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Paola Ferrari si racconta: “Non bisogna mai rinunciare alla propria indipendenza intellettuale”

Paola Ferrari si racconta: Non bisogna mai rinunciare alla propria indipendenza intellettuale
Paola Ferrari si racconta: Non bisogna mai rinunciare alla propria indipendenza intellettuale

Una vita professionale legata al giornalismo, un rapporto trentennale e indissolubile con la Televisione di Stato. Paola Ferrari è il volto femminile più familiare del giornalismo sportivo italiano, una presenza costante e rassicurante per tutti gli amanti dello sport.

Milanese di nascita e ormai romana di adozione, Paola Ferrari ci tiene a sottolineare che il suo desiderio è di voler essere giudicata, bene o male, solo come una professionista del mondo dell’informazione. Scrupolosa e disponibile allo stesso tempo, sempre appassionata genuinamente del suo lavoro, ha condotto numerose trasmissioni storiche tra cui “La Domenica Sportiva” e “Dribbling”. E’ stata affiancata per molti anni da giornalisti di spessore e fama come, ad esempio, Giorgio Tosatti, Bruno Pizzul e Mario Sconcerti. In questo periodo conduce 90° minuto, il programma storico per eccellenza di tutti i calciofili.

  • Ciao Paola, partiamo dalla tua infanzia: cosa avrebbe voluto fare da grande la bambina Paola Ferrari?

Quando ero ragazzina avevo un desiderio particolare, volevo fare la cacciatrice dei criminali nazisti scappati in Sudamerica. Dopo i 14 anni è nata la passione per la scrittura e per il mondo del giornalismo. C’era questo signore che veniva a prendere il caffè nel bar frequentato da mio padre, era Beppe Viola. Sentivo i discorsi dei più grandi “Ma sai che questo è il giornalista della Domenica Sportiva” e rimasi affascinata da questa figura e dal suo alone di mistero ai miei occhi di giovane ragazza. Ero colpita anche dagli scritti e dalla fama di Oriana Fallaci, ma sapevo che non sarei mai potuta diventare come lei. Ho iniziato a lavorare per Portobello e nella mia testa le idee cominciavano a schiarirsi: volevo diventare una giornalista. Sembra strano, ma all’epoca avvertivo più di adesso un certo desiderio da parte di molte donne di volersi imporre per le idee e per il proprio pensiero. Ero molto carina, all’inizio mi mantenevo comparendo in alcuni fotoromanzi, ma sapevo che doveva essere solo un modo provvisorio per tirare la carretta e così è stato. Il mio obiettivo era di far lavorare la mia mente più che il mio corpo, per ottenere stima e rispetto. Diciamo che negli ultimi 20 anni la tendenza di dare priorità alla propria immagine si è accentuata…   

  • Hai citato Enzo Tortora, c’è un ricordo particolare che ti lega a lui e al tuo primo importante capitolo della tua carriera?

Ho tanti bei ricordi di “Portobello” e di Enzo Tortora. Per me Enzo, in un certo periodo della mia vita, è stato come un secondo papà anche perché la mia infanzia non è stata molto semplice. Fui la prima ragazza ad essere scelta per quella trasmissione e durante il primo anno gli raccontai che in realtà io volevo fare la giornalista. Scrivevo per “Intrepido” e “Monello”, ma la paga era ovviamente scarsa, guadagnavo circa 50 o 100 mila  lire al mese, non ricordo di preciso. Quando finì il suo rapporto con la Rai mi portò in una televisione privata (Antenna 3, ndr), per consentirmi di poter guadagnare qualche soldo in più. Il mio rapporto professionale con Enzo è durato 5 o 6 anni, fino a pochissimi mesi prima del suo ingiusto arresto.

  • Hai lavorato e attualmente lavori con alcuni dei più importanti giornalisti sportivi, chi tra questi ti ha lasciato l’insegnamento migliore?

Sicuramente Giorgio Tosatti rientra tra quelli che mi hanno lasciato i ricordi e gli insegnamenti più preziosi, anche umani. Con Mario Sconcerti ho avuto un rapporto speciale, dovevamo andare addirittura a cantare per gioco, poi per quanto mi riguarda lui è di una preparazione e di una intelligenza superiore alla media. Ricordo con molto affetto anche Sandro Ciotti, Bruno Pizzul e Marco Mazzocchi, anche se con quest’ultimo la nostra collaborazione è durata poco. Tutti avevano molto da insegnarmi e ho cercato di apprendere il più possibile da questi maestri.

