugli attori. Poi, non avendo nessun tipo di collegamento con questo mondo nel senso che non ero figlia d’arte,  devo dire che mi ha molto aiutato il fatto di avere una famiglia dove l’arte, la cultura erano in generale molto importanti.  Questa cosa ha fatto crescere in me una curiosità che in qualche modo, anche facendo l’attrice, sto sempre un po’ alimentando.

Un personaggio che avresti voluto interpretare?

Non è una donna. Io mi sono innamorata quando ero piccola (e infatti lo dico spesso nelle interviste), di Hook-Capitan Uncino di Steven Spielberg. Avrei voluto essere Peter Pan da grande che torna all’Isola che non c’è. Mi sento male dall’emozione anche soltanto a dirlo. Avrei voluto quel ruolo. E poi in generale tutti i film in costume, vorrei da morire fare un film in costume.

Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri
Martina Sammarco | Credits: Paolo Palmieri

Cosa c’è nel futuro di Martina?

Del futuro ci si può esprimere un po’ poco, nel senso che ci sono dei progetti che si stanno sviluppando, alcuni dei quali a teatro, cosa che comunque mi sento di poter dire che voglio continuare a fare. L’obiettivo sarà sempre quello di riuscire a incastrare queste due realtà e poter portare avanti tutte e due in maniera continua.