Le Cento sfumature di rosa ci raccontano la storia, la moda e modi di essere… Nulla è come sembra!
Il rosa è un colore da femminucce. Sbagliato. È un colore da re.
Ce lo dice la storia: il rosa è il colore tra i più gettonati da re e potenti che si facevano ritrarre dai pittori di corte. Ma perché? Perché il rosa rappresentava lo status symbol di chi era ricco e strapotente: è un colore da ricchi, il rosa!
Anticamente, tingere i tessuti di rosa non solo era complicatissimo, ma impossibile. È solo nel Rinascimento che la magia del rosa può essere replicata sulla stoffa: avviene quando i mercanti veneziani cominciarono a importare dall’Asia un colorante noto come “legno rosso”.
E quando i tintori europei riuscirono a fissare su stoffa le infinite sfumature del rosa, fu subito moda.
Le prime a sperimentarlo furono le corti veneziane. Ma presto anche tutte le corti italiane fecero a gara per aggiudicarsi ed esibire le stoffe all’ultimo grido, tinte nel colore del momento: rosa pesca, rosa carne, rosa delicato. In breve tempo, la moda conquistò l’Europa, dilagando gloriosa in Francia e in Inghilterra, e imponendosi anche in settori diversi da quello tessile: le lacche e le tinture rosa cominciano a spadroneggiare anche nell’architettura d’interni, nei tessuti d’arredamento, negli oggetti decorativi, nell’arte. Se è rosa, piace. Diventa un must.
Va detto poi, che a seguito della “scoperta” dell’America, non furono solo le patate e i pomodori ad essere importati in Europa. Tra questi beni ci fu anche un legno esotico, proveniente dal Brasile e simile al “legno rosso” dell’Asia, infinitamente più economico. Fu grazie a questo nuovo colorante naturale che i toni pastello del rosa poterono dilagare ovunque, perché un po’ più accessibili, esibiti d’ora in poi dai ceti aristocratici e tra coloro che in società contano. Tra questi vi è anche la marchesa di Pompadour. Ma anche Luigi XVI, Carlo I d’Inghilterra e il principe di Galles, vestono rosa, immortalati con raffinatissimi e molto virili abiti tinti di rosa. Persino una dolcissima regina Vittoria scelse il rosa per far ritrarre il piccolo principe Arthur.
Non si chiamava neppure rosa. Era il “colore incarnato”, percepito più come una sofisticatissima sfumatura del giallo, non del rosso. Rosa non era un colore da donne, ma un colore di moda, raffinato e adatto a essere indossato da tutti, maschi adulti e femmine indifferentemente, purché ricchi.
Quel rosa a cui ci siamo abituati è molto più recente, è figlio della pubblicità e della Barbie. Il rosa tenue usato per gli abitini dei piccoli, insieme alle infinite nuance pastello, risale invece agli anni ’30 del Novecento, grazie alla comparsa di nuovi coloranti chimici capaci di fissare tutti i colori e in modo più resistente sulla stoffa.
Nulla è come sembra, neppure il rosa!
Vive e lavora a Genova, insieme ai suoi libri, dove svolge la propria attività di giornalista professionista e studiosa di storia della critica d’arte e Futurismo. Convive con la SM da 18 anni. Ama la scrittura e le parole, il figlio, la vita, la sua famiglia.
Al suo attivo molte pubblicazioni e monografie di storia dell’arte. Svolge la professione giornalistica con passione da oltre trent’anni, si muove tra la carta stampata, i nuovi media, la TV. Ama parlare delle persone, con la gente e sempre a vantaggio della cultura sociale che fa crescere e aprire occhi e cuore. “Le persone sono sempre scopo primo e ultimo della mia scelta professionale, come servizio agli altri. Senza riserve”.
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