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Breve storia del Teatro Romano di Aosta e di Nerone (Ps: Nerone è un gatto!)

Si chiama Nerone e abita ancora lì (anche se non miagola più). Era l’unico cittadini di Aosta che poteva passeggiare indisturbato tra le vestigia del teatro Romano di Aosta, anche a cancelli chiusi.

Nerone era un gatto nero nero, tronfio e pigro. Che all’imbrunire tornava “a casa”, nella cavea di un teatro che ha più di duemila anni ed è uno dei siti archeologici più belli e importanti dell’Italia nordoccidentale. Ma il suo nobile “inquilino” che ha il nome di un imperatore appassionato di teatro (è stato uno dei gatti tra più paparazzati d’Italia, protagonista di favole e calendari niente male) non è l’unica curiosità di questo teatro.

E già. Questo è un anfiteatro “strano”, che ha la forma più simile a quella di un rettangolo, piuttosto che a quella di una mezzaluna. Che soprattutto ti sorprende per essere uno dei teatri più unici, imponenti e romantici che ci siano, circondato dalle Alpi innevate e dal verde della montagna.

Entrando nell’antica Augusta Prætoria, si trova lungo la strada principale della città, il Decumano massimo. È collocato nella zona nord-orientale di Aosta, in posizione defilata, nei pressi della Porta Prætoria. È enorme: poteva ospitare circa quattromila persone. Analizzando i resti del teatro, si suppone che la sua struttura occupasse un’area di 81 metri in larghezza e 64 di profondità.

La facciata meridionale è l’unica che si è conservata e si estende per 22 metri in altezza. L’imponenza della sua struttura è dovuta alla presenza di contrafforti verticali, posti a cinque metri e mezzo l’uno dall’altro. Il suo peso è scaricato tramite quattro ordini di aperture; ha quattro arcate d’ingresso, alcune aperture nella parte superiore, divise in tre ordini; è sovrastata da archi a tutto sesto, capace di sopportare una copertura. È una bellezza.

Risale all’epoca dell’imperatore Claudio, successore di Caligola si suppone che il suo palco, andato completamente perduto, fosse finemente ornato da statue, marmi e colonne in stile corinzio.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, questo bellissimo teatro rischiò di non esistere più, depredato e demolito in molte sue parti. Nel 1833 fu lì lì per diventare una vera e propria cava di pietra a cielo aperto, per ricavarne materiali utili all’edificazione del palazzo del municipio

Fu un priore e storico, il valdostano Jean-Antoine Gal, a salvarlo.

By Luigi Chiesa - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21435386
Vista della facciata esterna e delle strutture che sorreggevano la cavea | By Luigi Chiesa – Own work, CC BY-SA 3.0

Si racconta che Gal si recò fino a Torino a piedi per invocare l’intervento del re Carlo Alberto di Savoia affinché tale bene storico fosse salvaguardato.

Fu così che dalla sua quasi distruzione, si passò alla sua valorizzazione e alla sua riscoperta. 

Cominciarono proprio in quegli anni i primi studi archeologici dell’area, grazie in particolare a Carlo Promis, architetto e archeologo piemontese. Fu negli anni venti del Novecento che si cominciò ad abbozzare una sistemazione del sito archeologico, che lo salvaguardarono sino a oggi.

Ma i lavori più importanti di recupero del Teatro Romano di Aosta si ebbero tra il 1933 e il 1941, riguardarono la facciata e la zona sud-ovest.

Negli anni Sessanta, altri lavori riportarono alla luce strutture abitative del II e III secolo d.C. Ulteriori lavori di consolidamento della facciata ebbero luogo nel 2008-2009, rendendolo non solo un meraviglioso museo a cielo aperto, ma diventando una bellissima struttura teatrale capace di ospitare oltre mille persone al coperto.

Fu con l’assegnazione del Premio Mogol nel 2011, vinto da Jovanotti, che la location del Teatro Romano di Aosta, ha restituito definitivamente quella connotazione culturale che il luogo aveva in origine. Lo sa anche il gatto Nerone.