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Dimmi che bottoni hai e ti dirò chi sei

Bottoni creati da Peter Carl Fabergé - collezione Cleveland Museum of Art
Bottoni creati da Peter Carl Fabergé – collezione Cleveland Museum of Art

La maggioranza della gente pensa che il Bottone serva solo per unire due pezzi di stoffa, ma la sua storia e il suo perché era roba importante, tanto tanto importante… sapevano parlare persino al posto del Re Sole

Li usavano soprattutto gli uomini. C’erano quelli utilitari, come quelli ordinati dalla Regina d’Inghilterra Elisabetta I per le sue truppe e quelli di ostentazione. Gli utilitari non erano altro che bottoni che secondo la regina andavano cuciti su tutto il paramano delle maniche per evitare che i suoi soldati si pulissero il naso con la manica. Quelli di ostentazione erano invece pensati come gioielli, a “guarnizione” di una mise preziosa e alla moda, capace persino di intimidire. Si racconta che il re di Francia Francesco I, durante la visita a corte di un Sultano, si fosse fatto fare una veste di velluto nero con 13.600 (avete letto bene tredicimilaseicento) bottoni d’oro, realizzati per lui dall’orafo di corte Jack Polin. Il senso di tutto ciò era comunicargli in maniera tacita, e a colpi di bottone, che fra i due, il più ricco era Lui, il re.

Non è finita qui. Luigi XIV su una solaveste ne aveva ben 816, tutti realizzati con pietre dure: li  usava quando faceva le riunioni di governo a Versailles. Sempre a Versailles, re Luigi amava sfoggiare i suoi 1826 bottoni in diamante (la sua pietra preferita), durante eventi di stato, per i quali aveva speso 14.000.000 in franchi d’oro: con loro venne immortalato da Hyacinthe Rigaud nel suo ritratto ufficiale. Questo quadro divenne il ritratto ufficiale di Luigi XIV: fu questa immagine che diffuse rapidamente non solo in Francia, ma anche in tutte quelle parti del mondo con le quali il regno francese fosse entrato in rapporti, l’apoteosi del re Sole.

Erano utilitari quelli cuciti sulla schiena dei soldati degli eserciti secessionisti, affinché  di notte quando si addormentavano, non dormissero troppo a lungo e non russassero (c’era il pericolo che rivelassero la loro posizione al nemico). Erano utilitari i bottoni del contrabbandiere, pensati come piccoli contenitori per passare le frontiere con merce proibita, rigorosamente cuciti sulla parte destra della giacca. 

Ma per lo più erano ostentazione, simbolo di ricchezza e potere, Papa Clemente VII  bottoni se li faceva fabbricare uno a uno addirittura da Benvenuto Cellini!

Anche le classi più basse della borghesia ci tenevano molto ad esibire bei bottoni, che attaccavano e staccavano volta a volta dagli abiti.

Francia, 1765 circa – collezione LACMA – The Los Angeles County Museum of Art

Da sempre i bottoni in argento, o altro materiale prezioso, erano considerati un buon investimento economico: facili da nascondere in caso di predazioni, comodi da portar via in caso d’improvvisa fuga e, in caso d’emergenza, usabili al posto del denaro.

Perciò in molti luoghi (ad esempio avveniva in Liguria, Alto Adige e Sicilia) un set di bottoni in filigrana faceva sempre parte del corredo delle spose. Accadde persino che nel 1400, il bottone cadde vittima delle Leggi Suntuarie, che regolavano il lusso dell’abbigliamento cittadino per evitare sfarzi immorali; una di queste, emanata a Firenze nel 1415, recitava:  “La donna non possa, ardisca e presuma portare più argento che una libbra d’imbottonatura”.

Tutti i nobili dal 1300 al tardo 1800 ostentavano bottoni preziosi. Ne adoperavano tra i 50-100-150 per ogni abito, anche se solo 7 o 8 circa erano per abbottonare la veste; erano sistemati in lunghe file che si potevano sfilare e poi rimettere su un  altro abito (quasi come una collana). La loro preziosità derivava dai materiali nobili come diamanti, oro, argento, pietre dure,  ma potevano essere anche in vetro, in smalto, avorio e metallo riccamente lavorati  dagli artigiani più famosi dell’epoca.

Ma i bottoni, oltre all’ostentazione,  potevano diventare mezzi di comunicazione, di seduzione, di gossip… Da non crederci, ma un bottone era come una carta d’identità; poteva essere il simbolo di appartenenza a una famiglia, a un corpo militare, a un club. La servitù dei nobili avevano la livrea con i bottoni con lo stemma del casato a cui appartenevano, più era ricco il casato più nobile era il materiale con cui erano fatti i bottoni; poteva essere in lega metalliche ma anche in oro e argento. Si pensi che più bottoni aveva il servo, più alto era il suo grado di servitù. Il bottone con il simbolo della  corona con sotto le iniziali della famiglia è da Famiglia Reale; lo stemma con corona a 5 punte è da Duca; con 7 da Barone; con 9 tutte uguali è da Conte; con 9 la prima, la centrale e l’ultima più alte è da Marchese. 

Che dire, insomma. I bottoni “parlano”, descrivono, raccontano. Seppero parlare persino al posto del re sole. Furono i suoi bottoni in diamanti  a farlo risplendere come il re Sole, diamanti che non erano piccoli sassolini ma pietre enormi, tra cui uno di un colore di profondo blu, il più grande dell’epoca, acquistato da Luigi XIV nel 1688 da un mercante francese, Jean-Baptiste Tavernier. La simbologia che Luigi scelse per rappresentare se stesso, un tutt’uno con i suoi bottoni di diamanti, lo fanno ancora splendere come un sole.