Una vita professionale legata al giornalismo, un rapporto trentennale e indissolubile con la Televisione di Stato. Paola Ferrari è il volto femminile più familiare del giornalismo sportivo italiano
  • Nel tuo curriculum figurano importanti premi di carriera giornalistica, qual è il riconoscimento a cui sei più legata?

Sono stata la prima donna a ricevere il premio alla memoria di Gianni Brera, senza dubbio mi ha fatto enormemente piacere e mi ha molto emozionato, come successe anche dopo aver ricebuto il premio alla memoria di Beppe Viola.

  • Cosa diresti a una ipotetica ragazza che ti ha presa come esempio di professionalità e vorrebbe diventare giornalista?

Le direi tutte le cose che dico a mia figlia. Lei non è una giornalista, ma i consigli sono validi per tutte le categorie. In questa era so che è diventato difficile diventare giornalisti, ma il primo comandamento è di studiare e prepararsi tanto. Di non fermarsi durante la cosiddetta gavetta, di abituarsi all’idea di dover fare qualche sacrificio in fatto di tempo libero. All’inizio per me è stato così, lavoravo 7 giorni su 7. Personalmente, tuttora studio in media circa 15 ore a settimana per prepararmi alla puntata di 90° minuto. Il mondo del calcio è in continua evoluzione e non bisogna mai staccare del tutto. Le occasioni per iniziare a “emergere”, poi, bisogna essere bravi e un po’ spigliati anche a crearsele. Il mio primo contratto con la Rai arrivò dopo aver conosciuto Tito Stagno allo stadio, bisogna vincere la timidezza.

  • Nel mondo dei social tutto rischia di essere amplificato o distorto e tutto può diventare effimero dopo un minuto. Qualcuno del tuo settore ti ha mai rimproverato di essere stata, a volte, troppo diretta e senza peli sulla lingua?

E’ successo qualche volta, ma non gli ho mai dato troppo peso. Nel senso che la critica la accetto da tutti, ma ciò che conta è l’indipendenza intellettuale e onestamente preferisco non rinunciare a dire ciò che penso, nei modi e nei toni più garbati possibili.

  • Come giudichi le trasformazioni nel mondo dell’informazione in questa epoca?

20 anni fa si pensava che con l’avvento dei social e del web in generale tutto il mondo avrebbe giovato di questa grande novità, ma alla fine si sta rivelando una grande piazza dove si accalcano una miriade di voci, forse troppe. Non sono, però, del tutto negativa. Su Twitter seguo le persone che mi interessano, soprattutto al risveglio. Diventa quasi una rassegna stampa e questo ritengo sia un aspetto positivo. Non mi piacciono le libertà che si prendono certe persone con il web, odio i troll e gli odiatori, non a caso anni fa denunciai a Twitter il problema perché ero stata presa di mira con gli insulti. Continuo a leggere molti giornali sulla carta stampata, a mio parere è ancora il luogo delle inchieste, delle analisi e degli approfondimenti, mentre il web lo utilizzo per le ultime notizie, la cronaca in tempo reale. Bisogna investire sulla stampa e sulla cultura perché sono l’ossatura di un paese democratico. 

  • Concludiamo tutte le nostre interviste con tre domande le cui risposte saranno successivamente raccolte in un pezzo unico. Ci puoi dire il titolo del libro che stai leggendo, la canzone che ti accompagna in questo mese e la tua ricetta preferita (o il tuo piatto)? 

Sullacanzone mi trovi spiazzata, ma in genere a me piacciono molto i cantautori italiani e metto Francesco De Gregori al primo posto delle mie preferenze. Ho cominciato a leggere “Il Silenzio dei Chiostri” di Alicia GiménezBartlet dopo aver visto le performance di Petra interpretata da Paola Cortellesi su Sky, mentre per la ricetta… uhmmm, io cucino malissimo, ma per fortuna mio figlio Alessandro è un cuoco pazzesco. Tagliatelle al ragù e spaghetti alla carbonara sono i miei piatti preferiti, sono una amante dei primi!”